POESIA IN ALTOLA LIRICA! Costanzo Di Girolamo Nel 1205, a Salonicco, mentre partecipava alla Quarta Crociata, il trovatore Raimbaut de Vaqueiras trovò il tempo di indirizzare un'epistola in versi a Bonifacio marchese di Monferrato, capo della Crociata, al quale doveva già l'investitura a cavaliere (per meriti letterari prima che militari) undici anni prima. Raimbaut morì, probabilmente combattendo contro i guerriglieri bulgari, quello stesso anno o al più tardi nel 1207. Nella sua epistola il trovatore soldato si vanta di diverse imprese cavalleresche compiute al fianco o in nome del marchese e non manca di chiedere al suo signore, com'è frequente nella poesia medievale, doni e ricompense per i servizi resi. Questa storia, assai interessante per la sociologia della letteratura (Raimbaut è l'esempio più unico che raro di un poeta di origini modeste che fa un salto di classe grazie alla sua poesia, pagandone poi fino in fondo certe conseguenze), non c'entra proprio nulla, nonostante sia brevemente ricordata nella Nota dell'autore e due versi dell'epistola siano esposti in esergo, con il libro di Giovanni Giudici, Salutz (Torino, Einaudi, 1986), e la lettera epica, magnifico affresco di guerra e del mondo feudale, lascia tutto sommato parecchio a desiderare se la prendiamo, alla larga e come suggerisce Giudici, nel senso di "una specie di consuntivo a cui la prematura morte del Poeta avrebbe poi conferito un valore quasi pretestamentario" (p. 97). Né, a dire la verità, il Salutz di Giudici c'entra molto nemmeno con il genere provenzale del Salut d'amor, poesia d'amore in stile epistolare che si distingue da generi ben più sostenuti (come la canzone) per certa sua diluizione panegiristica e per il tono e la versificazione vicini ai generi narrativi. Ma nel leggere questo libro, secondo me, vanno evitati con attenzione due errori in cui si potrebbe facilmente cadere. Il primo è di chi abbia una qualche familiarità con la lirica provenzale (o in generale cortese), che troverà improprie molte cose: titolo, collocazione generica, accostamento trovatori - Minnesanger, ecc. L'altro errore, al contrario, è di chi abbia scarsa frequentazione della poesia medievale, che potrebbe essere indotto, fuorviato semmai da vocativi come "Midons" e "Minne" o dal balenare di stemmi e di armature, a vedere nell'opera di GiuibliotecaGino Bianco dici una calligrafica e iperletteraria ripresa (o traduzione: non è forse l'autore uno dei più felici e versatili traduttori di poesia?) di una tradizione lirica unica e irripetibile ma anche sepolta nel suo splendore. In realtà Giudici non è né lo svagato visitatore del museo dei trovatori messo sulla buona pista dall'amico filologo (nell'occasione, da Gianfranco Folena), quale ci si presenta nella Nota, né, appunto, il 'traduttore' di genio che si è proposto di far rivivere non solo una forma o un rigore formale ma un intero mito letterario. Le coordinate esterne di Salutz sono di una lineare rigidità: sette sezioni, ciascuna di dieci poesie, ciascuna di quattordici versi, più o meno liberamente rimati; nella misura del sonetto (almeno in un caso ne è ambiguamente evocato anche lo schema di rime), o più precisamente in quella della strofe puskiniana dell' Evgenij Onegin, l'endecasillabo, che comunque predomina, si alterna a versi più brevi, soprattutto settenari. La poesia finale, Lais, con le sue due stanze di dieci versi, porta esattamente a mille il numero dei versi del libro. Del tono epistolare nulla, se non la seconda persona, non "tu" ma "voi", e la ricorrenza dei vocativi già menzionati: "Midons", metafora feudale dei trovatori per madonna (letteralmente 'mio signore' al maschile) e "Minne", l'amore cortese del Minnesang. Alla tecnica straniante, non nuova in Giudici, di inserire parole e frasi in lingue straniere, dal provenzale al ceco, si somma qui l'uso di un vocabolario ricercato e di voci dalle evidenti conno1azioni letterarie. Ma POESIA/DIGIROLAMO87 l'effetto di uno stile alto è dato dall'ordine stesso delle parole nella frase ("E se ambivaste voi mostrare", 1.5; "lo tremo far su voi del mio supplizio/Vendetta ... ", IV.6) e dal complesso intarsio della sintassi, che con i suoi nodi lega insieme più versi brevi e che raramente ammette la coincidenza di linea metrica e frase anche nell'endacasillabo. Nell'opera di moderato restauro metrico condotta da Giudici, il rischio di una cantabilità inerte e vuota viene eluso in partenza proprio con un'altrettanta moderata arcaizzazione della lingua: ma entrambe le cose, la compostezza formale della versificazione o comunque della gabbia numerologica e l'innalzamento del segno letterario, vanno viste, mi pare, non come fini a se stesse ma come funzionali alla materia del libro, e sono evidentemente da misurare rispetto alla produzione precedente dell'autore, caratterizzata da un'ordinaria amministrazione della parola poetica e prevalentemente giocata sul piano della narrazione. Il genere di Salutz è invece la lirica, nel senso forte del termine, e il sottogenere è la lirica d'amore, anche questa in senso forte, dove cioè l'amore è una metafora totalizzante. Entrambe queste scelte hanno ben pochi paralleli nel secondo Novecento, mentre sono alla base delle poetiche, più che medievali, prepetrarchesche. Mi spiego meglio. L'intera tradizione lirica italiana è stata dominata dal modello di Petrarca, che ha costituito un filtro purificatore della lirica medievale nel suo insieme e soprattutto di quella occitanica, sia dal punto di vista metrico-linguistico che tematico. Altre tradizioni prenderanno strade differenti: nel nord della Francia, per esempio, Rutebeuf e poi Villon segnano già una contaminazione, che sopravvive fino a Baudelaire e oltre, tra lirica e narrativa. L'idea di lirica all'interno della tradizione italiana si associa necessariamente a una poesia assoluta, formalmente perfetta, linguisticamente pura, contenutisticamente selettiva. Lo standard della lirica anteriore a Petrarca, tuttavia, comportava parametri assai diversi: quelli della discontinuità formale e tematica, della varietà stilistica, del1 'oltranza verbale, di uno sperimentalismo continuo che è l'esatto contrario della stasi senza tempo della perfezione e dell'assoluto, e tutto questo pur all'interno di una poetica che sostanzialmente non attribuiva valore ali 'originalità e all'innovazione in quanto tali. Alla luce della tradizione italiana, la lirica ha potuto vivere o sopravvivere nel Novecento solo negandosi o contaminandosi: da Gozzano a Montale a Zanzotto la lirica è riuscita a passare solo grazie al prosastico, al
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