Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

cercare qualcuno cui arrendersi. Ma vivevano da tanto tempo nelle baracche che avevano cominciato a considerarle la loro casa. Forse era la paura di quello che avrebbero scoperto, a incapsularli là dentro, dietro le recinzioni di filo spinato arrugginito, tra i maiali e i polli razzolanti, e le enormi farfalle di sogno. La ragazza gemette, una volta, un gemito che veniva da una fonte sotterranea; non riprese mai conoscenza. Al campo, Matlocke e Weston misero la ragazza in una stanza a nord, che una volta era stata l'infermeria. Matlocke pulì la ferita, la cosparse di pomata, e la fasciò. Gli uomini mangiarono insieme, malinconicamente. La ragazza era una presenza oscura tra di loro; sdraiata sotto una coperta, cambiava la loro concezione della realtà. Nelle prime ore della sera, Weston si aggirò tra le baracche nell'oscurità, prima di trascinarsi alla capanna. Alla fine si sdraiò, chiuse gli occhi, e pensò alle donne. I loro corpi morbidi lo ossessionavano. Pensò alla ragazza ferita; immaginò di attraversare furtivo l'edificio dell'amministrazione fino alla sua stanza, e di guardarla. Di sollevare la coperta e di esaminarla, affondandole gli occhi nel corpo. Era tentato dall'oscenità. Lo scozzese al bar beveva pesantemente, e intanto raccontava storie dei servizi che aveva fatto per un giornale di Glasgow, sulle esplosioni di alcune piattaforme petrolifere nel mare del Nord. Per una volta era la sua voce aspra a trattenere l'attenzione generale, mentre Krapp stava in silenzio. "Il problema lassù," stava dicendo lo scozzese, "è la grande pressione proveniente da due diverse direzioni. C'è quella del petrolio, che bisogna cercare di controllare; ma il mare del Nord è il peggiore del mondo, e ci sono queste onde gigantesche che martellano gli impianti in tutte le stagioni. Poi, in inverno, c'è il ghiaccio, tra le onde, e la schiuma è come una raffica di shrapnel. Non sto esagerando: so di un operaio colpito alla testa da un enorme blocco di ghiaccio. Gli staccò letteralmente un pezzo di cranio, e visse quanto bastava per esser trasportato al riparo, con le mani sulla testa, così..." Lo scozzese mimò la scena, portandosi entrambe le mani alla testa come per impedire alle cervella di uscir fuori. "Poi si diede un'occhiata allo specchio e disse, 'Sono morto, dottore, non serve a niente, è chiaro ... ' E stramazzò. Morto." Il giornalista restò seduto in silenzio con aria cupa. Da alcune settimane era in corso una grossa offensiva; le vie di comunicazione erano diventate praticamente inagibili; una volta, poi, era corsa voce che le sorti si fossero capovolte, al fronte, ed era stato il panico. E se il nemico li avesse raggiunti, divorati? Avevano paura di restare incastrati. E il frastuono dell'artiglieria si era fatto più vicino, dando credibilità alle voci. Krapp disse: "Non credo a coesta storia". Lo disse in tono strano. "È una puona storia, ma non ci credo. È il tipo di storia che i tipi come me e te raccontano perché fogliono prendere per il culo la gente e passare per eroi. Noi siamo stati infentati dalla letteratura ti guerra del fentesimo secolo; non siamo reali; c'è qualcuno che ci descrive e ci fa parlare così, ci fa fare cveste cose." Lo scozzese, ubriaco, diede un pugno a Krapp, che cadde dalla sedia e riuscì a recuperare il minimo di equilibrio necessario a finire seduto, invece che disteso, sul pavimento. "Brutto stronzo", disse lo scozzese, "non lo sai che ti odiamo, che odiamo te e le tue storie? Perché mai dobbiamo aggirarci in questa fottuta guerra con gente come te?" BibliotecaGino Bianco STORIE/WILHELM83 "Agh, lasciami stare. Non sai cosa dici. lo invece lo so cvello che dico, lo so." Lo scozzese venne riaccompagnato alla sua sedia da alcuni amici, e Krapp andò a mettersi a un tavolo d'angolo e ricominciò a bere. Beveva liquori, e li faceva mescolare dal barista in modo tale che nel bicchiere si formavano strati di diverso colore e densità, torri di alcol variopinto. Beveva una dozzina di quegli intrugli tutte le sere; conoscevamo il tremendo effetto che avevano su di lui, perché di giorno aveva la faccia contorta dalla nausea, decisamente gialla. Ma non smetteva, anzi, quando riusciva a prendere qualche bella foto di guerra durante il giorno, aumentava la dose. Nessuno di noi si sorprese quando si suicidò. La ragazza non era ferita gravemente come Matlocke aveva temuto; ma sembrava incapace di parlare, e i suoi pochi movimenti erano confusi e inefficaci. Ancora bambina, anche se i seni le stavano sbocciando come rose delicate, era stata traumatizzata dagli spari, si era rifugiata nell'infanzia, e ora dipendeva dagli uomini, madri che si aggiravano nella sua coscienza alterata. Matlocke le cambiave le lenzuola, le dava da bere e la lavava. Il giorno seguente restò sdraiata sul letto, nuda, per ore, mentre Matlocke le lavava il vestito e lo stendeva al sole per asciugarlo. Weston, cupo, guardò le forme ancora infantili, l'innocente cespuglio della fica, esposto, intatto. Weston uscì dalla stanza e andò al gabinetto: restò a guardare la donna indiana con la sua grossolana fessura, e la immaginò cavalcioni sopra di sé, col cervello turbinante di sesso e orgasmi. Era primavera, presto sarebbero arrivate le piogge. La vegetazione cresceva. Ma Weston restava sveglio la notte, ad ascoltare il tamburellare degli insetti notturni: sembrava che battessero le ali contro un cielo di ferro. A volte ricordava la laconica descrizione che Matlocke gli aveva fornito del ritrovamento della ragazza: la scena dell'esecuzione, gli uomini con le carabine e i mitragliatori automatici, là fuori, nel bush, irrequieti. Si sentiva solo e abbandonato nel letto puzzolente, e scivolava dentro sogni illuminati da vorticanti alternative di penetrazione e sprofondamento. Dopo aver visto la ragazza nuda, Weston restò solo nella sua capanna per giorni interi, a leggere fumetti. In uno di essi, un giovane scienziato, riconosciuto dalla sua generazione come un genio nel campo delle particelle subatomiche, scopriva la particella nota col nome di quark, da tempo postulata ma così strana - un'entità astuta, pensante - che nessun esperimento poteva dimostrarne l'esistenza: l'elemento primario nella costruzione dell'intero universo. Il giovane scienziato, allora, radunava la confraternita scientifica di tutto il mondo per mostrare a tutti come fosse riuscito a intrappolare il quark; il quark, come un leopardo a un guinzaglio molecolare, veniva infilato in un acceleratore di particelle, raggiungeva una massa quasi infinita man mano che si avvicinava alla velocità della luce (come aveva predetto Einstein nella teoria della relatività), e a quel punto c'erano vari, sottili modi di registrare la sua esistenza. Il giovane scienziato, naturalmente, vinceva il premio Nobel e sposava la figlia del capo dell'Istituto di Fisica dell'università di Megalopoli, un biondo angelo stile anni settanta con un gran paio di tette che, fino al preciso momento della scoperta del quark, l'aveva considerato uno stronzo. Ma qualcosa andava storto nell'esperimento. Qualcosa non funzionava nell'acceleratore di particelle e, contrariamente alle predi-

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