82 STORIE/WILHELM vivi - erano la materia prima dell'arte. Aveva già visto altre guerre, prima di quella. In realtà era nato a Berlino durante le fasi culminanti della seconda guerra mondiale. La leggenda raccontava che fosse stato trovato, urlante, in una pattumiera, da un comandante russo di carristi. Ma forse si trattava di una beffa diretta ai vivi, messa in giro dall'egregio Krapp. Se invece la storia fosse stata vera, avrebbe spiegato l'atteggiamento nevroticamente trionfante del fotografo verso la foto di quella mattina; di certo quella sera, quando sarebbe andato a "far vizita alle zignore", come diceva lui col suo buffo accento, Krapp avrebbe di nuovo raccontato quella storia. Naturalmente - e questo è un problema che conosco fin troppo bene - la maggior difficoltà di chi scrive di guerra in questo secolo è quella di descrivere i morti. "Membra lacerate", "la posizione dell'agonia", "ferite aperte" sono frasi fatte, anche se servono a descrivere la realtà. Eppure cercarne altre, più efficaci, significa fare del sensazionalismo, una cosa della quale siamo tutti più o meno colpevoli. Quindi la fotografia - e ogni scaramuccia o bombardamento offrirà al fotografo un momento estetico da cogliere - diventa la forma d'arte più appropriata. Ci sono pochissime "storie", nelle guerre: vengono dopo, di solito, e sono inventate. Un buon giornalista di guerra deve possedere, se vuol riferire seriamente gli eventi, un raffinato senso dell'olfatto. Tutte le arti hanno sempre ignorato questo senso, quindi il campo è aperto. Comunque, se vuol comunicare con precisione gli odori della battaglia e della morte, lo scrittore deve aver provato e superato la nausea. La nausea è la naturale reazione della vita alla morte, al non-essere. I morti puzzano. Quella sera Krapp ebbe una curiosa esperienza con una prostituta. Invece di venire come sempre in cinque minuti, Krapp si diede da fare per ore, fino a quando la povera ragazza cominciò a gridare e a lamentarsi. Krapp è un ometto calvo con lunghe ciocche di capelli sparse in tutte le direzioni, e mentre si affannava sopra la donna, muoveva freneticamente la testa, flagellandola con fruste bagnate. Alla fine la prostituta lo spinse via e aprì un cassetto per prendere una foto porno. "No, no!" strillò Krapp. "Non coesta!" (Parlava davvero così.) "Guarda in mia tasca!" E così alla fine, ansimando sopra la sua terrificante fotografia, Krapp riuscì a venire. La mano del morto l'aveva raggiunto col dono dell'onanismo. Solo gli abbietti sopravvivono. Gli uomini lasciarono il luogo dell'accampamento, giro vagando e chiacchierando, ignari di essere osservati. Matlocke aspettò che sparissero alla vista, poi scese giù nella radura, tra i resti della colazione. Brutti bastardi, pensò, sorprendendo se stesso: non conservavano niente della disciplina militare, se non la posizione eretta, rigida. Ora doveva seguire le loro tracce tra le colline. Da principio fu facile, perché i loro piedi, strisciando nella polvere della zona bassa, avevano lasciato segni visibili. Ma quando Matlocke cominciò a salire, il terreno si fece più sassoso, e dovette accontentarsi di qualche segno qua e là; non solo, aveva paura che gli uomini sotto di lui lo vedessero, o di imbattersi in altri drappelli. Intrecciò, per così dire, la propria pista a quella appena visibile degli altri. E dopo un po' non ci fu più alcuna pista. Ora solo la logica poteva aiutarlo: gli uomini procedevano a casaccio, quindi, per scendere, avrebbero scelto la via più facile. BibliotecaGino Bianco Matlocke considerò il sentiero in salita da questo punto di vista, e proseguì. Fu così che trovò il luogo dell'esecuzione. Una decina di abitanti di qualche villaggio erano stati messi in fila vicino a un albero e fucilati. Prima di esaminarne i cadaveri, Matlocke si sedette su una roccia, mise giù il fucile mitragliatore, e si prese la testa fra le mani. Era infinitamente triste, incapace persino di pregare. Ma proprio in quel momento sentì un gemito provenire da uno dei corpi stesi: quella straordinaria prova di vita non venne malinterpretata come un miracolo, o un simbolo, ma come uno stimolo all'azione. Fu subito in piedi, e si diresse verso le patetiche figure distese. Era una ragazza, di forse quattordici anni. Doveva esser stata colpita tra i primi - una pallottola le aveva lacerato la cima della testa, l'unica ferita evidente - ed era rimasta sotto i cadaveri degli altri. Questi l'avevano protetta, e, assolutamente immobile, svenuta, non doveva aver più dato segni di vita. Per questo non l'avevano finita. Indossava un vestito bianco, lercio, pieno di macchie di sangue e strappato. La sua faccia, sotto la ferita, era una maschera. La bocca leggermente aperta, respirava appena. Matlocke esaminò la ferita: le ossa del cranio erano frantumate, quindi era probabile che qualche scheggia fosse penetrata nel cervello. In questo caso sarebbe morta. Matlocke si sentì impotente. Con gesti cauti, cercando di restare indifferente, cominciò a spostare i cadaveri per liberare la ragazza. Fatto questo, strappò una striscia di tessuto dalla camicia di uno dei morti, e la avvolse intorno alla testa della ragazza. Non sanguinava molto, e l'unica cosa da fare era tener lontane le mosche dalla ferita. Matlocke cominciò a sentire il puzzo dei cadaveri; innumerevoli mosche sciamavano intorno al luogo dell'esecuzione. In condizioni normali, Matlocke avrebbe fatto il possibile per seppellire i cadaveri. Ora l'unica cosa che lo preoccupava era la ragazza: doveva portarla al campo, sistemarla su un letto, al caldo, e disinfettarle la ferita. Forse sarebbe sopravvissuta. Gli ci volle tutta la giornata per tornare al campo. Portò la ragazza sulla spalla destra, con la faccia rivolta verso la sua. Riuscì a trovare una forza che non sapeva di possedere. Fortunatamente, per un terribile caso della vita, la donna era leggerissima, denutrita. Matlocke ne sentiva le ossa dure sotto la pelle. Avanzavano molto lentamente. Matlocke continuava a deporre il fardello per riposarsi e per far piccole ispezioni intorno, per assicurarsi che nessuno potesse vederli. Decise, se avesse incontrato i guerriglieri, di sparare. Avrebbe perso la battaglia, di certo, ma non aveva nessuna intenzione di abbandonare la ragazza. Mentre avanzava a fatica sotto il sole, la ragazza cominciò a rappresentare per lui una cosa che valeva la pena di salvare, una cosa sottratta alla carneficina, un calice. Chi fossero i guerriglieri, chi fossero stati gli abitanti del villaggio, chi fosse la ragazza, non lo sapeva, e non aveva alcuna importanza. Da molto tempo ormai le ideologie contrastanti di quella guerra non significavano più nulla per lui, né per gli altri combattenti. Il conflitto era degenerato, gli eserciti si erano dispersi e avevano cominciato a saccheggiare le campagne. Matlocke sapeva che da qualche parte era stato costituito un governo centrale, ma si trattava di un governo inefficiente, privo di potere reale; nelle regioni più lontane si aggiravano bande di uomini, che non si sarebbero disperse per anni, ancora. Forse, a un certo punto, lui e Weston avrebbero fatto meglio a
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==