ALLFAINEDIUNAGUERRA Peter Wilhelm Weston stava sognando il diavolo. Sudava, nello stretto lettino di ferro, sotto una ruvida coperta kaki, e la coperta lo schiacciava, lo faceva sentire una cosa. La figura dell'aggressore possedeva le orribili caratteristiche di un disegno da fumetto: squame, pelle d'animale, artigli, l'aspetto assoluto della paura. Era avvolta da due ali nere, scintillanti come antracite; lo fissava con gli occhi rossi. Weston si agitò. "Devo svegliarmi" e "Questo è un sogno", mormorò a un certo punto. Ma lo spettro non se ne andava, e faceva cose intollerabili, inammissibili. Se ci fosse stata una donna, a letto con lui, si sarebbe arrabbiata per il digrignare di denti. Ma lo sfortunato Weston non aveva donne. Alla fine si svegliò; nere immagini si dispersero. In un angolo del suo cervello confuso, le note culminanti di una fuga di Bach svanirono. I suoi sogni avevano sempre una nevrotica colonna sonora. Si sentì violentato. Aveva un cattivo sapore in bocca, e sbottando, mugugnando, uuufff, espulse il fiato come un esorcismo. Ma il sogno non se ne andava. Weston frugò nella memoria in cerca delle immagini dei quadri medievali che aveva visto in Europa, nelle antiche cattedrali; di là, dalle ferali fantasie dei defunti maestri (pensò) era venuta la cosa. Quel tentativo di cercare una conferma storica al sogno lo lasciò insoddisfatto. Le ali di quel diavolo erano adorne di cerchi concentrici colorati, simili all'emblema della RAF, anche se i colori tendevano alle tonalità rosse, anziché viola, dello spettro: i colori umidi, del tutto privi della rarefazione dell'aria. Assolutamente simili, in realtà, all'improbabile veste mimetica delle enormi farfalle che ogni sera uscivano dalle rovine del campo militare in territorio selvaggio nel quale Weston si nascondeva con uno strano compagno. Pensando al sogno, pensando al suo compagno, Matlocke, Weston si sentiva oppresso da associazioni contrastanti; e lui odiava la complessità, voleva la durezza, in fondo al suo essere. Weston fissò la paglia secca della capanna, il soffitto conico, a cappello da strega, con i puntoni di legno che si irradiavano dal palo centrale piantato nel pavimento di terriccio sassoso; e le pareti rosse che non bastavano a proteggerlo dalla pioggia e dall'invasione del bush. Preferiva vivere lontano dalle baracche diroccate e dall'edificio scheletrico che aveva ospitato l'amministrazione, ormai, dopo anni, invaso dai rampicanti; ma si era mantenuto all'interno della radura un tempo pulita e ordinata del campo - all'interno, cioè, del filo spinato arrugginito che ormai riusciva solo a tener lontani gli animali grossi, non quelli piccoli o i serpenti. Stranamente, il numero imprecisato di polli e piccioni che Weston e Matlocke tenevano dentro il campo non diminuiva. Non scappavano quasi mai. Accettavano il perimetro del filo spinato, e vivevano con gli uomini e i loro coltelli da macellai dilettanti. (Weston li pugnalava a morte, poi li metteva nello stufato.) Forse preferivano quel macello all'altro, quello che c'era al di là del filo spinato. Matlocke, un contemplativo, sarebbe stato vegetariano, se avesse potuto scegliere. Così, invece, rosicchiava pollo e maiale bollito, per quanto senza entusiasmo. Weston si tolse la coperta dal corpo nudo, e restò sdraiato, immobile, nel mattino. Fuori dalla capanna, gli uccelli sbraitavano. Era un uomo di carnagione olivastra, di statura media, con folti capelli neri, lunghi e unti come uno straccio sulla faccia e sulle BibliotecaGino Bianco spalle accaldate. Era piuttosto peloso, e non si ràdeva. Puzzava. "Puzzo," annunciò alla capanna. "Avrei bisogno di un bagno". I particolari del sogno, sorprendentemente vividi al risveglio, stavano svanendo, e Weston scoprì che una componente sessuale(che non voleva esaminare attentamente) si era trasformata in chiaro desiderio. Si toccò con una speciedi perversa sofferenza, dato che non si sarebbe masturbato, e tornò ad assopirsi per parecchi secondi. Immagini balenanti di donne: seni, lingue, cosce. Weston si alzò a sedere e fece una manovra complessa: gambe rigide a sinistra, poi, lentamente, verso il basso, ruotando il busto. Si trovò a fissare cupamente il pene reclinato, la pancia scura, le ginocchia ossute, le dita callose e le unghie spezzate. Il pavimento era rivestito di vecchi fumetti, disegni sensazionali su carta ingiallita. Weston li aveva trovati nelle baracche; ora li conosceva in ogni minimo, noioso particolare: Paperino e quella stracciacazzi di Paperina, quell'impotente di Nembo Kid, l'Incredibile Hulk dalla pelle verde, Dracula il succhiatore. Abbandonate molto tempo prima, durante una ritirata, quelle figure leggendarie affollavano la fantasia di Weston. Le considerava l'apice dell'arte. Matlocke, con la sua Bibbia e la Bhagavad-Gita, si rifiutava di leggere i fumetti. "Gesù " diceva Weston, arrabbiandosi, "stanno marcendo! Tra qualche anno non ce ne sarà più nemmeno uno. Morirai senza sapere niente del simbolismo sessuale della pipa di Braccio di Ferro!" Sul letto, Weston grugnì. Poi si alzò e si vestì in fretta, programmando in anticipo ogni movimento fisico. Si costrinse a un atteggiamento deciso, positivo. Da uno scatolone di legno del té, tirò fuori senza guardare un vecchiovestito azzurro da safari, malandato, e un paio di sandali. Lo scatolone del té, il letto, e uno specchio crepato appeso al palo centrale erano gli unici mobili che possedeva. Questo pensò, poi dissecon la voce di un vecchio, "Non è più come una volta, caro mio, i tempi sono cambiati." Tacque e si trascinò in un grottesco balletto, in cerca di mozziconi di sigarette sotto i fumetti, sapendo che non ne avrebbe trovati ma cercando comunque, come un alcolizzato a caccia della bottiglia col provvidenziale dito di liquore in fondo. Dalla "finestra" schermata di carta da giornale - la luce perlacea del mattino filtrava dai vecchi titoli e dai caratteri sbiaditi - arrivò il verso di una gallina: "Coo-co. Coo-co." Parole. Weston si pulì accuratamente il naso con le dita, poi le dita sulla paglia. All'improvviso quell'azione lo disgustò e cercò di rimediare, appallottolando la paglia e lanciandola, attraverso i brandelli di stoffa della "porta", sul tratto di terreno rossiccio davanti alla capanna. Una fila di polli ci si buttò sopra avidamente. Come sempre, appena in piedi, Weston prese un'aria confusa, incerto in quale direzione muoversi. Di solito si trovava in preda a parecchi istinti contraddittori. Ora dondolò le braccia lungo i fianchi, aprendo e chiudendo le dita. Ogni tanto si grattava; le cimici imperversavano, là dentro. Decisione: doveva andare al gabinetto, e dopo aver appoggiato un paio di occhiali scuri sulla gobba del naso uscì fuori. Da molto tempo ormai il bush e i suoi insetti erano riusciti a penetrare nelle rovine; i resti del campo erano avvolti da erba secca e tenace, rampicanti fioriti, cactus maligni. Dovunque, nell'aria ferma e asciutta, galleggiavano insetti luccicanti; uccellicolorati pugnalavano col becco aguzzo il cuore di fiori a campanula. Il mattino era pieno di versi, di pigolii, che gli risuonavano nelleorecchie.
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