( L'edificio dell'amministrazione - una volta sorretto da palafitte, ma ora afflosciato nei punti in cui avevano trionfato l'umidità e le formiche bianche - dava al campo un suo centro seppure impressionistico. Weston aveva costruito la sua capanna in un punto leggermente rialzato del terreno, vicino a una striscia di recinzione ben conservata, quindi guardava giù, sull'edificio dell'amministrazione, sulle baracche diroccate e sul magazzino, sui resti verdemilitare di un camionicino vicino a una pompa di benzina pop, con l'ormai inutile tubo di gomma infilato nell'orecchio, e sulle pale rotte di un mulino a vento. Oltre le poche centinaia di metri quadrati originariamente sgombrati dalla vegetazione per costruire il campo (ormai visibili dall'alto solo come un patchwork verde e marrone appena disciplinato) una pianura ondulata, cosparsa di alberi spinosi, baobab, ed enormi cactus, si stendeva fino a lontane montagne violacee incappucciate di immobili nuvole bianche. In seguito, durante l'estate, le nuvole sarebbero diventate scure e avrebbero flagellato le montagne. Verso sud, a una ventina di chilometri di distanza, cominciavano le colline; in ogni altro punto era impossibile calcolare la distanza delle montagne. Erano lì da sette anni. Guardando giù, Weston osservò cupamente le aiuole maltenute di ortaggi, nelle quali razzolavano i polli e i maiali. Coltivare qualcosa su quel terreno selvaggio richiedeva una fatica incessante, della quale Weston era incapace. Con spirito volterriano, Matlocke ci lavorava per giorni, parlando con voce dolce alle piante che spuntavano solo per estinguersi, con certezza quasi assoluta. Ma da solo non poteva proteggere i germogli dagli animali, dagli insetti, dai cancri fungosi, dal sole detestabile. Si ritirava nell'edificio dell'amministrazione, con la vista offuscata. Weston e Matlocke si nutrivano di scatolette di manzo al curry, fagioli, minestra. L'acqua veniva da un avaro torrente, distante circa un chilometro; a volte dovevano scavare nella sabbia, prima di vederla affiorare, scura, tra le dita. La facevano sempre bollire. Davanti alla capanna, Weston si avviò saltellando verso il gabinetto; attraverso le lenti, i raggi del sole erano spade; il calore gli premeva sulla testa, dato che, contrariamente a Matlocke, non portava quasi mai il cappello -, i capelli folti costituivano una protezione sufficiente contro la minaccia del sole. Le cicale coprivano il verso degli uccelli con il loro, di acciaio che trapanava l'acciaio. Facevano il nido dappertutto. (Nell'edificio dell'amministrazione Matlocke si stava accuratamente pettinando i capelli color paglia.) Dentro il gabinetto fresco, Weston, seduto sulle assi di legno liscio sopra una buca profonda, osservava le foto ingiallite di pinup lasciate dai militari. Una di esse raffigurava una donna indiana, nuda, seduta in posizione del loto, le labbra della vagina aperte, eternamente invitante. O yoni. O centro. Weston agitò la chioma unta nella sua direzione. Lei sorrise, 'come sorrideva a tutti i soldati. Weston farfugliò qualcosa. Ricordò una spiaggia dell'adolescenza, risate e birra intorno a un falò. Su per le dune buie con una ragazza, nella bianca notte stellata, verso gli alberi; ubriaco di birra e di erba e della musica rock del mangianastri di qualcuno, aveva fatto dichiarazioni improbabili, sgorgate da centri di vera gioia: "O Dio, sei bella, voglio scoparti, ti amo." Era pazzo, allora, avrebbe fatto qualunque cosa per le donne. Il sapore dei capezzoli bagnati e salati. BibliotecaGino Bianco STORIE/WILHELM79 In un gabinetto, nella pianura desolata, Weston apostrofò dei inesistenti con le parole di Billy Bunter: "Brutti mascalzoni!" Niente donne. Per sette fottuti anni. Sette anni senza fottere. Fuori dal gabinetto, con i pantaloni azzurri da safari tirati su come il pannolino di un bambino, Weston si trascinò come un ballerino meccanico alla musica delle cicale. "Devo darmi una regolata," pensò, cominciando a rafforzare alcune zone della psiche. Fissò il mattino attraverso le lenti, fissò l'edificio dell'amministrazione sui suoi pali di legno marcio che avrebbero dovuto difenderlo da serpenti e scorpioni. (Due giorni prima Weston aveva visto una vipera africana, sul sentiero; aveva disegni commerciabili, sulla pelle, ma l'aveva fissato ansimante, gonfiandosi, come un coloniale arrabbiato.) Andò fino all'edificio dell'amministrazione e chiamò: "Matlocke. O Matlocke." Nessuna risposta. Certe volte Matlocke rispondeva, ma non c'erano regole precise. Weston continuava a non capire Matlocke, non c'era modo di prevedere il suo umore. Weston entrò nell'edificio dell'amministrazione, sali le scale nella frescura. Un tetto di ardesia teneva lontano la calura fino a metà mattina, ma la tratteneva a lungo dopo il calare del sole: così Weston tremava nella sua capanna mentre Matlocke giaceva sudato nell'aria densa e irritante. Dentro: una serie di uffici fiancheggiati da un corridoio centrale; c'era una grande sala aperta, un tempo la mensa ufficiali, con tavolo e sedie; una cucina e la dispensa con quello che restava della scorta di manzo al curry, fagioli e minestra. Ogni centimetro delle pareti era coperto di slogan, una tappezzeria di iniziali guerreggianti e di rivendicazioni improbabili. Fori di pallottole e schizzi di sangue ossidato punteggiavano gli slogan. Weston attraversò tutto l'edificio e trovò Matlocke nella sua stanza, dove tutto (libri, carte e ornamenti) era in ordine e al suo posto. Anche Matlocke era in ordine, anche se non al suo posto. Sui quarantacinque (di dieci anni più vecchiodi Weston), era una forma larga e bionda, sempre chino come se temesse di rompersi le spalle contro il cielo, una faccia ascetica incorniciata da una barba bianca, curata, composta da spunzoni duri. Matlocke aveva un paio di gelidi occhi azzurri sopra i quali abbassava frequentemente e volutamente le palpebre. Viveva per metà dentro, per metà fuori dalla vasta area del corpo, ossessionato dallo sbattere di palpebre e dalla respirazione. Non dimenticava mai di compiere queste azioni, come se senza uno sforzo conscio corresse il pericolo di restare con gli occhi fissi, senza respiro. A volte, eccessivamente conscio del proprio corpo, sperimentava un senso di vertigine. Desiderava il nirvana, ma nel frattempo doveva mantenere il cuore in movimento. Matlocke guardò Weston. La sua mano destra, simile alla pinza di un granchio, frugò sulla scrivania, trovò gli occhiali con la montatura d'acciaio, se li infilò. Era molto miope. "Ah, Weston." "Ah, Matlocke." Matlocke parlava piano, con una voce risonante da vicino, ma appena percettibile alla minima distanza. "Volevo chiederti. Hai sentito anche tu degli spari, verso mezzanotte, sulle colline?" Weston restò in silenzio, ma si contrasse all'improvviso, un tic dell'intero corpo. Non voleva pensare agli spari. C'era una piccola città vicino al confine, presa e ripresa molte volte, durante la guerra, una striscia diritta di catrame che si scio-
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