Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

36 STORIE/CAZZOLA È in mio potere, dipende da me. Ma io pure sono in suo potere, io pure dipendo da lui: l'immagine di me ai miei occhi sarà d'ora in poi inappellabilmente determinata da una scelta, sarò o un mostro o un sanfrancesco. Un lampo di buon senso tranquillizza il mio corpo, cerco un'altra finestra, controllo che non vi siano nidi, ia apro e caccio l'intruso. Cosa ne farò di quest'altro che ora dorme al mio fianco, battendo ritmicamente il materasso? n llacciato, accanto al bambino, muovo con il corso della W terra. Gli ho dato leggeri sedativi e adesso dorme caracollando il capo. Una voce annuncia che stiamo sorvolando Dakar. Mi alzo per andare alla toilette e, nel percorrere il Boeing sino alla coda, in senso inverso alla direzione di volo, mi ritorna d'improvviso alla memoria ciò che mi disse un giorno Oscar: "La vita che noi impieghiamo per avvicinarci alla morte, la impieghiamo per fuggire da essa. Siamo come uomini che su una nave procedono nella direzione opposta alla sua corsa: mentre vanno verso Sud, il ponte sul quale camminano viene portato verso Nord con loro". Ma questo Sud verso il quale mi porta ormai da ore l'areoplano non è ancora - salvo una catastrofe nell'atterrag- _gio, di cui sempre fantastico in circostanze analoghe - quel punto rovesciato cui non mi sottrarrò, e - quanto a Lella - dovrà attendere cinque burocratici anni prima di riaverla. Il viaggio a Buenos Aires con Alvaro oscilla fra una difficile agnizione, i cui elementi disarticolati da esilii, scomparse, spostamenti, non si lasceranno ricomporre pezzo a pezzo e una confusa richiesta d'aiuto a mia suocera - Abuela, così la chiamavamo. Non so cosa farò, ma nelle tasche ho lettere di presentazione. Vivrò forse con Abuela e con Alvaro nella casa dove, morto il marito e partiti per l'Europa i cinque figli, lei resta ad aspettare un'improbabile ricomposizione? Ora in me tace la voce che, durante il volo, di Lella andava rievocando doti e difetti e che, quanto ad Alvaro, aveva assunto toni risentiti. All'interiore dissolversi sonoro risponde l'obbligo seccante di qualificare me, il bambino ed il bagaglio col doganiere e di scambiare inevitabili parole col taxista. Sento la mia voce esprimersi in un'altra lingua e provo antipatia per la sua istintiva, immediata capacità di adattamento - persino alla ridicola pronuncia bonearense della erre. Vorrei che l'aereo non mi avesse espulso, che un benefico dirottatore l'avesse costretto a entrare in un'orbita perenne. - Gà! Gà!, faccio al bambino che mi rimanda in un eccitato Gà! Gà! l'intero suo vocabolario. - Ecco, quella è l' Avenida Saltillo, s'intromette il taxista, e indica una prospettiva interminabile. BibliotecaGino Bianco ffl o. Con il mondo di Lella io non c'entro affatto. Era 1M un bel gioco fingersi dei loro perché ne parlo con disinvoltura la lingua. Con quanta infantile ambizione le mostrai all'inizio come sapessi mimetizzare il mio spagnolo, sino a farmi scambiare - con malcelata lusinga - per un portefio di Buenos Aires dagli stessi sudamericani. Come mi piccavo di intercalare qua e là espressioni gerg;ali e dialettali! Questa commedia non è servita a radicarmi: le strade, le case, la gente, il loro modo di stare assieme mi sono estranei, come estranea mi è la loro cultura quotidiana, di cui sempre sarò scettico spettatore, emulo goffo. Né da Abuela, vedova abituata a una silenziosa coabitazione col fratello omoessuale, di poco più giovane di lei, e a una intesa a gesti più che a parole, mai mi sono sentito a casa mia. Apprensivo per natura, la mia massima occupazione è stato controllare che Alvaro non si facesse male, non avesse le convulsioni o si fosse già sporcato. Tante volte Lella mi aveva descritto la sua stanza. Ma questa, dove malvolentieri dormo, mi sembra un Kitsch anni cinquanta, la camera di un'adolescente cresciuta in un clima ovattato e protettivo. Non so riconoscere tracce significative di lei; oggetti che me ne rimandino l'immagine sono soltanto nella nostra ex casa. Di amici suoi non ne conosco e chi non è scomparso, come il cugino - l'eponimo Alvaro, appunto, ritrovato cadavere fra i bidoni della spazzatura - è in galera, oppure è riuscito ad andarsene. Rimangono solo alcuni parenti, gente piuttosto anziana e silenziosa, per me sinora poco più che nomi. Non saprei a chi telefonare la sera e di giorno non vorrei alzarmi dal letto, ma rimanerci a fumare, mentre tengo d'occhio il bambino. Né mai mi troverò un lavoro. La condizione che Abuela mi ha posto per occuparsi di Alvaro, del bambino che sua figlia ha voluto, è che io resti qui; se me ne vado, devo riportarlo con me. ~ ripresa così ben presto la mia corsa verso le madri. liil E, lasciata quella australe, ho ceduto all'offerta della mia. Dopo un breve, fallimentare tirocinio da solo con Alvaro, gliel'ho portato nella città dove trascorsi infanzia e adolescenza, cancellando così, di colpo, il lento lavorio di anni, e, con esso, ogni distanza nello spazio e nel tempo. Esserti grato, mamma, ancora una volta. Ancora una volta vedere in te un modello e in me soltanto inettitudine. A te ho riconsegnato con lui non solo le difficoltà oggettive che ogni padre naturale avrebbe faticato, forse senza successo, a superare. Ho consegnato anche un senso più antico di precarietà, chiedendoti di essermi madre protettiva e vicaria. Certo, su tua generosa pressione, certo la~ciandoti interferire nella mia vita, affinché tu proteggessi dalle mie fantasie d'abbandono un bambino, come si dice, "portatore di handicap"; per me, che nei suoi primi mesi ho trascorso accanto a lui con Lella interminabili ore in un reparto d'ospedale, "portatore di atrofie cerebrali diffuse", come suonava - inesorabile - il referto medico. Mi sono ritrovato padre di un figlio non mio, non solo perché a me estraneo nel soma, ma soprattutto perché trop-

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