BibliotecaGino Bianco Persino Hegel lo conosceva solo per sentito dire. All'incirca all'inizio della nostra 13 - come devo chiamarla: semplice conoscenza è troppo poco, amicizia è troppo - aveva fatto un'osservazione su Hegel definendolo "idealista". Usava questi termini schematici con una certa disinvoltura. Del genere: Hegel "non entra in questione"; oppure se lo si legge insieme a Marx si vede "quale enorme forza" sia. La volta successiva andai da lui e gli dissi: "Ho portato un testo di Marx e uno di Hegel da leggere a voce alta; lo farò in ordine cronologico, quindi inizierò con Hegel''. Invece lessi Marx. Lui cominciò a sbeffeggiarlo. Poi iniziai a leggere Hegel dicendo che si trattava di Marx. Si mostrò enormemente affascinato. Bene, già a quel tempo, nonostante avesse poco più di trent'anni, Brecht era abituato a essere celebrato e idolatrato. Anche gli uomini lo trattavano come le donne. Quel che avevo fatto era un'insolenza che non aveva mai subito prima (ma che non era estranea allo stile brechtiano). Quando gli rivelai il mio trucco mi sbatté fuori. In seguito ci siamo riappacificati. Suppongo che egli abbia capito l'intenzione didattica del mio gioco. Era straordinariamente predisposto per i motti di spirito e le arguzie, egli stesso era molto spiritoso e arguto, e quella mia idea arguta di abbindolarlo, nell'intimo gli è sicuramente piaciuta. Prima lei ha citato una frase, pronunciata nel 1931, che alle mie orecchie suona totalmente folle: "Ripassi tra un anno quando il baccano nazista sarà cessato". Lo disse Max Wertheimer, il famoso fondatore della "Gestaltpsychologie". Un affascinante ebreo praghese, il bene in persona - ma che non sapeva nemmeno per sentito dire che esistesse qualcosa come la politica, e per strada non aveva mai visto nessuno in camicia bruna. E anche gli altri professori di Francoforte credevano che tutto sarebbe finito in un paio d'anni. Poi Hannah [Arendt] ed io abbiamo levato le tende e siamo tornati a Berlino. Se mi ricordo bene è durato un po' più di un anno. E leipoi è tornato indietro, dopo la guerra. Ma perché proprio a Vienna? Perché Vienna la riguarda? Giusta domanda. La risposta è semplice. Allora ero sposato con Liesl Freundlich, che era viennese, e aveva voglia di tornare a Vienna. Per me non era chiaro dove sarei voluto andare in Germania. Bloch mi aveva "riservato" - così si espresse - una cattedra a Halle. Ma prima volevo guardarmi un po' in giro. E iniziai da lì. Adenauer andava tanto poco bene quanto Ulbricht. Non volevo accettare gli stessi compromessi che più tardi dovette accettare Adorno; criticare l'establishment nelle sue fondamenta e radici, e contemporaneamente diventare parte di quello stesso establishment. Dunque niente Germania occidentale. Però mi era chiaro che nella RDT non mi sarebbe stato consentito di filosofare. Quindi non sono andato né in Germania dell'ovest né in quella dell'est, e - ancora, il tuo nome è Vienna - qui son rimasto, e questa era la mia grande chance per poter veramente sviluppare la mia filosofia. Filosofia della discrepanza La "mia filosofia" - che cos'è? C'è il suo termine di ''filosofia della discrepanza" .... Questa era la mia risposta a.chi allora mi chiedesse come intitolavo la mia filosofia. Rispondevo: al centro della mia antropologia filosofica sta il fatto decisivo della disponibilità ineguale delle diverse capacità dell'uomo, e cioé la loro discrepanza. Il dato di fatto che noi produciamo più di quello che siamo capaci di immaginare. Per cui sotto certe condizioni si sarebbe verificata la catastrofe. E se si vuole assolutamente dare un nome alla mia filosofia, allora bisogna nominare questa discrepanza tra il produrre e l'immaginare e chiamarla "filosofia della discrepanza", il che appare tanto più appropriato se si considera che esiste una "filosofia dell'identità", che è quella di Schelling. E dunque "filosofia della discrepanza" è il netto contrario. Naturalmente nessuno, sulla base di queste proposizioni, riesce a capire cos'è veramente la ''filosofia della discrepanza". Non si sa nemmeno cos'è la "filosofia dell'identità". Se si tratta dell'identità dell'uomo con Dio o del corpo con l'anima. E non si sa nemmeno cos'è l' "idealismo trascendentale". Dovrebbe chiarirlo a me e ai nostri lettori. Un titolo è un'insegna, non una descrizione. L'insegna non ha l'obbligo di illustrare tutta l'osteria su cui è posta. Allo stesso modo, ciò che viene ripetuto sempre nei miei scritti è che quella discrepanza, che definisce l'uomo d'oggi, e non soltanto quello d'oggi - ed è piuttosto il destino dell'uomo - non è più identica
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