Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

mentale, e come tale gli addetti dovrebbero viverla, consci delle loro responsabilità. Per intanto, riguardo ai giornalisti-scrittori, ricordiamo che Cavallari è stato più bravo quando ha avuto ambizioni più serie (certi suoi articoli o raccolte di articoli erano molto buoni, per es. sulla Francia), che ancora di recente qualche libro buono e utile scritto da giornalisti lo abbiamo letto (per es. quello di Pellizzari sul Vietnam, Vallecchi, e quelli di Brancoli sulla Russia e di Zucconi sul Giappone, Garzanti), ma che non ci è possibile dimenticare la scempiaggini "romanzesche" di altri (e far nomi è troppo facile e lungo) e quelle "saggistiche" di altri ancora. Cavallari ha detto grosso modo in un'intervista di aver affrontato Tolstoj perché stufo di dover parlare di Craxi. Ma il problema primo, per un giornalista, sarebbe di parlare di Craxi e della società in cui • vive e che lo produce in modo non corrivo e servile o pettogolo; e il problema - per i giornalisti - è di nobilitarsi ridando dignità al loro mestiere e credendo ancora alla loro possibile funzione, che non è quella dei servi, degli imbonitori, e neanche delle star. Solo allora potremmo prenderli sul serio quando vorranno uscire dal loro campo, quando vorranno affrontare, perché no?, perfino Tolstoj. ANTOLOGIA STORIAD'ITALIA Umberto Saba Vi siete mai chiesti perché l'Italia non ha avuto in tutta la sua storia - da Roma ad oggi - una sola vera rivoluzione? La risposta - chiave che apre molte porte - è forse la storia d'Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani ... «Combatteremo - fece stampare quest'ultimo in un suo manifesto -fratelli contro fratelli». (Favorito, non determinato dalle circostanze, fu un grido del cuore, il grido di uno che - diventato chiaro a se stesso - finalmente si sfoghi). Gli italiani sono l'unico_ popolo (credo), che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda) un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzion~. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli. ( I945; da Scorciatoie a raccontini, Mondadori 1947) Incisione di Carlo Levi. BibliotecaGino Bianco UNNOBELAFRICANO Fabio Gambaro L'attribuzione del Premio Nobel per la letteratura a Wole Soyinka ha un significato di grande rilievo, visto che per la prima volta l'importante riconoscimento viene attribuito a un autore del continente africano. Al di là, quindi, del valore specifico della produzione letteraria dell'autore nigeriano, tale evento acquista il valore di un riconoscimento complessivo della cultura africana, che per troppo tempo è rimasta segregata nell' hortus eone/usus degli addetti ai lavori. Ciò vale in particolar modo per il nostro paese, dove la cultura africana, letteraria e non, è quasi del tutto sconosciuta e dimenticata; e dove si deve esclusivamente al lavoro tenace di pochi studiosi appassionati e all'interesse di alcune case editrici minori - soprattutto la Jaca Book - se, all'interno della cultura nazionale, circolano almeno i nomi di Achebe, Ngugi, Tutuola, Mphahlele, per ciò che riguarda la cultura anglofona, e quelli di Ousmane, Diop, Laye, Senghor, per quella francofona. (Per quanto riguarda "Linea d'ombra", un'intervista a Soyinka a cura di Itala Vivan apparve sul nostro n.11). li Nobel a Soyinka deve dunque essere inteso come un'occasione di riconoscimento e di valorizzazione _ditutta la cultura africana, la quale, seppure tra molte difficoltà e incertezze, negli ultimi decenni si è enormemente sviluppata e trasformata, producendo in tutti i campi - dal cinema alla letteratura, dal teatro alla musica - opere di valore che meriterebbero di essere conosciute e apprezzate dal pubblico occidentale. Della ricerca e dell'evoluzione della cultura del continente nero Wole Soyinka è interprete di prim'ordine. Poeta, romanziere e, soprattutto, drammaturgo, egli non ha mai separato la propria attività artistica da un preciso impegno civile, dal bisogno d'intervenire concretamente all'interno del processo di trasformaziione della società africana avviatosi con la decolonizzazione. Di tale processo, egli, in più di un'occasione, ha saputo cogliere luci e ombre, successi e sconfitte, non esitando a denunciare il neocolonialismo occidentale, come gli errori della nuova classe dirigente africana, pagando per questo anche col carcere. In tale prospettiva si comprende meglio il particolare interesse di Soyinka per il teatro, genere cui appartengono alcune delle sue migliori opere; ma d'altro canto, non va certo dimenticato che i caratteri strutturali del genere erano quelli che consentivano una maggiore continuità con la cultura tradizionale, con la musica, con la danza. Proprio nelle opere teatrali, anche se non solo in quelle, egli ha saputo rapp~esentare con efficacia, alternando accenti drammatici e toni comicosatirici, una fase precisa della cultura del suo paese: quella del passaggio all'indipendenza e del conseguente processo di modernizzazione che ne è scaturito, quella della crisi della tradizionale cultura orale di fronte all'affermarsi delle mode e dei valori della cultura occidentale, quella dello scontro tra l'immobile passato della cultura dei villaggi e il caotico presente di un contradditorio progresso, di cui la tentacolare e violenta città di Lagos è la più valida esemplificazione. Si capisce, quindi, come per Soyinka - che è stato formato culturalmente dalla scuola inglese e che ha scelto la lingua di quella cultura come proprio strumento di espressione, puntando così a una comunicaziione sovraetnica e sovranazionale - sia stato importante e necessario il recupero della tradizione orale yoruba, l'etnia da cui egli proviene, come momento centrale della propria ricerca di identità e di radici cui rifarsi in una fase di crisi e di transizione; tradizione yoruba che si è felicemente innestata sulla sofisticata padronanza della lingua inglese e sui richiami ai classici della cultura occidentale, dando vita a opere in cui "trasfigurazione mitica e partecipazione alla storia coestistono ma salvaguardano la loro autonomia" (Gorlier); opere in cui, comunque, come Soyinka stesso ha dichiarato, Amleto e Ulisse sono sempre preceduti da Abiku, il bambino "revenant" della cultura yoruba. Non stupisce, dunque, che la scelta per il primo Nobel africano abbia interessato proprio il drammaturgo di Abeokunta; e se certo, come egli stesso si è augurato, il premio non gli è stato attribuito per le sue posizioni politiche, ma per il valore delle sue opere, non possiamo fare a meno di pensare che l'attribuzione di un Nobel per la letteratura a uno scrittore africano non abbia oggi anche una precisa valenza politica. 45

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==