Fitzgerald e la moglie Zelda. BibliotecaGino Bianco AUTOPRESENTAZIONI Francis Scott Fitzgerald Questi brevi testi sono stati riportati alla luce, assieme ad altri di minor interesse, da M.J. Broccoli e J.R. Bryer nel volume F. Scott Fitzgerald in his own time edito dalla Popular Library, New York 1971. li primo è un'autointervista apparsa sulla "New York Tribune" del 7 maggio 1920 come intervista di un immaginario Carleton R. Davis al giovane autore di Di qua dal Paradiso pubblicato da poche settimane. Doveva, nelle intenzioni di Fizgerald, servire al lancio del libro. li secondo testo apparve sulla rivista "Bookse!ler and Stationer" del 5 gennaio 1923. AUTOINTERVISTA(1920) Con la precisa intenzione di cogliere Fitzgerald di sorpresa ascesi al ventunesimo piano del Biltmore e bussai in perfetto stile cameriere alla porta. La prima impressione, entrando, fu il caos ... un caos da fiera di beneficenza. In piedi, al centro della stanza, un giovanotto volgeva qua e là lo sguardo assente. "Cerco il mio cappello", disse come stupefatto. "Buon giorno. Venga, venga dentro, e si metta a sedere sul letto". L'autore di Di qua dal Paradiso è robusto, spalle larghe, statura poco sopra la media. Ha i capelli biondi che accennano appena a un'onda, gli occhi verdi, all'erta - un insieme vagamente nordico. È persino bello, e la cosa mi stupì perché mi aspettavo occhiali e naso affilato. Ci furono alcuni preliminari ... sui quali tuttavia non mi soffermerò. Possono riassumersi nella ricerca di oggetti: sigarette, cravatta blu a pallini bianchi, posacenere. Ma poiché egli appariva più che disposto a discorrere e sensibile alle mie domande, puntammo senza indugio alle sue idee in fatto di letteratura. "Quanto tempo le ci è voluto per scrivere il libro?"cominciai. "A scriverlo ... tre mesi, a pensarlo ... tre minuti. A raccogliere i dati ... tutta la vita. L'idea di scriverlo mi è venuta il pr.imo luglio scorso. È stato per così dire un modo diverso di perder tempo". "Quali progetti ha adesso?" gli chiesi. Emise un lungo sospiro e si strinse nelle spalle. "Che cavolo ne so. Il respiro e la profondità e la portata dei miei scritti giacciono nel grembo degli dei. Se la conoscenza verrà naturalmente, con l'interesse, come Shaw imparò l'economia politica e Wells divorò la scienza moderna, allora sì sarà super. Quanto a studiare - cioè a "preparare" un argomento - la mia fede non smuove un formicaio. La conoscenza deve urlare per farsi conoscere - urlare che soltanto io posso afferrarla, e allora mi ci butto a capofitto come mi sono buttato in ... tante cose". "Per favore ·sia chiaro". "Beh, se ha letto il mio libro lo sa anche lei cosa voglio dire. Sono tanti i mari dell'egotismo adolescenziale in cui mi sono tuffato. Ma quello che volevo dire era che se le cose grandi non si impadroniscono di me ... allora vuol semplicemente dire che non sono fatto per essere grande. Il consapevole dibattersi per trovare la grandezza fuori, per sostituire la grandezza dell'argomento alla grandezza della percezione, per creare un oggettivo Magnum Opus come The Ring and the Book [ di Robert Browning], beh, qui siamo agli antipodi degli obiettivi che io mi pongo in letteratura. "Un'altra cosa", continuò, "Il mio intento è quello di parlare sempre alla mia generazione. Uno scrittore che sa il fatto suo scrive secondo me per i giovani della propria generazione, per i critici di quella successiva, per gli insegnanti di tutte quelle che seguono. Ci metta pure la capacità di migliorare stilisticamente ciò che imita, di scegliere i suoi materiali a partire dalla sua personale interpretazione delle esperienze che lo circondano, e avremo il genio di prima grandezza". "Lei ritiene di essere ... di essere ... insomma nel solco della grande tradizione letteraria?" chiesi timidamente. Si animò. Ebbe un sorriso smagliante. Capii che aveva in serbo la risposta. "Non esiste la grande tradizione letteraria" sbottò. "Ma solo la tradizione della morte
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