Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

I disegni sono di Gunther Anders. BibliotecaGino Bianco Né hanno bisogno di una morale. Ci si può rendere colpevoli solo in un gruppo 11 che ha bisogno della morale in quanto la natura non lo ha dotato di regole di comportamento necessarie. La facoltà di rendersi colpevoli significa anche lafacoltà di decidersi per il bene o per il male. La facoltà di decidere non appartiene forse all'essenza dell'uomo? Non la facoltà di decidere, ma piuttosto la costrizione a dover decidere. La costrizione a dover avere necessariamente una morale, di cui probabilmente gli animali non hanno bisogno. Non lo sappiamo. Non possiamo chiedere alle api se hanno determinate regole e se, nel caso in cui le infrangono, vengono uccise. Presso le api e le formiche esiste qualcosa come l'uccisione. Non considererei la facoltà di rendersi colpevoli come un segno di distinzione, di privilegio ... . . . ma questo non era neppure il contenuto della mia domanda, che riguardava piuttosto la diversità costitutiva. È su questo che vorrei tornare. Sul fatto, cioè, che l'uomo è costituito in modo diverso, tale da distinguersi dalle meduse, dall'ortica ... Può darsi. Non lo sappiamo. Io direi che noi siamo diversi in quanto dotati di un istinto piu debole rispetto agli altri esseri viventi, di modo che, successivamente, tentiamo di ottenere un ordinamento mediante obbli-ghi e divieti. Probabilmente questo non è il caso dei cani o delle volpi. Ma non significa perciò che stiamo più in alto. Piuttosto, che purtroppo abbiamo bisogno di una morale. La facoltà di distinguere tra bene e male non è un privilegio, è solo qualcosa di indispensabile. Gli spinaci non sono per questo inferiori a noi. Begli stupidi sarebbero se volessero arrivare a una distinzione tra bene e male - dato che non possono essere né buoni né cattivi, poiché quella distinzione non ha senso per loro che non ne hanno bisogno. Noi, al contrario, abbiamo bisogno della morale. Brecht, Benjamin e altri Lei è insegnante? Sì. Chi sono stati gli insegnanti di questo insegnante? È stupefacente, più si leggono i suoi lavori, più vengono fuori nomi - alla fine per lo più svalutati, del resto - ma non si riesce a capire esattamente se ci sono stati davvero dei maestri o se le sue letture spaziano senza un piano preciso su tutta la storia mondiale. Le mie letture, confrontate a quelle degli eruditi, sono scarse. Ho ammesso più volte che fatico molto di più a leggere che a scrivere, che mi stanca molto di più fare il brontolone nei giardini ideati dagli altri, piuttosto che sarchiare, piantare e mietere nel mio giardino. Chi sono stati i miei maestri? Da un punto di vista puramente biografico è facile rispondere. Innanzitutto mio padre e Ernst Cassirer, poi Edmund Husserl e Martin Heidegger; con Max Scheler già non è piu stato un rapporto maestro-allievo, dato che abbiamo discusso molto insieme, anche se non proprio da pari a pari, poiché io ero troppo giovane. Il mio apprendistato coincide in generale con la mia prima giovinezza. Nel 1923 - avevo ventun anni - mi sono laureato con Husserl. Con una tesi contro di lui. Lei ha ripetutamente criticato, anzi attaccato Bloch. Non solo il suo Principio speranza, ma l'opera di Bloch in generale. Non l'opera, ma la sua "speranzosità". Ciò ha a che vedere con la situazione nucleare: lui si è rifiutato di prendere in considerazione la situazione nucleare. Ho sempre cercato - anche a tu per tu - di chiarirgli che la possibilità di una scomparsa totale è indiscutibile, che la vera rivoluzione consiste nel fatto che l'umanità ha la possibilità di annientarsi, e che in confronto a questo enorme cambiamento della situazione - non solo dell'uomo, ma della vita intera - le distinzioni tracciate da noi - in quanto marxisti - tra sistemi di dominio o anche tra classi, diventano secondarie. Insomma, che noi, a causa di questo cambiamento, dobbiamo rivedere i fondamenti del nostro filosofare, anche quelli marxisti. Egli ha trovato il mio carteggio con Eatherly, il pilota di Hiroshima, lacrimevole e folle. E questo atteggiamento senza speranza innestato sullo sperare, in fondo vile, mi ha a poco a poco profondamente irritato. Di qui le osservazioni critiche contro di lui. Ma lei non deve dimenticare che io gli ho dedicato un libro. Eravamo legati da molta amicizia. E Adorno o Horkheimer? Il concetto di "Scuola di Francoforte" stranamente - e per quanto ne so - non ricorre mai nei suoi lavori. Per me non ha avuto un ruolo formativo. Deve considerare che Adorno era più

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