Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

16 BibliotecaGino Bianco E se sotto il suo lamento sull'infamia e la criminalità della storia ci fosse anche un 'esigenza? Lei afferma molto spesso: come potete escogitare e parlare in generale di un Dio, sognarlo e persino credervi? Un Dio che ha permesso Auschwitz e Hiroshima. Dietro questa domanda, dietro questo lamento (Klage) risuona forse anche un'esigenza (Einklagen): ci dovrebbe essere Dio. O no? No. "Einklagen" è un bel gioco di parole. Ma non sarei d'accordo nel dire che io esigo qualcosa. Io lamento che gli uomini dopo Auschwitz e Hiroshima sono tanto ciechi da credere ancora. Non ho niente da aspettarmi da questo mondo. Non posso aspettarmi che si comporti moralmente. Ma non accetto che sia così com'è e cerco di contribuire a evitare il peggio. Una volta lei ha affermato: "odio odiare", e ha dedicato un intero passaggio di un suo libro a quanto è brutto il fatto che in lei è stato suscitato l'odio. Dietro a questo si nasconde un grande amore o un grande bisogno di amore o un lamento sullapossibilità distrutta di poter amare gli uomini, il mondo, il corso del mondo. Forse ha ragione. E non ho amato soltanto singoli esseri umani. E non solo esseri umani. Perché non c'è albero che non vorrei conoscere per nome; non c'è animale che non chiamerei subito con un vezzeggiativo. A parte questo, non si amano soltanto "gli oggetti d'amore" che si presentano di volta in volta, ma anche lo stesso amare. Spero che non sia una cattiva domanda: la sua affinità con Beckett è sostenuta da questo? Dal suo mostrare l'impossibilità del nichilismo? In effetti, se ricordo ancora bene il suo Godot è proprio ciò che egli mette in atto. Infatti i suoi "eroi" continuano ad aspettare la venuta di Godot, sebbene la loro esistenza mancante non pensi in sogno di realizzare il proprio sogno. Quelli che attendono sono dunque incapaci di vivere nichilisticamente, sono incapaci di non sperare. Ma Beckett non si identifica certo con i suoi personaggi; non considera la loro incapacità di non attendere, di non sperare una dimostrazione dell'esistenza di Godot! E poiché sia lui che io reputiamo un difetto questa incapacità - la mia posizione in merito alla speranzosità di Bloch la conosce, io considero la speranza semplicemente µn sinonimo di viltà - la mia affinità con-Beckett è indiscutibile. Ciò non contraddice la sua tesi secondo cui la tendenza è ciò che è importante per l'opera d'arte e inerente a essa? Beckett non è certo un poeta di tendenza. Non formulerei la questione in modo così deciso. Direi che non c'è niente di più ridicolo dell'ideale della mancanza di tendenza e che questo ideale è veramente prevalente soltanto nell'arte. Nessun pastore evangelico capirebbe se gli si dicesse che non ha tendenza o che non prende sul serio la sua tendenza. Nessun fornaio la capirebbe se lei gli dicesse: "Lei è un fornaio di tendenza, perché cuoce i suoi panini per nutrire gli uomini e per farli diventare grassi saziandoli". Questa ridicolizzazione della tendenza è stata di fatto monopolio dell'arte. Per lei l'arte ha una funzione nei processi sociali? Can't help having it. Al tempo stesso lei continua a parafrasare le parole di Adorno secondo cui dopo Auschwitz non si può più fare poesia, nel senso di: non si "dovrebbe" più scrivere una poesia. Ma se l'arte è un valore sociale allora naturalmente non può cessare dopo Auschwitz. Trovo_che quell'affermazione di Adorno sia sbagliata. Io no. Credo che la cosiddetta serietà dell'arte, se paragonata con la serietà di ciò che è successo e di ciò che ci minaccia, sia un puro trastullo. Ci sono eventi di tale grandezza da non poter essere raggiunti dall'arte. Niente di più inadeguato del pezzo di Schonberg Ein Ueberlebender aus Warschau, così anche, purtroppo, quello di Luigi Nono, ispirato al mio libro Der Mann auf der Brucke. L'orrore di ciò che è accaduto e che ci saremmo potuti trovar di fronte diventa in ambedue i casi oggetto di godimento. Il che non è serio. Adorno non dice che non bisogna farlo ma che non si può fare. Però lei stesso scrive poesie. Su Hiroshima non ho mai scritto una poesia. Ma Adorno non si riferiva a una poesia su Auschwitz ma dopo Auschwitz. Non credo di aver scritto davvero una poesia dopo di allora. La mia Musa, anche se non subito, è morta d'orrore. Da quando sono tornato in Europa non si è più quasi prodotta davvero una poesia.

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