Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

DISCUSSIONE ne fa mezzo di abbrutimento dei più e di distruzione delle condizioni di vita sul pianeta. Ma il contributo e la grandezza di Mao, indistricabili dalle specifiche condizioni che li hanno prodotti e nel le quali egli ha operato, si riassumono essenzialmente in un punto. La recitazione del grande scontro fra città e campagna in Cina, dentro il partito comunista, ha prefigurato in immagine esemplare il dramma che nei nostri anni coinvolge il mondo intero. Il partito comunista cinese si è trovato a mezzo fra due epoche, e per la maggior parte i suoi dirigenti non hanno saputo capirlo, incapaci per un verso di non ripetere in sé le forme classiche della burocrazia celeste, e per l'altro guardando all'evoluzione industriale-urbana dell'Occidente con occhi desideranti, da servi. L'assunzione di quel modello non era forse la via suggerita dal movimento comunista internazionale? E senza dubbio soltanto il legame col movimento internazionale, l'inserimento nella prospettiva epocale della lotta proletaria contro la società di classe e contro l'imperialismo consentivano per la prima volta alla ribellione contadina di uscire dai limiti dellajacquerie e dalla riproduzione ciclica del sistema di potere. "Modernità" significava pure contestare l'universismo della vecchia Cina, la chiusura di una civiltà, estrema e incompatibile nel nostro secolo con la generale convivenza umana. Eppure già negli anni venti, dopo la presa del potere in Russia, si era rivelata l'insostenibile contraddittorietà dell'ipotesi che voleva la classe operaia antagonista della borghesia e, a un tempo, erede del sistema produttivo e della filosofia borghesi. Via via che la borghesia andava scomparendo ad opera delle rivoluzioni, o per intrinseco esaurimento e trasformazione, si dissolvevano i contenuti e il senso dell'antagonismo proletario; e si accentuava l'assunzione dell'eredità borghese da parte delle organizzazioni operaie. Finché si è arrivati al punto che i rappresentanti politici della classe operaia, nell'Europa capitalista e in quella socialista, interamente assimilati nella ·tradizione di pensiero che fu della borghesia, sono i più accaniti e conseguenti sostenitori della priorità del profitto, della crescita quantitativa, dello sviluppo economico costi quel che Originale di una poesia di Mao. BibliotecaGino Bianco costi, dell'asservimento alla logica produttivistica degli specialismi scientifici e culturali, e della gente comune nella duplice veste di forza-lavoro e di consumatrice. Dalla grande filosofia borghese del secolo scorso il marxismo aveva ereditato il mito illuministico, che attribuiva al proprio tempo un carattere eccezionale, al vertice di un lunghissimo ciclo di civiltà, ed ai borghesi portatori dei lumi la missione di coronarlo e concluderlo, uscendo dalla "preistoria" dell'umanità. Ma a cavallo di due epoche, stretti nella contraddizione fra il pensiero di libertà e l'esercizio alienante del potere di classe, essi non avrebbero saputo realizzare quella missione. Solo l'ultima delle classi oppresse, avversaria ed erede della borghesia - il proletariato industriale - avrebbe portato a termine il compito prefigurato dalla rivoluzione francese. La funzione della classe operaia e il suo destino si disegnavano entro una visione globale e universale della storia umana. Ma questa era identificata con la storia d'Europa, la cui evoluzione fungeva da modello per ogni altra, sul presupposto della sua assoluta superiorità e unicità. La demistificazione marxista delle ideologie non arrivava a scoprire, nell'affermata necessità e anzi positività della colonizzazione culturale, l'apologia della colonizzazione tout court. L'entrata nell'area capitalistica era indicata come la via migliore e anzi la sola, per ogni popolo, per mettere in atto la dialettica della propria liberazione. Si respingevano così ai margini, anche nella prospettiva futura, le grandi masse di lavoratori non industriali, ai quali era lecito solo essere pre-industriali. Di più: i sistemi socioeconomici delle tradizioni diverse da quella europea potevano essere solo preborghesi e precapitalistici. Al di sotto della sfera industrializzata e del proletariato urbano restava un'immensa zona subalterna, composta di ex colonizzati e neocolonizzati I esterni e interni, nella figura ·doppia e intercambiabile di sfruttati e di marginali. Non solo per motivi inerenti alla struttura del potere non si è mai realizzato l'autogoverno operaio - salvo brevi episodi -, ma per la stessa composizione delle classi nella società internazionale si è così disfatta l'ipotesi che voleva il proletariato urbano ultima fra le classi e fondatore della società senza classi. Il senso di vuoto che si prova di fronte al discorso socialista nei vecchi termini dell'egemonia operaia non è dovuto, come sembra, alla perdita di centralità degli operai nella nostra società. Gli addetti a mansioni subalterne formalmente non operaie, nell'industria e anche nel terziario (anche la nozione di terziario sta diventando sempre più imprecisa e andrebbe ridefinita), sono

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