42 te di elaborazioni settoriali molto apprezzabili (nucleare ed energie alternative, tutela giuridica dell'ambiente, programmazione urbanistica, soprattutto), manca una visione d'insieme, una "sintesi", aperta che sappia raccogliere esperienze diverse e unirle, pur nella molteplicità dei percorsi e dei punti di vista. Due punti, in particolare, sul piano teorico-culturale, mi paiono tuttora irrisolti; il rapporto tra crisi ecologica e dinamiche sociali, e cioè, dunque, tra verdi e classi sociali (e di riflesso, tra i verdi e il patrimonio della sinistra, soprattutto quella nuova degli ultimi vent'anni); la riflessione sulla politica - nei suoi vari aspetti, da quello etico a quello organizzativo - e sulle istituzioni. Mentre il primo punto denuncia, insieme a un ritardo, anche la volontà di definirsi in termini radicalmente altri dalla tradizione della sinistra italiana (intento, quindi, per molti versi apprezzabile), il secondo preoccupa di più, anche perché non è affatto vero che una prassi politica e istituzionale, in mancanza di una riflessione teorica, non proceda. Essa procede, e come. In due convegni recenti, a Pescara in settembre e a Finale Ligure in novembre, i verdi italiani hanno cercato di confrontarsi proprio su questo punto. · A Pescara esso veniva ricondotto ai "fondamenti" dell'esperienza verde, in Italia e all'estero, e misurato in relazione ai grandi temi, quasi sempre al di fuori di toni e di scelte schematiche o definitive ("Fare politica o che farne?" si intitolava, significativamente, il forum che trattava più specificatamente la questione, e il dubbio infine non è stato sciolto). Invece, a Finale Ligure, in un'altra successiva assemblea, più ristretta, con una specie di atto notarile, è emerso il versante grigio, burocratico e organizzativista del movimento verde italiano. Lontani dai dubbi radicali dell'enorme maggioranza dei componenti dell'arcipelago verde, un cospicuo gruppo di improbabili leaderini, di efficientisti (?) esponenti delle Liste Verdi (quelle presentatesi alle scorse elezioni amministrative) ha imposto, con tanto di notaio, e timbri, e carte da bollo, una "stretta" formalizzata e istituzionalizzata, appena corretta da una dichiarazione di "provvisorietà" (fino al prossimo giugno, così se ci saranno le elezioni anticipate sappiamo che gli organismi dirigenti comunque ci sono ... ). Il fatto che più preoccupa, ovviamente, non sono le carte da bollo, che tutti dobbiamo usare quando costituiamo qualsiasi associazione formalmente legittima. Preoccupa invece il tono di tutta l'operazione, smaccatamente verticistico, burocratico - grigio appunto - e incurante dei dubbi, delle dinamiche di riflessione e delle esperienze reali della miriade di gruppi di liste, di collettivi, di persone, che costituiscono l'arcipelago. L'aspetto più pericoloso di tutta la vicenda - come forse ben sanno i promotori dell'operazione - risiede nel fatto che, una volta formalizzate e rinchiuse in statuti, in procedure rigide, in apparati, le dinamiche politiche già "di movimento" difficilmente BibliotecaGino Bianco possono evitare snaturamenti e ritorni all'indietro, all'origine. Così, l'ingrigirsi dei verdi potrebbe addirittura precedere il loro ingresso nella più complessa arena istituzionale, quella parlamentare, e nel cielo della politica, che oggi scrutano da sotto, lontani, ma con i piedi tuttavia ben piantati per terra. Ancora, preoccupa la tendenza dei "media" a identificare i verdi, tutto il movimento verde, con le Liste Verdi, e tutte le Liste e tutti i verdi con questo apparatino prodottosi a Finale Ligure. Niente è ancora compromesso, per carità; troppo grandi sono i problemi aperti; troppo evidente, appunto, è la catastrofe in corso, perché tali vicende possano esaurire l'esperienza dell'ambientalismo o anche soltanto quella dell'ecologia politica. Ci vorranno tempi lunghi, e ben altri grigiori, e crisi, per passare a una fase ulteriore, per produrre dei risultati (se questi infine verranno). Rimane però una certa amarezza, o una specie di rabbia, di fronte all'immediocrirsi di una discussione che ben altro spessore e pregnanza ·e tensione teorica avrebbe potuto avere se avesse saputo misurarsi con la realtà senza fretta, senza ossessioni "politiciste" (per esempio, studiando e ritrovando i riferimenti di esperienze liberatorie e non violente, antiautoritarie e antiburocratiche, esplicitamente e radicalmente critiche verso la forma-partito). Si è scelto altrimenti. Non è la fine del mondo, che sta inveçe arrivando per altre vie; è solo la riprova, come diceva Mao Tsetung, che "anche fra le minoranze più alternative c'è molto spesso una maggioranza di cretini." STORIEDI ESORDi Gianni Turchetta - Che cos'è la letteratura oggi in Italia? e chi sono gli scrittori? perché scrivono quello che scrivono? da che parte stanno? - Che cosa sarà la letteratura italiana fra, poniamo, cinque o vent'anni? che cosa stanno facendo gli scrittori del nostro prossimo futuro? e dove sono? scrivono già? e perché? Per quanto in questa forma volutamente ingenua e un po' rozza possano apparire terroristici, pure questi interrogativi sono il corredo minimo di partenza (o almeno di arrivo) necessario per archiviare con qualche profitto la lettura di due libri di recente pubblicazione (maggio 1986)decisamente atipici e di non facile impiego. · Il primo, Il romanzo d'esordio tra immaginario e mercato (Marsilio, pp. 200, L. 20.000), di Cristina Benussi e Giulio Lughi, due italianisti dell'Università di Trieste, è una descrizione-analisi delle risposte date da ottanta scrittori a un questionario di diciotto domande, di cui le prime nove "chiedevano( ... ) uno sforzo di autoinquadramento teorico", e le seconde toccavano "gli aspetti esterni", editoriali della pubblicazione dei loro libri. Denominatore comune tra gl'intervistati: avere esordito come narratori tra il I975 e il 1983. Questo criterio di scelta obbliga però, al di là della direzione intenzio1-------------------1 nale della ricerca ("verificare( ... ) lo statuto di quello che è stato definito romanzo alto, letterario, d'autore" escludendo sia i generi di consumo che gli scrittori già affermati), e al di là della· relativa casualità, non proprio necessaria (perché per esempio lasciar fuori autori di sicuro interesse come Benni e De Carlo?), ma comunque consapevole e dichiarata, della selezione, a una prima riflessione. Leggendo i dati raccolti da Benussi e Lughi veniamo infatti a scoprire che a qualcosa come il 60% degli scrittori in questione tutto "va bene al primo colpo": pubblicano cioè con la prima casa editrice a cui si rivolgono, e addirittura non viene loro richiesta la benché minima modifica dell'opera. "Come?" direte voi, "allora riuscire a farsi pubblicare un libro di narrativa sarebbe uno scherzo? ma non conosci tu le vane attese di una risposta, e gli obliqui dinieghi? e il vano andare di postino in postino e di editore in editore? e che dirò - per i pochi sopravvissuti - delle lotte per tagli e correzioni? delle contrattazioni - umiliati e offesi - con redattori freddi quando non incompetenti?". Lo stupore è troppo giusto, infatti: in realtà, e questo è il dato davvero significativo, ben 1'80,5% degl'intervistati 1-------------------1 "al momento dei primi contatti per la pubblicazione (... ) era già conosciuto nel monI disegni'di ques(a sezione sono di Mario Piazza. do editoriale". Ecco così che, più prevedibilmente, si abbozza l'immagine di un'editoria cocciuta-
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