12 BibliotecaGino Bianco giovane di me. Io ho iniziato molto prima di lui. E i suoi scritti hanno poi avuto un ruolo molto modesto per me. Anzi, dopo esser andato via da Friburgo, sono andato solo a Berlino. Poi sono stato a Parigi dove ho frequentato soprattutto artisti. A Parigi, tra gli altri, lei ha frequentato Walter Benjamin. Per me Benjamin non era una parte dell' Adorno-Kreis, ma piuttosto un cugino più grande. Lo conoscevo dal mio primo anno di vita. Non potrei dire che a Parigi abbiamo "filosofato" insieme. Perché in primo luogo eravamo antifascisti, in secondo luogo antifascisti, in terzo luogo antifascisti e inoltre avremmo anche filosofato. Lei vede in modo sbagliato l'emigrazione se pensa che avessimo tempo di sederci e di speculare. Adorno e Horkheimer avevano tempo per farlo perché conducevano una vita sicura. Adorno e Horkheimer non hanno vissuto mai la miseria dell'emigrazione. Non ricordo di aver "filosofato", durante l'emigrazione, con scrittori tedeschi. Si potrebbe dire che anche l'emigrazione successiva, quella americana, ha costituito per lei una situazione essenzialmente priva di dialogo? Filosoficamente priva di dialogo? Sì, accetterei questa espressione. Durante l'emigrazione americana ho abitato temporaneamente a casa di Marcuse, a Santa Monica; ma anche con Marcuse non abbiamo propriamente "filosofato". Non appartenevo a nessuna tendenza. Non ero più heideggeriano - non lo ero più già da molti anni-, non facevo parte del circolo di Adorno e Horkheimer, non sono mai stato membro dell'Istituto di Francoforte e non ero iscritto al partito. In effetti non venivo preso sul serio: non da Brecht, perché non filosofavo in modo abbastanza marxista; non dagli accademici, perché non mi impegolavo a filosofare come erudito sulle filosofie degli altri - quelli non mi capivano quando gli spiegavo che un astronomo non si occupa innanzitutto delle teorie astronomiche degli altri, ma delle stelle. Non facendo parte di niente, negli Stati Uniti ho dovuto compiere dei lavori che i "miei colleghi", cui era consentito restare nel campo della filosofia o della sociologia, naturalmente non hanno mai conosciuto. Grazie a Dio ho dovuto farli. Perché in tal modo ho avuto l'occasione di fare esperienze non accademiche, non offuscate da pregiudizi o teorie; ho lavorato in fabbrica, come maestro privato, come "guardarobiere" in un noleggio di costumi - insomma: ho avuto le innumerevoli chances della miseria. E Brecht? Lei ha pubblicato quel dialogo, forse non di pura invenzione - dunque lei lo ha visto occasionalmente? Invenzione? Occasionalmente? Moltissimo! Iniziammo a vederci già a Berlino. A Berlino andavo da lui regolarmente ed era una situazione molto delicata. Per cui alla fine egli non mi poteva più sopportare. Non solo per il fatto che lo avevo capito meglio di quanto avrebbe voluto, ma anche perché era abituato a circondarsi di persone da cui poteva "avere qualcosa", che poteva utilizzare. L'utilità era il suo criterio per scegliersi i rapporti. Ciò significava assoggettamento. Ma per una cosa simile io non ero affatto portato. Tuttavia era un uomo straordinariamente disposto a venire in aiuto. Anche in mio aiuto. La prima volta è stato quando, nel 1931, arrivai da Francoforte, dove avrei voluto prendere l'abilitazione, e dove mi era stato detto "ripassi l'anno prossimo quando questo baccano nazista sarà cessato''. Allora arrivai a Berlino per guadagnare qualche soldo. Alla "Frankfurter Rundfunk" avevo tenuto una conferenza su Brecht pensatore, il che aveva avuto una certa risonanza, perché Brecht era conosciuto soltanto come autore dell'Opera da tre soldi. Gli portai il manoscritto e lo pregai: "Gli dia una guardata, forse potrebbe interessarle". Lo interessò. Allora gli dichiarai: "A partire da domani devo guadagnare del denaro, mi può aiutare?" Si mise subito al telefono e chiamò Herbert Ihering: "Qui di fronte a me è seduto un tale piuttosto capace" - cosa che più tardi avrebbe contestato. "Da domani lavorerà al "Borsen Courier" Da allora fui al servizio del "Borsen-Courier" di Berlino. La seconda volta mi ha aiutato quando fu pronta la prima versione del mio libro Die molussische Katakombe. Lo propose al suo editore Kiepenheuer. Insomma: non gli stavo simpatico, ma per onestà non badava alla sua antipatia per me. Si può dire che molti dei suoi lavori - come lafiaba Der Blick vom Turm - sono molti vicini al modello di scrittura brechtiano? È indubbio che sono stato influenzato da Brecht, per esempio dalle sue KeunerGeschichten, o anche dalla sua - come disse una volta - "mescolanza di saggezza e insolenza". È stato importante anche per il mio modo di far filosofia, sebbene non avesse alcuna formazione filosofica. Conosceva soltanto il marxismo.
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