Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

filosofia moderna: dall'invenzione della mente di Cartesio, alla teoria della conoscenza di Kant, alla svolta linguistica di Russell e di Carnap. "Per come la vedo io, il genere di filosofia che discende da Russell e da Frege, proprio come la fenomenologia classica di Husserl, è semplicemente un ulteriore tentativo di mantenere la filosofia nella posizione in cui Kant desiderava porla: quella cioè di giudice delle altre aree della cultura, sulla base della sua speciale conoscenza dei 'fondamenti' di queste aree." (Specchio, p. 11). La storia dell' "epistemologia" che Rorty traccia è quella della conoscenza come rappresentazione, storia che affonda le radici nella metafora platonica della teoria come visione di essenze (di qui il titolo: la mente come specchio da ripulire, la verità come rappresentazione corretta). È sulla validità di questa ricostruzione teorico-storica, molto intricata nonostante lo stile brillante e piacevole (si legga il gustoso capitolo sugli Antipodiani, creature simili a noi ma "senza mente") che i filosofi di mestiere dovranno pronunciarsi (come hanno cominciato a fare i prefatori italiani). Indichiamo soltanto il passaggio dalla decostruzione della "epistemologia" al recupero del pragmatismo. Se l'ideale della "rappresentazione accurata della realtà", o della fondazione filosofica della conoscenza, si può considerare un miraggio dissolto, la conseguenza è per Rorty che bisogna abbandonare il vocabolario della teoria come visione e rifarsi alla "nozione prammatista di conoscenza che elimina il contrasto introdotto dai greci tra contemplazione e azione" (Specchio, p. 14). Rorty sembra condividere l'indicazione deweiana sulle origini sociali, di classe, dell'ideale della conoscenza come pura visione, ma non si spinge su questa strada che potrebbe portare nelle vicinanze del materialismo storico. Respinge inoltre tutto lo sforzo deweiano di ricostruzione filosofica, in sostanza il suo naturalismo. Accetta di Dewey ciò che a suo giudizio lo lega a "Foucault, James, Nietzsche: il senso che non vi è niente di profondo in noi se non quello che noi stessi vi abbiamo messo, nessun criterio che non sia stato creato da noi nel corso di una pratica, nessun canone di razionalità che non si richiami a un tale criterio, nessuna argomentazione rigorosa che non sia l'osservanza delle nostre stesse convenzioni" (Conseguenze, p. 37). Dewey cercava di dare nuove risposte a vecchi problemi; Rorty vuole invece "cambiare argomento", assumere "un atteggiamento estetico, relativistico" (Conseguenze, p. 78), dire addio con James e Nietzsche "a parole come 'verità' e 'scienza' e 'conoscenza' e 'realtà" (ivi, p. 159). In questa prospettiva il culto positivistico della scienza e della manipolazione tecnica non viene seriamente affrontato. Viene semplicemente messo da parte per giocare un altro gioco. Ma può davvero convincere, nel tempo delle guerre stellari e di Cernobyl, la proposta di assumere un atteggiamento rilassato, di pensare la scienza come una delle tante arti e, in definitiva, di "cambiare argomento"? UNASCRITIRICE CHEVIENEDALFREDDO Maria Schiavo Animale randagio Ci sono costanti, non sempre immediatamente visibili e comprensibili, che raggruppano gli scrittori fra loro, separandoli talvolta dagli altri a dispetto delle epoche in cui hanno avuto occasione di vivere. Non sembri strano: una di queste costanti, che li divide nettamente in due folte schiere, è il freddo. Mi spiego. La BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE prima di queste schiere sa anche troppo bene che cosa sia il freddo. L'altra a modo suo ne ha qualche notizia, ma il corpo dello scrittore che appartiene ad essa, riparato, ben protetto, non ne è mai stato raggiunto sensibilmente. Insomma la presenza o assenza di questo elemento è così importante da caratterizzare un'opera. li corpo dei primi, ad esempio, è scosso dalla ricerca quotidiana dei mezzi per sopravvivere, e questa lotta di spadaccini, di corridori metropolitani da un capo all'altro della città, in cerca della tal somma, del tal lavoro, segna in modo inconfondibile la loro pagina. Ogni volta che penso a questi precari che si rincorrono attraverso le epoche non posso fare a meno di ritornare col pensiero a colui che mi sembra, per primo, aver dato voce al corpo che ha freddo e fame, alla povertà dei mezzi di sussistenza che finiscono col confondersi con le qualità stesse della persona. Mi riferisco al poeta francese Rutebeuf quando, a metà del 1200, descrive con i seguenti versi quella condizione: Au temps où arbres se défeuillent/Et qu'il ne reste en branchejeuille/Qui n'aille à terre,/Pour lapauvreté qui m'atterre,/Qui de partout me fai! la guerre/Au temps d'hiver,/Beaucoup me soni changés !es vers/Et mon dit commence divers,/De pauvre histoire./Pauvre sens et pauvre mémoire/M'a Dieu donnés, le roi de g/oire,/Et pauvre rente/Et froid au cui quand bise venie. Ecco, quest'ultimo verso mi è sempre sembrato una rappresentazione realistica e colorita della povertà che non è assunta santamente come quella di S. Francesco, ma che come gli insetti fastidiosi, mosche nere d'estate e bianche d'inverno, perseguita lo scrittore randagio, che non ha potuto o voluto mettersi al riparo. La schiera degli scrittori che hanno "froid au cui quand bise vente" è poi ancora di più messa in risalto dal fatto che accanto ad essa, più o meno a eguale distanza, veleggia sempre l'altra, quella dei ben pasciuti, dei ben insediati nel mondo. A Baudelaire, nell'ideale contrasto, si oppone Hugo, a von Kleist Goethe, con qualche variazione, ma sempre abbastanza impercettibile, rispetto alla costante. La colorita immagine di Rutebeuf mi è ritornata in mente qualche tempo fa, a proposito di Anna Maria Ortese e delle sue difficoltà economiche, di cui si sono occupati i principali quotidiani. Certo, non era quella la prima volta, non molti anni fa c'erano stati altri casi illustri che la necessità economica aveva riportato agli onori della cronaca. Ma da vari indizi ho potuto rendermi conto che Anna Maria Ortese appartiene alla schiera sopraccitata, che il freddo non è un episodio recente della sua vita: l'ha accompagnata sin dall'inizio. Gli indizi più appariscenti sono anche quelli più grossolani: ad esempio, le reazioni di certa stampa. Fra tutti, in quell'occasione si sono distinti i libera/s di "Repubblica" con un articolo del 17marzo di quest'anno firmato da Natalia Aspesi. C'è stata un'epoca in cui l'essere marginale, randagio era di moda. Oggi per i libera/s non è più così. Hanno un vero e proprio ribrezzo per tutto ciò. Aver freddo vuol dire infatti per loro non essere stati in grado di procurarsi qualcosa di caldo. E questi snob sono abilissimi nel fustigare l'incapace. , La Aspesi, con il fiuto che la distingue, ha colto questo aspetto di Anna Maria Ortese proprio quando la scrittrice era più scoperta e indifesa, quando la necessità, e cioè quel

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