DISCUSSIONE CAMBIAREARGOMENTO? ERMENEUTICAE PRAGMATISMO IN RICHARDRORTY Cesare Pianciola Molte recensioni che mi è capitato di leggere sui· libri del filosofo americano Richard Rorty disponibili da qualche mese in italiano (Conseguenze del pragmatismo, Feltrinelli, L. 35.000; La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, L. 42.000) discutono la definizione di "libro epocale" con cui Diego Marconi e Gianni Vattimo iniziano la chiara e utile nota introduttiva al secondo volume. In realtà "epocale" vuol dire due cose diverse, a seconda che l'aggettivo sia usato in senso descrittivo e valutativo. È dubbio che il libro di Rorty sia destinato a '' fare epoca''. È certo invece che intende presentarsi come documento di un'epoca nuova (rispetto ai modi di far filosofia nel passato). Una delle tesi forti dei saggi di Rorty è che la Filosofia quale ci è stata consegnata dalla tradizione, con i suoi problemi da manuale e in particolare con la centralità del problema della conoscenza ("epistemologia" nel ricalco inglese dei traduttori), abbia esaurito il suo interesse, così come il vocabolario teologico non è più, dopo l'illuminismo e la secolarizzazione, quello che usiamo normalmente per descrivere quello che ci capita (anche se come discorso specialistico la teologia continua a vivere e magari ad avere dei revivals). La Filosofia che ha esaurito la sua carica euristica e l'antica pretesa di fondazione della conoscenza, della morale, della attività estetica, sia che classicamente si presenti come antologia del Vero, del Bene e del Bello, sia che modernamente si presenti come indagine sul rapporto tra Mente e Realtà e analisi trascendentale, kantiana, sui poteri costitutivi della Mente, sia infine che, ancor più modernamente, si presenti come analisi del Linguaggio e voglia trovare nel linguaggio quel fondamento che Aristqtele cercava nelle cose e Kant nella struttura della mente. In sostanza in Rorty ci sono tutte le tipiche convinzioni dell'ermeneutica e di quello che in Italia si chiama "pensiero debole": intrascendibilità del linguaggio, rinuncia alle pretese filosofiche forti, consapevolezza storicistica che ogni discorso è una costruzione culturale provvisoria, privilegiamento della persuasione retorica rispetto alla dimostrazione, della cultura letteraria rispetto a quella scientifica. La cultura post-Filosofica che Rorty auspica congeda la Filosofia con la maiuscola per lasciare spazio alla filosofia con la minuscola: "è un'analisi dei rispettivi vantaggi e svantaggi dei diversi modi di parlare inventati dagli uomini. Detto in breve, somiglia molto a quella che è stata chiamata 'critica della cultura' ... Il moderno 'critico della cultura' occidentale si sente autorizzato a intervenire su qualsiasi argomento. Egli è una prefigurazione dell'intellettuale multiuso di una cultura post-Filosofica, il filosofo che ha accantonato le pretese della Filosofia. Egli passa rapidamente da Hemingway a Proust a Hitler a Marx a Foucault a Mary Douglas all'attuale situazione nel Sud-est asiatico a Gandhi a Sofocle. È un diluvio di nomi, usati come riferimento a insiemi di descrizioni, sistemi simbolici, punti di vista. La sua specialità è quella di vedere somiglianze e differenze fra le Grandi Forme, fra i tentativi di istituire una coerenza tra le cose'' BibliotecaGino Bianco (Conseguenze, p. 35). Questo intellettuale specialista del "raffronto e contrasto interminabile dei vocabolari" manda in bestia il Platonico e il Positivista perché rifiuta la contrapposizione tra apparenza e realtà, opinione e scienza, che sostanzia la tradizione culturale dell'Occidente. Un filosofo che combatte "lo spirito di serietà" con il Sartre nichilista, si aggira con disinvoltura tra i tavoli dei vari giochi linguistici con l'ironia dell'ultimo Wittgenstein, fa a pezzi la metafisica occidentale insieme a Heidegger e a Derrida, e non vuole essere costruttivo ma edificante: "Il tentativo di edificare (noi stessi o altri) può consistere nell'attività ermeneutica di operare connessioni tra la nostra propria cultura e qualche cultura esotica o un qualche periodo storico, oppure tra la nostra disciplina e un'altra'disciplina che sembri perseguire scopi incommensurabili in un vocabolario incommensurabile. Ma può invece consistere nell'attività poetica di escogitare questi nuovi scopi, nuove parole e nuove discipline, seguita da un atteggiamento per così dire inverso rispetto all'ermeneutica: dal tentativo cioè di reinterpretare l'ambiente che ci è familiare nei termini non familiari delle nostre nuove invenzioni. In entrambi i casi l'attività (malgrado la relazione etimologica tra le due parole) è edificatoria senza essere costruttiva - se 'costruttivo' indica il tipo di cooperazione nel completamento di programmi di ricerca che ha luogo nel discorso normale. Infatti il discorso edificante si suppone che sia anormale, che ci tragga fuori dai nostri vecchi io con la forza dell'estraneità, e ci aiuti a diventare degli esseri nuovi" (Specchio, p. 276). Il personaggio delineato da Rorty potrebbe essere tutto sommato simpatico (un formidabile conversatore in pantofole che lascia in guardaroba i panni reali e curiali del Teatro Filosofico), se non fosse così vicino ali' "intellettuale da rotocalco proliferato in questi ultimi tempi" che cavalca allegramente la '' giostra letterario-storico-antropologico-politica'' ( Conseguenze, p. 33). (Ma bisogna riconoscere a Rorty il merito della franchezza e scontare un certo gusto per la provocazione dei colleghi "costruttivi" di Princeton che ha lasciato per il dipartimento di Humanities dell'Università della Virginia). La proposta di Rorty rifletterebbe semplicemente l'air du temps se non ci fossero due tratti che lo contraddistinguono rispetto al panorama ermeneutico-decostruttivo europeo, due tratti che derivano dalla tradizione culturale americana: l) il confronto serrato con gli sviluppi della filosofia analitica (la filosofia del linguaggio di derivazione neopositivistica che elaborata a Oxford allignò negli Stati Uniti negli anni '50 soppiantando il pragmatismo e il naturalismo della fase precedente), e 2) la rivendicazione dell'eredità pragmatista che egli intende combinare con gli apporti europei dell'esistenzialismo e della filosofia ermeneutica. La miscela rortiana ha un suo sapore particolare per questi ingr_edienti. Per quanto riguarda il primo aspetto, Rorty ci racconta il progressivo esaurimento del programma neopositivistico di trasformare la filosofia da speculazione in scienza concentrandosi sull'analisi del linguaggio e mettendo appunto un numero circoscritto di problemi da risolvere. Negli Stati Uniti, egli dice, "gran parte dei filosofi è più o meno 'analitica', ma non c'è nessun accordo su di un paradigma interuniversitario di lavoro filosofico, né alcun accordo su un elenco di 'problemi centrali'. L'unica speranza per un filosofo americano è la promessa di Andy Warhol che diverremo tutti famosi, per circa 15 minuti ciascuno" (Conseguenze, p. 215). Il fallimento pratico degli intenti del programma neopositivistico è spiegato nello Specchio... con un'ampia discussione teorica che utilizza i risultati della dissoluzione interna dei capisaldi della filosofia analitica nei suoi più recenti rappresentanti (Quine, Sellars, Davidson ecc.). Questa dissoluzione è vista come ulti_mafase del percorso fondazionista della
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