cosa di problematico, che si è chiamati a estorcere, ogni volta come se fosse la prima, all'accadere della musica. Più che un fatto, assodato e tranquilizzante, la "spiritualità" della musica colta è un compito: che paradossalmente riguarda non tanto chi scrive la musica quanto chi l'ascolta. "Le opere d'arte, e compktamente quelle di suprema dignità, attendono la loro interpretazione. Se in esse non ci fosse niente da interpretare, se esse ci fossero e basta, la linea di demarcazione dell'arte sarebbe cancellata." La frase è di Adorno, dalla Teoria estetica. È una di quelle frasi che restituiscono alla verità l'antica parentela con la limpidezza. Tradotta nel nostro contesto, dt1tta un'ipotesi che, nella sua apparente ovvietà, lascia il segno: si determina come musica d'arte, e dunque come musica colta, qualsiasi prodotto musicale a cui aderisca, nella realtà, la prassi dell'interpretazione. Ciò equivale a dire: nessun prodotto musicale è, a priori o in virtù semplicemente di una qualche particolare intenzionalità, qualcosa di più che un prodotto di consumo. Diventa qualcosa di diverso nel momento in cui scatta nei suoi confronti l'istinto all'interpretazione. Tradotto in prassi collettiva quell'istinto attribuisce all'opera, attraverso la pratica della riproduzione e della riflessione critica, una sorta di esistenza postuma che esorbita, nel tempo ma non solo in quello, la realtà e le intenzioni di chi quell'opera ha costruito dal nulla. È tale "vita seconda", e null'altro, che fa di un prodotto musicale un'opera d'arte, sottraendolo alla logica del consumo puro e semplice. Ogni interpretazione è la controparte di un mistero. Suscitano l'istinto all'interpretazione solo le opere che in qualche modo trascendono se stesse alludendo a qualcosa di più di ciò che pronunciano. L'interpretazione è esattemente il tentativo di articolare e portare a manifestazione quel più. Ha in ciò il suo momento di verità il luogo comune che collega la musica d'arte all'ambizione di una qualche spiritualità. È possibile che in quel loro essere di più di quel che fattualmente sono, le opere d'arte tracciano ciò che ancora è praticabile dell'idea di trascendenza. L'interpretazione, che abita il mistero delle opere d'arte, è la fattiva esperienza di una qualche trascendenza. Come nel ricordo, così nell'interpretazione ciò che un tempo semplicemente era assume forme e contenuti imprevisti e rivelativi. Simili colloqui col passato generano fantasmi: in essi si sono rifugiati i residui di ciò per cui un tempo si coniò il termine di trascendenza. In questo senso si chiarisce l'assunto che la spiritualità della musica d'arte è un compito, non un fatto. Essa prende forma nella prassi interpretativa, e in nessun modo è data prima di quella. Di fronte a un ascolto gastronomico e privo di mediazioni anche i più degni capolavori della tradizione musicale tornano a essere ciò che erano in origine: brillante musica di consumo. Non che, per ciò, essi perdano di dignità: semplicemente sfuma la possibilità di distinguerli, con qualche legittimità, dal resto della musica. Più che un preciso repertorio l'espressione "musica colta" dovrebbe definire un preciso atteggiamento di ascolto: quello per cui a essere ascoltato non è tanto ciò che l'opera dice quanto quello che tace. Un simile ascolto, che coincide col compito creativo della interpretazione, non è vincolato, a priori, a nessun repertorio particolare. Non è escluso, anzi è probabile, che in un domani nemmeno troppo lontano saranno fenomeni come quello del rock o del jazz a suscitarlo. Che non lo si possa affermare con certezza dipende dalla difficoltà a riconoscere, a caldo, la disponibilità di un'opera musicale ad aprire un dialogo con l'interpretazione. Ingenuo sarebbe comunque escluderla per principio nei prodotti di più spiccata natura commerciale. Buona parte della produzione mozartiana, per non fare che un esempio, nacque con finalità in tutto analoghe a quelle di un 45 giri. E le Nozze furono ciò che oggi sarebbe un intelligente e riuscito film hollywoodiano. All'opposto, nessun volontario BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE esilio dal contesto commerciale, nemmeno se condito con le oscurità linguistiche del caso, può legittimare tout court l'appartenenza all'orizzonte della musica colta. Il fatto che la cervellotica mediocrità di certa Nuova Musica sia catalogata in ' quell'orizzonte in virtù della sua gratuita incomprensibilità va considerato come una delle truffe del secolo. In realtà è nel tempo che si svela la vocazione delle opere a evocare l'interpretazione. Per questo, costitutivamente, l'orizzonte della musica colta è sbilanciato verso il passato: e dal processo chimico del tempo aspetta la messa a fuoco del proprio repertorio. L'orizzonte della musica colta è lo spazio di un colloquio infinito con opere del passato capaci ancora di interrogare. L'organo di tale colloquio è l'interpretazione. Se cade la disponibilità e la capacità a interpretare, tutto il glorioso repertorio della musica colta riscivola indietro verso l'indistinto della musica di consumo pure e semplice: e la linea di demarcazione che distingue la musica colta dal resto scompare. È ciò che in parte sta succedendo nella odierna vita musicale. Il pubblico ha un rapporto conflittuale con l'interpretazione: non ne può fare a meno, perché da essa dipende la stessa fruibilità della musica, ma la teme. Teme da essa l'incursione del diverso e del falso. Il mito della fedeltà al testo fa da copertura al panico per il nuovo. Dal wagneriano che strilla se il regista di turno veste Sigfrido in marsina al fachirismo delle esecuzioni filologiche, si consuma il dialogo col passato riducendolo a una vieta pratica di restaurazione. È esattamente il contrario di ciò che pretenderebbe un autentico atteggiamento ermeneutico. L'intepretazione di un'opera non è la sua spiegazione e tanto meno la ricostruzione fedele del suo volto originario. Essa è l'articolazione del possibile che la realtà dell'opera custodisce e il tempo porta in superficie. In certo modo è sempre una violazione dell'opera in quanto le estorce ciò che essa non pronuncia. Essa non lavora semplicemente a salvare il passato, ma a rileggerlo dall'anomala angolazione dettata dal presente. Tutto ciò è in genere mal tollerato dal sistema della musica colta. L'appiattimento delle esecuzioni, il dilagare di una scolastica e vuota perfezione, l'assenza di studi musicologici che non siano contributi archeologici e didattici alla conoscenza delle origini, l'immutabilità della prassi di fruizione sono tutti elementi che contribuiscono a eludere una precisa volontà emeneutica. In un contesto del genere ciò che davvero distinguerebbe l'orizzonte della musica colta - vale a dire l'apertura a un colloquio ermeneutico col passato - scolora in un generico passatismo, non diverso nella sostanza da quello che ispira gli acquirenti di salotti in stile Luigi XIV. A questi livelli, che lo si voglia o no, riesce difficile conservare all'ascoltatore di musica colta un qualche primato nel carnpo dell'esperienza musicale. A distinguerlo da un patito di Vangelis non è poi molto di più di quanto differenzia un collezionista di stampe antiche da un cultore di videogames. Giusto una sfumatura di signorile anacronismo. ,_
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