Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

infatti in gran parte l'equivalente di quel che erano i colletti blu del periodo trascorso. In realtà è caduta la coincidenza degli interessi operai con quelli della società umana in generale, e la prospettiva della funzione universalmente liberatrice della classe operaia. Nonché abbandono o tradimento, l'assunzione piena dell'eredità della borghesia da parte delle organizzazioni operaie torna a rappresentare essenzialmente gli interessi tradeunionistici degli operai (uso per brevità la nota espressione di Lenin). E si va figurando una convergenza, più ancora che un'alleanza di operai (o "lavoratori") e borghesi quali creatori e figli della civiltà europea urbana, scientificoindustriale, colonizzatrice. La comune eredità e la convergenza emergono come anacronismo. Sono inattuali, da una parte, i valori del libero mercato, della preminenza dell'individuo e della sua libertà, la fiducia nelle sconfinate possibilità della mente e dell'attività umane, nel progressivo perfezionarsi della conoscenza e della conquista dell'universo, nello sviluppo economico (capitalistico) illimitato. Dall'altro lato (ma di conseguenza) è inattuale presentare questi valori come via per il riscatto dei più deboli e degli oppressi, insomma come il contenuto di un orientamento ultrariformistico, se pure non più rivoluzionario. La ricongiunzione dei grandi miti borghesi e di quelli proletari è l'immagine di un passato, in questi termini ormai concluso. Può valere come oppio, mistificazione di ben altro. Un programma di miglioramento delle attuali condizioni della gente in generale, e dei più calpestati in particolare, va dissociato in primo luogo dal perseguimento del progresso e dello sviluppo nell'accezione odierna. (Dovrebbe esser chiaro, d'altra parte, che tornare a sposare progresso e sviluppo quali si concepivano nel passato sarebbe come proporre assurdamente di ripetere il cammino già percorso). Anche la civiltà cinese era stata urbana, ma fondata sull'agricoltura e su un artigianato di altissima qualità. Instaurare un rapporto con l'Occidente industriale era inevitabile, come ho detto, se ai contadini cinesi si voleva proporre un'effettiva liberazione: era l'imperialismo ad aver fatto il primo passo, e dalla metà del secolo scorso la colonizzazione capitalistica era intrecciata al vecchio dominio di classe. D'aitra parte assumere come modello la civiltà europeo-urbana, scientificoindustriale, colonizzatrice, era contraddittorio e ritardato. (L'anacronismo oggi raggiunge il paradosso). La storia del partito comunista cinese e dei suoi conflitti interni è per larga parte la storia del duplice atteggiamento di accettazione e di rifiuto di quel modello, con le complesse e molteplici implicazioni che ne conseguono. Fra i dirigenti comunisti Mao Zedong, sulla via tracciata dal suo maestro Li Dazhao, è quello che ha ricercato e rivendicato con più costanza l'autonomia cinese, con i contadini soggetto centrale della rivoluzione. Eppure anche su lui il modello europeo esercitava una suggestione, non soltanto attraverso la mediazione dell'Internazionale e della teoria marxista. Egli si colloca al confine fra gli ultimi esiti del trionfo borghese e della rivoluzione proletaria e l'attuale capovolgimento di prospettive, quando l'ideologia dello sviluppo illimitato è esaurita, e con essa l'attesa della fine della "preistoria". Con l'opera rivoluzionaria di Mao, contenuti di cui si era appropriata la conservazione tornano patrimonio delle classi "avanzate" su quelle "arretrate", dei borghesi sugli operai e degli operai sui contadini, dell'industria sull'agricoltura, della città sulla campagna. Gli individui e i gruppi sociali che si rivoltano contro il sistema di potere esistente non si propongono di necessità come candidati alla formazione di una nuova élite. Emerge una concezione di eguaglianza nella diversità, che è per gran parte implicita già in alcuni scritti di Mao degli anni cinquanta e sessanta (per esempio, nel modo in cui sono affrontate le contraddizi-oni della società nel testo I dieci grandi BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE rapporti). Torna attuale la lotta dei subalterni contro ogni condizione di subalternità, in ogni luogo e in ogni tempo, con prospettiva di successo perché non ci si aspettano soluzioni definitive. Mao Zedong non ha mai abbandonato del tutto l'evoluzionismo della sua giovinezza; e tuttavia sempre più chiaramente ha dato forma all'idea della lotta senza fine che, esclusa ogni conclusione o palingenesi (negazione della negazione), dovranno condurre gli oppressi, i colonizzati, gli sfruttati, quelli che nella società occupano le posizioni inferiori e sono soggiogati da altri, diversi e simili nei tempi e nei luoghi diversi. Il confronto fra una civiltà al suo apogeo in Europa, coronata da due secoli di rivoluzioni, e il collasso della lunga tradizione del suo paese, con i cinquant'anni turbinosi che ne sono seguiti, l'uso critico di ciascuna nel giudicare l'altra, ha consentito a Mao di uscire, col suo popolo, dal ciclico alternarsi di squilibrio e "grande pace", dalle rivolte senza altro sbocco che il ritorno alla conservazione, nelle rinnovate dinastie. Nello stesso tempo, contro gli altri dirigenti comunisti "filosofi occidentali" è rimasto "filosofo cinese", non lo ha assorbito l'illusione (che ancora ci tiene, tanto che ne avvertiamo il venir meno come catastrofe) di vivere in un'epoca privilegiata, nel momento di sintesi della storia quale teologia rivelata. La lotta è senza fine ma non ripetizione cìclica priva di risultati, l'assimilabilità di tempi e di luoghi non è l'immobilità conservatrice: si tratta piuttosto della contestualità e della sincronia. CHEFINEHANNOFATIO LECLASSISOCIALI Francesco Ciaf aloni A poco più di dieci anni di distanza il saggio di Paolo Sylos Labini Le classi sociali negli anni '80 (Laterza, pp. 258, L. 15.000) riprende, almeno nel titolo, temi e problemi del Saggio sulle classi sociali. Quello di oggi è in effetti un libro assai diverso da quello, perché non si occupa solo, anzi non si occupa quasi, delle classi sociali in Italia, ma estende la trattazione ai principali (o a tutti) i blocchi socioeconomici del mondo. È inoltre cambiata l'ottica della trattazione e il clima culturale in cui che la trattazione è inserita, sono cambiati gli interlocutori. Il libro del '74 era un libro controcorrente, si rivolgeva a un pubblico (o si esprimeva in un clima) dominato da una vigorosa ripresa di varie scuole marxiste per cui che le classi sociali esistessero era un fatto (poteva essere persino complicato parlare assumendo che ci fossero le classi sociali, non necessariamente due, non necessariamente proletariato e borghesia ecc.), ed era dominante la tesi della polarizzazione, in qualche caso addirittura dell'autonomia di comportamento e degli effetti dei comportamenti delle due classi antagoniste. Il libro sosteneva invece che non c'era polarizzazione in atto; che la classe operaia era negli ultimi decenni in contrazione (in Italia) e che erano in aumento i ceti medi. Il libro era discutibile e fu discusso. Furono criticati i criteri (l'obiezione di Maitan per la inclusione dei contadini nella piccola

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==