20 DISCUSSIONE/CASES per fargli posto Jiinger sottolinea l'ideale dell'Uniformità e della regolarità. "Non vi è niente di più regolare della posizione degli assi dei cristalli o dei rapporti architettonici di quelle piccole opere d'arte fatte di calce, corno o fibre silicee di cui è coperto il fondo dei mari ... Anche là dove consideriamo l'uomo come fenomeno naturale, come razza, sorprende un'elevata misura di uniformità e di inevitabilità, che si tradisce, sia nel suo esterno che nei suoi pensieri ed atti" (7). Queste prospettive utopiche, indipendentemente dalla loro coerenza teorica o dalla maggiore o minore simpatia che possono destare, non sembrano affatto verificarsi, se non in certe forme di pittura, di fotografia, di effetti video in cui forme naturali e artificiali si accostano o trapassano l'una nell'altra. Quindi sempre nel mondo delle illusioni. Altrimenti la tecnica continua a essere la più tremenda nemica della natura, e la fine del sogno della loro sintesi, insieme al recupero dell'individuo, è la base dei contorcimenti ideologici dello Jiinger postbellico. Tuttavia tali prospettive utopiche fecero allora di Jiinger il più radicale teorico dell'anticapitalismo romantico e gli permisero di vedere la nostra epoca come un'epoca di transizione, come un interregno in cui tutto va accettato, compresa la tendenza a non lesinare le vite umane e ad affrontare i sacrifici più atroci. Jiinger svolge coerentemente l'idea adombrata in Nietzsche per cui il compimento del nichilismo porta all'uscita dalla storia occidentale e al ritorno al mondo statico. Perciò nonostante i suoi gusti fondamentalmente classicheggianti (come quelli del fratello Friedrich Georg, e anche qui si pensa a Nietzsche), egli accetta la disgregazione formale e l'arte di avanguardia come espressioni dell'interregno. Ma anche nelle strutture economiche e sociali di questo interregno egli discerne tratti che altri non sapeva o poteva scorgere e che si possono riscontrare talvolta nel nazionalsocialismo, talvolta nello stalinismo, talvolta nella società industriale di tipo americano, talvolta infine dappertutto. Ad esempio, per sottolineare la standardizzazione dei processi lavorativi e degli uomini che li compiono, egli immagina che l'ebreo errante capiti in una grande città e si chiede: "Come può Asvero distinguere se egli presenzia a una ripresa in un atelier fotografico oppure a un esame in una clinica per malattie interne, se attraversa un campo di battaglia o una zona industriale e fino a che punto l'uomo che passa sotto la macchina timbratrice gli incassi di milioni di una banca o di un ufficio di conti correnti postali è da considerare un impiegato e l'altro che compie gli stessi movimenti sulla pressa di una fabbrica metallurgica è da considerare un operaio e secondo quali punti di vista coloro che compiono questa attività distinguono se stessi?" (8) Bisogna riconoscere che questa coscienza dell'identità di funzione dell'operaio e dell'impiegato a un certo punto dello sviluppo capitalistico era allora percepita solo da questo letterato e non dagli economisti o da pensatori come Kracauer e Benjamin. Solo negli anni Settanta un teorico marxista come Braverman riconoscerà e spiegherà scietificamente questa convergenza. BibliotecaGino Bianco r:, ueste geniali intuizioni non tolgono nulla alla sostanziale ~ verità della tesi di Lukacs per cui Der Arbeiter è obiettivamente, prescindendo con l'unilateralità di Lukacs dalla sua genesi e dai riflessi più vasti che tale genesi comporta, un'apologia della fase più aggressiva del capitalismo monopolistico, e che la distinzione tra tecnica buona e cattiva è già vicina a quella nazista tra capitalismo raffend e schaffend. C'è sempre almeno un elemento che distingue questi interessanti prodotti dell'anticapitalismo romantico (compresa l'opera di Spengler) dal marxismo, per quanto malconcio questo sia uscito dall'esperienza dei paesi socialisti e per quanto nessuno ne voglia più sapere, compresi quelli che dovrebbero essere i suoi difensori d'ufficio. È curioso tra l'altro che costoro, che sogliono formulare contro la dottrina cui hanno volto le spalle l'accusa di determinismo, di fiducia hegeliana nel provvidenzialismo storico, abbraccino idee che, pur postulando l'avvento della "differenza" al posto dello sviluppo dialettico, sono tanto più deterministiche e provvidenzialistiche in quanto respingono ogni analisi razionale della loro fiducia. Poiché il criterio distintivo di cui si parlava sta nel fatto che l'anticapitalismo romantico moderno si fonda sempre su un'evoluzione che deve necessariamente accadere per qualche destino metafisico, intuibile ma non analizzabile, ad esempio per l'avvento di una Gesta/t che è un essere assolutamente indipendente dalle coscienze individuali, che possono semplicemente rifletterlo o meno. La Gestalt, scrive Jiinger, "è nel senso più pregnante un Essere, e questo si esprime riguardo al singolo in modo che egli o è un Lavoratore o non lo è, mentre è del tutto irrilevante la pura pretesa di essere tale. È una questione di legittimazione che si sottrae sia alla volontà che alla conoscenza, per non parlare di indicazioni sociali o economiche" (IO). Questo misterioso processo è quello che deve portare al superamento del nichilismo o del Nu//punkt, di cui Jiinger farà un gran discorrere nel dopoguerra e su cui ebbe la nota polemica con Heidegger. Per il marxismo invece si tratta proprio di eseguire coscientemente, ad opera dell'umanità associata, quello che finora è avvenuto ad opera di forze cieche. Forse oggi, come ha ammonito Walter Benjamin, si tratta più di frenare la locomotiva della storia che di mettersi alla sua guida, ma l'azione da compiere è comunque un'azione consapevole, che oggi sembra più necessaria che mai, mentre non si vede da nessuna parte un destino metafisico o una Gestalt che preservi dal disastro e che ci porti oltre il Nu//punkt. Note. (I) Ernst Jiinger, l'ultimo dei grandi, in "La Repubblica", 29/30 agosto 1982. (2) G. Lukàcs, Wie ist die faschistische Philosophie in Deutschland entstanden ?, Akadémiai Kiadò, Budapest I 982, a cura di Laszl6 Sziklai (il passo cit. è a pp. 136-137). (3) Ernst Jiinger, Der Arbeiter. Herrschaft und Gestalt (1932) in E. Jiinger, Werke, Essays Il, Klett, Stuttgart s.d. (ma 1960-65), p. 92. (4) lvi, p. 96. (5) lvi, p. 82. (6) lvi, p. 183. (7) lvi, p. 242 (8) Ivi, p. I IO. (9) Harry Braverman, Lavoro e capitalemonopolistico, trad. it. Torino 1978. (10) Ernst Jiinger, op. cit., p. 87.
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