estremo di tolleranza chiamato in vita - una vita piuttosto ridicola - dalla "Terza 15 scuola di psicoanalisi" di Viktor Frankl? Si sostiene che è del tutto indifferente quale ideale si abbia. Finché uno ha un qualsiasi ideale, la sua vita ha un senso (per quanto questa parola possa qui avere un senso). E allora questo qualcuno resterebbe o diventerebbe anche sano. La verità non è affatto determinante. Solo la verosimiglianza. Anzi, nemmeno questa. Ma soltanto l'effetto curativo di una certa posizione. Questa tesi, secondo cui la forza della credenza rende una cosa vera, è insopportabile. D'accordo. Altrimenti ciò significherebbe che ogni nazista che abbia creduto davvero al nazismo, ha creduto a una cosa vera. Bene. Ma dove tracciare i confini? In un altro passo lei dice che è possibile porsi la domanda: la tolleranza è forse non democratica o persino rozza? Beh, comunque con la tolleranza è possibile vivere. Trovo soltanto che l'intolleranza non sia democratica. Ci si arrivapresto. Se lei rifiuta il pluralismo in quanto tale, dove va a finire il suo concetto di tolleranza di cui pure lei si serve per sé, in quanto il suo "io" viene tollerato? Chi determina questo? Rispondere a questa domanda richiederebbe la stesura di un trattato sul rapporto tra "Morale e Verità". E questo non lo posso far venire fuori dalla manica. Ma nella mia introduzione a Mensch ohne Welt ho affermato inequivocabilmente che prendo le distanza da coloro che - come è di moda oggi - sulla base della loro scepsi nei confronti del pluralismo abbracciano un qualsiasi fondamen-· talismo dogmatico per saltare in avanti o indietro, e pretendono un simile salto anche dagli altri. Il rifiuto - da me proposto - di un politeismo indiscriminato, conduce forse a un'affermazione da rinnegati di un qualsiasi "monoteismo?" Allora è forse consentito porre in questione la legittimità di una certa condizione solo se si è in grado di fornire una risposta univoca nei termini di una condizione alternativa? Non sarebbe la morte di ogni critica? Mi sembra che la mia critica della civiltà come insieme di ciò che non vincola è di qualche importanza anche se non posso mettere sul tappeto qualcosa di vincolante. In ogni caso non ho fatto come molti miei contemporanei che d'improvviso hanno abbracciato un qualche fondamentalismo, islamico o ebraico che sia, oppure, tanto per appartenere a qualcosa, sono diventati seguaci di Baghwan. Non propongo niente di simile. Quelle son tutte scappatoie. Ma il fatto che non ho una soluzione non mi dispensa né della facoltà né dal dovere di criticare ciò che é diventata o ciò che si presume sia la civiltà, in cui tutto è indifferente e ha quindi la stessa validità. Non aspettare Godot Lei ora sottolinea il fatto di non esser diventato e di non essere mai stato un fondamentalista. E tuttavia colpisce come lei si occupi - in una parola - di Dio, o se preferisce della religiosità. Lei gira intorno a questo problema quasi in ogni suo libro. BibliotecaGino Bianco Glielo posso spiegare. In un modo per me non chiaro e sospetto, io esercito una certa attrazione sull'uomo religioso. Evidentemente il mio linguaggio, quando parlo di Auschwitz o di Hiroshima, assume un pathos non untuoso ma senz'altro da predicatore, che viene frainteso. Un noto pastore protestante, ora scomparso, mi disse in faccia: "Naturalmente - e non mi dica di no - lei è un homo religiosus!" Cosa che io naturalmente non sono; nel migliore dei casi sono un uomo per bene. Quando tratto "temi religiosi" è sempre per rifiutare gli assoggettamenti religiosi. I secchi di acqua fredda che stanno vicini al mio scrittoio non dimostrano affatto che "ardo di religione". Questa però non è la risposta alla mia domanda; è più che altro una risposta tattica. Volevo una risposta di contenuto. Volevo sentire esporre le cose che la prendono di più, piuttosto che quelle a cui si può rispondere con un gesto di rifiuto. Le vengono attribuite anche buffe espressioni - sebbene lei non lo abbia mai ammesso - come "anticristo per vocazione" e cose simili. Ateo di professione. La parola Cristo non la uso, casomai Gesù. La parolaDio però compare, e spesso. È questo che sto chiedendo. Una volta lei ha cercatodi definirsitramitemolte domandee negazioni:sono uno scrittoretedesco,anzi no, non sono uno scrittoretedescoperchého vissutoqua e là. Sono forse uno scrittore ebraico?Sì, in effetti sono ebreo, ma non sono uno scrittoreebraico, e così via. Non è colpa mia se sono diventato indefinibile. Se la storia mi ha scacciato fuori da ogni confine, sono proprio indefinibile, vivo proprio senzajines, determinati, senza determinati confini. ·
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