50 zione a suo agio nell'eccentrico e nel grottesco, nello humour con un fondo di angoscia. Ma il suo Miche! che non sa amare se non in simulacro, che si perde dietro a un portachiavi dal volto femminile che risponde a ogni suo fischio, non è un'ape regina o una donna scimmia, non si autodistrugge in grandi abbuffate; non è portatore dello scandalo di una logica irrecuperabile, di una diversità in fondo così normale, punto estremo della nostra normalità e perciò così coinvolgente. È soltanto un povero cristo di cui un pittore maudit da circolo rockettaro fissa i lineamenti in un sudario impregnato di vernice rossa, una simbologia cristologica che non salva il personaggio. In effetti, esso non· è che la summa degli stereotipi attuali di deriva, assenza, aridità, comunicazione solitaria, in perfetta sintonia con l'evanescente neo-divo Christophe Lambert, più catatonico che interiore. Immagini vuote, che tuttavia sono il segno del talento di Ferreri persistente solo ai margini, sostituiscono un rigore di scrittura assente dopo il divorzio da Azcona, la forza provocatoria e fantastica, e in questo utopica, delle idee. L'autocitazione del finale di Dillinger è morto può essere un gesto di nostalgia e di dialettica, la presa d'atto di un'impossibilità, ma è anche la confessione di una produzione in "circuito chiuso", senza la violenza e la necessità per deflagrare fuori da se stessa; e l'immagine di Miche! che si sbraccia a vuoto, in mezzo al mare, mentre il mitico brigantino si allontana, non è che faccia sentire una vera disperazione. Con la sua retorica avvicina saltato di più alla banalità attuale. Tra le poche cose di/ love you c'è l'invenzione di uno spazio urbano, décors mistura di degrado e ultramoderno, caves e loft, hangar-ritrovo e autostrade avveristiche, che sono le forme ambientali di una mutazione antropologica, Créteil e La Défense dopo, altrove, Latina e Sabaudia e le Halles parigine. Tutto il contrario in Storia d'amore di Maselli. La sua borgata, magari reale, sembra venire da altri tempi. Come i suoi operai, i suoi ragazzi proletari, i suoi immigrati dal Sud. Escono dai film neorealisti. Sono proletariato allo stato puro. Esprimono la nostalgia del documentarismo sociale, di un'etica militante (ma ad esclusione degli "irregolari"). Nessun mutamento, integrazione piccolo-borghese, disintegrazione nella marginalità metropolitana, sembra sfiorarli. Non l'hanno vissuta, non la vivono, se non per un minimo di permivissività in più. Sono proletari di prima dell'autunno caldo, anzi di prima di Panzieri, sono figure esteriori da cortei dei centomila, da "inchieste" di Zavattini o Petri-De Santis. Finzioni ideologiche e letterarie, che la lettura non è poi così ingenua. Il lato colto e aggiornato è rappresentato daslla psicanalisi, non quella totalizzante e autocastrante dell'ultimo Bellocchio, ma più fatta di latenze, repressioni, nuovi valori non ancora interiorizzati, padri comunisti che insidiano le figlie, coabitazioni a tre in cui i due maschi sembrano intendersi a esclusione della donna, oscuri retaggi di lavori che sprofondano, piu che nella melma, nella notte dell'inconscio, BibliotecaGino Bianco a esprimere la contraddizione fra tante solidarietà di donne e popolari, di adolescenti e fratelli. Quasi a negare questo contesto, c'è però la prepotente figura centrale di Bruna. In Maselli alla fine prevale sempre il gusto raffinato, non gli interessa un nuovo linguaggio "politico", portato a rendere un essere piuttosto che una problematica. Bruna ha l'evidenza dei personaggi riusciti che bruciano la mediocrità dei materiali di cui sono gravati, ne ha l'inafferrabilità, sfuggente a ogni discorso. Da un lato, s'inscrive in una nostra tradizione di personaggi popolari, temperamentale, vitale, mediterranea come una piccola Magnani, dall'altro possiede una modernità e un mistero che richiama la Monà della Varda. Cosciente per natura, per sentimento, per dolore, ma con scarti irrazionali (la scenata, l'illuminazione del suo ANTOLOGIA CHI E COSACl ASPETTA? Helmut Gollwitzer Chi ci aspetta? e che cosa ci aspetta? Che cosa ci aspetta, è scritto oggi a lettere di fuoco all'orizzonte della nostra epoca dagli scrittori che ci hanno messo in guardia davanti all'apocalisse, G. R. Taylor e Giinther Anders, Robert Jungk e Wolfgang Harich, e tanti altri. Nessuno può sapere, finora, se abbiamo davanti «la fine o la svolta», e pare più probabile la fine, considerando l'inconcepibile cecità con la quale i detentori del potere nello Stato, nella società, nell'economia trascurano gli avvertimenti e, pur trovandosi davanti a una minaccia di gravità eccezionale che noi uomini facciamo incombere sull'esistenza stessa dell'umanità e sulla sua base naturale, continuano a lottare per i loro interessi particolari e i loro imperialismi, prolungano la follia degli armamenti, come sempre hanno fatto, e ci trascinano ogni giorno più vicini alla fine. Siamo coinvolti tutti, popoli e individui. L'americano statunitense, se non fa parte dei ragazzo). È soprattutto una presenza fisica, un corpo, una faccia, inestricabile da Valeria Golino, un'attrice, finora mediocre, che si rivela a se stessa. Alla fine si lascia "naturalmente" morire, come per quieta disperazione, per sfinimento di chi troppo ha dovuto lottare per essere se stessa, come per una segreta malattia di fronte a un mutamento della condizione della donna ancora precario, che lascia incrinature profonde. Forse c'è più in lei che in tanti discorsi la verità di un mondo, nella realtà della sua morte senza moralismi. Chiavi interpretative, idee generali nessuno le ha più. Che ciò si traduca in un più cosciente senso di frustrazione espressiva, questi due piccoli film di Ferreri e Maselli lo testimoniano; ma ci dovranno pur essere modi più complessi di essere al mondo, di reagire a una realtà degenerata. milioni di persone che anche lì vivono al di sotto del minimum vitale, ma di coloro che vivono al di sopra di esso, accetta praticamente la fame e la denutrizione di milioni di bambini latino-americani, dato che la sua vita agiata è resa possibile dalla morsa ferrea nella quale gli Stati Uniti tengono prigioniero questo sventurato continente. Con i nostri gruppi industriali e con la nostra politica, noi tedeschi partecipiamo altrettanto al saccheggio e all'inquinamento degli altri continenti, e ciascuno di noi, di fatto, accetta, godendo quotidianamente dei vantaggi che ce ne vengono, l'esistenza di affamati che tali sono per colpa nostra. Con la nostra esigenza di sicurezza, con i voti che diamo ai partiti favorevoli agli armamenti noi tutti accettiamo di fatto la preparazione, l'immagazzinamento, lo sviluppo crescente e la minaccia dei mezzi di distruzione di massa, quali il mondo non ne ha visti mai. Mentre l'attenzione della nostra popolazione è
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