54 La parte mitica mi pare non soltanto funzionale alla morale attuale, alla lezione politica, ma è nello stesso tempo viva, percorsa dalle contraddizioni della situazione e dei personaggi, e rituale, ieratica, leggendaria. Oggi non è più possibile fare delle ricostruzioni. È necessario rendere il clima moderno mantenendo il racconto in una sfera mitologica, sul filo di un equilibrio difficile e complesso, ma affascinante. Così ho studiato attentamente le miniature persiane del 15° e 17° secolo, ma nello stesso tempo con l'idea di costruire pochissimo. La scena è costruita dalla luce e dalle rovine, non da elementi scenografici in senso stretto. Il film è ambientato in una zona archeologica, in un vecchio quartiere di Haifa, Wadi Salib, dove sino al '48 vivevano i palestinesi e poi si sono insediati gli ebrei africani; è un quartiere che, in seguito a disordini politici, è stata abbattuto dal comune. Queste rovine al centro della città - ed è la mia città - producono una strana sensazione, soprattutto per uno come me che ha una formazione di architetto e una precisa concezione urbana. In questa scena ricca di memorie e di significati e di suggestioni ho fatto muovere i personaggi e i cortei, scene di festa e di governo, ma con una continua intrusione, da angoli sempre diversi, di un narratore, e con una continua presenza della macchina da presa come elemento del racconto. Il film è strutturato in pochi e ampi piani sequenza, 39 in tutto, tra cui uno della durata di undici minuti. Come nella Bibbia, anche nel film la storia è divisa in capitoli. Ogni capitolo costituisce un piano nel quale sono inscritte tutte quelle irregolarità sonore e visive di cui parlavo, e ricostruisce una certa mia idea dell'Oriente e, in esso, del testo sacro. La lunga carrellatafinale in cui gli attori ancora con gli abiti di scena, via viaritrovati lungo la strada di Haifa, parlano delle proprie storie, l'intellettuale ungherese che sognava Israele come il paese biblico in cui stillano latte e miele, l'ebreo alessandrino discriminato in Egitto e discriminato in Israele, il palestinese che odia il mito di Mardocheo in quanto mito della vendetta razziale, Esther "incosciente" che non sa che parlare della bellezza del sole del deserto, è un momento essenziale della dialettica del film. È stata pensata contestualmente alla parte mitica? Sin dall'inizio, volevo che a un certo punto la storia si fondesse con il presente, che esprimesse direttamente visioni e contraddizioni attuali; ma la soluzione cinematografica fu trovata al momento delle riprese. Ti senti vicino al modo di trattare il mito di Pasolini, di riflessione sulla parte di sé tradotta nell'esperienza collettiva del mito? I riferimenti più importanti per me sono stati da un lato Pasolini e dall'altro Glauber Rocha, proprio nel senso di ritrovare nel materiale mitologico significati vivi e nel senso di una guerriglia culturale che rivendica BibliotecaGino Bianco come propria un'eredità culturale invece di lasciarla a preti e reazionari. Voglio continuare su questa strada: in alcuni aspetti della mitologia si ritrovano, concentrate, storie di grandissimo interesse che in qualche modo sono ali' origine di ciò che esiste nel presente. In Israele ci sono state reazioni ufficiali? Il film ha suscitato sulla stampa e nell'opinione pubblica un dibattito? A Cannes, l'ambasciatore israeliano mi ha detto, dopo la proiezione, che leggevo la Bibbia come un libro antiebraico. Inoltre è stato considerato provocatorio che usassi senza distinzione attori ebrei e attori arabi - ad esempio, l'ebreo Mardocheo è interpretato da Mohammed Bakri, uno dei protagonisti di Oltre le sbarre di Uri Barbash. La stampa invece è più aperta, ma in Israele è in atto una forte polarizzazione. Del resto, sin dagli anni Venti si sono sempre aspramente contrapposte due correnti: quella che lavorava per il dialogo, alla Martin Buber, il filosofo che fondò l'Alleanza per la Pace, e quella della forza come unica soluzione, di gente come Sharon. Ovviamente diffido molto di quest'ultima posizione e il film è critico verso di essa. I giornali riflettono questo conflitto non risolto, registrano le diverse posizioni esistenti, e così è stato anche nei confronti del film che ha suscitato un certo dibattito tra chi lo sosteneva e chi si indignava perché avevo utilizzato in questo modo un soggetto biblico. Qual è la situazione culturale, dentro e fuori del cinema, in Israele? Israele è un paese che come stato esiste da pochi decenni; i primi insediamenti ebraici in Palestina in tempi moderni risalgono INCONTRI AITRATII IN 30 SECONDI Incontrocon Joan Logue a cura di Fulvia Farassino Joan Logue è al festival di Salsomaggiore, che ha dedicato un omaggio alla sua attività di video-ritrattista. I suoi 30 seconds spots sono ritratti di artisti, musicisti, danzatori, performer, che durano il tempo di uno spot pubblicitario e che non mostrano necessariamente il volto del soggetto. Possono essereritratte le mani, o la schiena, ma in modo da sintetizzare l'attività del personaggio, magari con una angolazione particolare della videocamera. La f olografo discretamente con una vecchiaLeica, e Joan sembra divertita. Ero una fotografa anch'io, facevo soprattutto ritratti, e prima ancora dipingevo. Finita la scuola avevo cominciato a fare fotografie per mantenermi. Un giorno, nel 1973, mi rubarono tutte le macchine. Io mi occupavo già un po' di video e da allora concentrai tutte le mie energie su questo mezzo. a meno di un secolo fa. L'ebraico, non più usato da quasi duemila anni, viene usato come lingua moderna. Questi sono gli elementi di base e tutti sono strettamente legati al contesto politico, con esiti non di rado distorti e fuorvianti. Questo è il problema nascosto, ma condizionante anche sul piano delle forme. Penso che, se Israele vuole rimanere in Medio Oriente, deve trovare forme di dialogo non solo politico, ma anche culturale. In queste zone c'è un certo concetto di tempo, una certa luce, un certo colore della terra, una presenza materiale, fisica che mi pare essenziale, ma che è stata ignorata dai film israeliani che, invece, hanno una base molto occidentale. Sono in atto, in poesia, in letteratura, fenomeni più liberi, che sfruttano le risorse stesse della lingua sul piano musicale, delle assonanze, nelle sue radici idiomatiche, ma data la centralità della politica nella vita del paese, il dibattito culturale non può che rimanere politico. I problemi presenti nella sfera politica si traducono automaticamente in quella artistica. Così è per il problema dell'appartenenza. Nelle arti figurative, per esempio, c'è una forte influenza delle correnti artistiche occidentali. È possibile creare un'arte originale? autonoma? Come si può porre il problema dell'identità, se metà della popolazione viene dall'Europa, l'altra metà dai paesi arabi? Negli anni Quaranta esisteva una forte corrente in scultura che cercava di rintracciare delle radici pre-ebraiche; oggi, la cultura di Israele può esistere indipendentemente dalla cultura ebraica? È un'identità difficile, complicata dall'intrico degli elementi in presenza. Come mai hai deciso a quel tempo di lavorare in video e non in pellicola? È semplice: non avevo nessuna conoscenza del cinema e l'avevo del video. Sia come fotografa che come pittrice avevo sempre lavorato da sola, sempre con il controllo completo dell'immagine. Quando lavori col film devi passare invece per moltissime mani e il tuo lavoro, prima di tornare indietro, deve andare al laboratorio, poi dal montatore, insomma non sai mai com'è fino a quando non è veramente finito. Quando hai raggiunto il clima che volevi sei costretta a fermarti e mandare a sviluppare, e quando riprendi devi ritrovare il punto a cui eri arrivata ... Col video guardi subito, tutto è più fresco e immediato. Com 'è il tuo rapporto con la tecnologia, con le macchine più avanzate?
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