Credo di capire la tecnologia. Con la pellicola gli effetti si ottengono con procedimenti molto complicati. Quello che si fa in un mese con la pellicola si può ottenere in cinque giorni di studio con un Mirage. Mi piacciono tutti gli effetti speciali, perché credo che rappresentino la via migliore per lasciare del tutto libera la tua fantasia, per creare qualcosa di nuovo, un nuovo spazio nello spazio. Essere nel video, oggi, vuol dire anche non doversi continuamente confrontare con la storia, con il passato, e questo permette una maggiore libertà e apertura. Non sei obbligata a fare qualcosa come si pensa che debba essere fatta. È un campo infinito. E c'è anche una grande richiesta adesso. Intendi dal punto di vista professionale? Sì, anche se non si è pagati molto, e non ci sono grandi riconoscimenti perché ci sono ancora pochi spazi per mostrare la video arte, e spesso la gente non sa neanche cos'è. Pensandoci bene, il maggior difetto della videoarte è che dà pochi soldi, ma è sempre meglio adesso di quando ho cominciato. Tu insegni anche, mi pare. Non più, ho insegnato fino al '76, '77, poi ho smesso. È un buon modo per sopravvivere ma è duro se si vuole fare qualcos'altro. Che rapporto hai con gli artisti che devi ritrarre? La maggior parte li conosco già, anche se nella vita non ho molti veri amici. Altrimenti mi documento, cerco di sapere tutto quello che si può su di loro e alla fine del lavoro ho guardato il mio ritratto così tanto che ho l'impressione di conoscere la persone perfettamente. È molto divertente. Tu hai ritratto soprattutto artisti americani e francesi: che differenze hai trovato? In America gli artisti sono più orientati verso il fare e anche il mio lavoro ne risente. Quando andai in Francia rimasi molto sorpresa che l'arte fosse così diversa. Si pensa di più, anche la parola è più importante. In Francia la parola è diventata un'arte, le parole sono la nuova pittura. Così anch'io mi sono trovata nel mio lavoro a rallentare, a pensare di più. Nei miei video "francesi' tutto va più lento, c'è molta slow motion, meno frenesia che in quelli americani. Hai fatto anche ritratti muti, i Silent portraits. Com'è lavorare senza suoni? Sono i pezzi più difficili che ho fatto in vita mia. Si sta seduti, di fronte a se stessi, e il soggetto è seduto di fronte a se stesso. Quando ci si guarda è come vedersi allo specchio, vedere quel che l'altra persona pensa, i pensieri, i sentimenti .... Era davvero molto difficile e ora ho smesso di farne, almeno per un po' di tempo. Posso fare un 30 seconds spot molto facilmente, con dichiarazioni, interpretazioni, in maniera attiva. Nei ritratti muti tutto è molto passivo e rivelatore. La maggior parte ne hanno paura, e anch'io ho un po' di paura, ci si espone molto. Le parole sono il nostro scudo, riempiono lo spazio e ci coprono bene. Dove ti collochi durante queste riprese? Nella stessa stanza, direttamente di fronte alla persona che riprendo. Di solito sto di fianco alla telecamera ma non sono realmente interessata ad essa, la uso come tramite fra me e l'altra persona. Nella pittura tu puoi catturare un certo momento e farlo apparire poi sulla tela ma col video devi coglierlo all'istante, è come cristallizzarlo. Quel pezzettino di tempo diventa molto importante. Dicono che in Africa una volta la gente si spaventava quando ero fotografata perché pensavano che gli si portasse via l'anima, ma questo avviene anche oggi, qui da noi. La gente pensa che col video gli porti via una parte di loro, una parte di quel tempo di cui si parlava. Il primo tuo ritratto che ho visto è proprio quello di un ragazzino negro. È il mio primo ritratto in assoluto. Vivevo con un antropologo e una mattina stavo semplicemente sistemando una telecamera e mettendola a fuoco quando quel bambino si è messo di fronte a me, guardandomi. In quel momento ho capito, e ho deciso, che la mia vita era al di là della fotografia. Mi ha colpito molto il tuo autoritratto con tua madre, il vostro rapporto silenzioso che alla fine diventa in entrambe un pianto: Mi sono messa a piangere anch'io. Joan logue (foto di Fulvia Farassino). Mia madre era venuta a trovarmi a New 5! York. Non ci era mai venuta e io vivevo in una casa senza riscaldamento. Quando stava in casa mia, seduta di fianco a me, le ho chiesto di guardarmi negli occhi e parlavamo così, solo con gli occhi. È stato il primo passo verso la nostra conoscenza. Ho capito qualcosa di più, in questo modo silenzioso, qualcosa che non avevo mai capito. Ho visto in lei mio padre e la sua morte, e lei anche, e ora che sta diventando vecchia la sua morte è passata attraverso la sua età. È un pezzo molto triste. Fare del video per te è in qualche modo terapeutico? Sono in analisi, dal 1969 se non sbaglio. E trovo che più analisi faccio più il mio lavoro diventa migliore, meno ho paura di me stessa e meglio posso stare di fronte a un'altra persona. Sicuramente faccio ritratti perché voglio una vera famiglia, ma ho anche deciso di non avere una vera famiglia sposandomi e facendo figli. Così ho creato la mia famiglia, ogni nuovo ritratto è come un altro bambino che arriva e che io devo guardare per capire cosa mi dà. (Salsomaggiore, aprile 1986. All'intervista ha collaborato Michela Moro). INCONTRI POUTICS & SEX Incontrocon Gregory Corso a cura di Alberto Masala Alberto. In Georgia nientefucky-fucky in culo e niente blow-Jobs? Gregory. È per questo che non vivo in Georgia, è per questo che amo l'Italia! II Gregory. Perché le basi USA in Italia? Alberto. Si sono installate qui dopo la seconda guerra mondiale. Gregory. Continua l'occupazione? Alberto. Non ufficialmente. C'è una certa collaborazione comprata dagli USA. Gregory. Se io negli USA vedo della basi italiane, vado fuori di testa. Avrei il desiderio di buttarle fuori. Alberto. Anch'io. Gregory. AJlora, cosa state facendo per questo? Alberto. Non possiamo fare molto perché anche la sinistra, in Italia, dice che possiamo stare nella NATO. Loro (la NATO) hanno un'ottima organizzazione promozionale. Gregory. Si. Mi piace solo il comunismo italiano, non quello sovietico o qualsiasi altro comunismo. Ma credo che queste basi rendano gli italiani, Comunisti e Democratici, piuttosto nervosi. Alberto. Non è così facile. Il comunismo in Italia ha avuto una storia difficile. Devono dimostrare che non mangiano bambini. Così diventano moralisti (noi lavoriamo ... , paghiamo le tasse ... , siamo pacifisti ... eccetera). Gregory. Dove pensi che l'Italia stia andando? Laragione per cui te lo chiedo è perché so che molti giovani italiani hanno la sensazione che l'Italia sia un burattino dell'America. Alberto. Sì, lo è. Certamente. Gregory. Oh oh ... Alberto. Eh eh .. (Bologna, 12 luglio 1986)
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==