14 BibliotecaGino Bianco con quelle discrepanze che fino ad ora son valse come decisive. Oggi possiamo infischiarcene delle discrepanze tra carne e spirito o tra inclinazione e dovere. Ciò che conta oggi è piuttosto la discrepanza tra ciò che facciamo e ciò che siamo capaci di immaginare. È solo perché non siamo capaci di immaginare i nostri prodotti e i loro effetti che non abbiamo impedimenti a costruire bombe atomiche. Ciò che intendo è che noi siamo diventati "utopisti alla rovescia": mentre gli utopisti immaginano molto più di ciò che producono, purtroppo noi immaginiamo molto meno di ciò che produciamo. È soltanto perché la discrepanza sarà la causa della nostra scomparsa che io chiamo con essa tutta la mia filosofia - non è un motivo irrilevante. A ciò si aggiunge ancora una seconda discrepanza, strettamente collegata alla prima: vale a dire tra ciò che prima era "la nostra attività", il "nostro fare", e ciò che effettivamente oggi "facciamo". In realtà noi non "facciamo" più niente, nel senso dell' "operare" o del "produrre". Piuttosto ci limitiamo (nella misura in cui noi lo facciamo) a un mero atto-causale, il cui risultato non solo non immaginiamo, ma non siamo nemmeno più capaci di riconoscere. La discrepanza tra causa ed effetto è un fenomeno del tutto nuovo e al tempo stesso catastrofico. Le parole "alienazione" o 'estraneazione" non sono più adatte a descrivere questo fenomeno, perché quei termini presuppongono che qualcosa, che prima ci era familiare, si renda successivamente estraneo. Ma non si tratta di questo. Al lavoratore o al politico di oggi non si rende improvvisamente estraneo qualcosa che prima gli era familiare, ma egli si trova fin dall'inizio in una situazione di estraneità di fronte al risultato della sua attività: non pensa affatto al suo risultato. Se lei sta a una macchina, come sono stato io, non solo le è del tutto indifferente cosa viene fuori, lei non ha nemmeno davanti agli occhi - per usare un termine greco - l'eidos, e non avrebbe alcuno scopo avere davanti agli occhi l'eidos. Si lavora senza alcun telos e senza alcun eidos. La discrepanza tra produttore e prodotto è totale. Questa discrepanza rappresenta l'autentica rivoluzione della nostra epoca. L'autentica: perché si verifica indipendemente dalle diverse forme economiche e si è verificata tanto all'ovest che all'est. Fanno eccezioni due "risultati" storici spettacolari, che nei suoi scritti hanno un ruolo importante, vale a dire Auschwitz e Hiroshima. Il risultato del fare lo si può vedere benissimo. E nonostante ciò che lei ha definito l'allontanamento del prodotto, questi prodotti vengono fabbricati: uno mescola i gas, l'altro fabbrica la bomba. Uno scienziato la progetta, un tecnico la realizza e alla fine un pilota la sgancia. Lei crede di poter interrompere un giorno questa catena causale? Probabilmente no. E tuttavia credo che non abbiamo altro compito che non sia almeno quello di avvertire gli uomini che stanno eseguendo delle attività senza un telos, ma che alla fine da esse risulterà un telos che non era nelle loro intenzioni, cioè la distruzione universale. Forse è questa, tra le altre, una ragione per cui, in modo del tutto sorprendente, nella prefazione a Mensch ohne Welt lei si esprime contro il pluralismo? Con ciò lei salta, in modo molto ardito, in tutt'altro ambito tematico. Rispondo alla sua domanda: sono tutt'ora sbalordito di esser stato l'unico a restare sbalordito di fronte al pluralismo. È una condizione del tutto fuorviante quella in cui si deve partecipare a tutto, si deve rispettare tutto allo stesso modo, ma senza dovervi credere. È una situazione assurda. Alessandrinismo escluso, non si è mai verificata. Secondo me ha origine dalla commercializzazione del mondo - un'estensione del concetto di tolleranza che i fondatori dell'ideale di tolleranza non avrebbero potuto prevedere. Ma Gunther Anders, mi scusi, è una questione piuttosto delicata. Conosco la sua teoria secondo cui il fondamenta/e diritto della nostra epoca a/l'uguaglianza sarebbe legato alla produzione di merci. Ma: lei, come me e moltissimi altri, vive di questo concetto di tolleranza seppur dilatato oltremisura. A molti noi siamo intollerabili, così come molti ci sono intollerabili. Chi decide come delimitare il pluralismo, la tolleranza? È un fatto piuttosto delicato. In effetti sollevare il problema è straordinariamente delicato. Io non ho proposto di abbandonare il pluralismo e di abbracciare d'un colpo una certa religione o un certo credo - vale a dire posizioni di possibile intolleranza. Le leggo una frase tratta da Mensch ohne Welt: "Appartiene evidentemente a/l'essenza del pluralista non solo di non soffrire per il fatto di non vivere in alcun modo determinato, ma anche il non avvertire più come la verità gli sia diventata indifferente". È un pezzo forte. Questo vale già per il Nathan. E più che mai per oggi. Conosce il concetto
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