Linea d'ombra - anno IV - n. 17 - dicembre 1986

Giinther Anders BibliotecaGino Bianco UOMINSIENZAMONDO INCONTROCONGUNTHERANDERS a cura di Fritz J. Raddatz Creature contingenti Vedo una contraddizione molto complicata nel suo lavoro considerato complessivamente; questa contraddizione mi sembra costituita da tre elementi, che, per la verità, sono difficilmente conciliabili: lei afferma innanzitutto che qualsiasi cosa sifa, tutto è comunque fatto invano. In secondo luogo, il suo intero lavoro mostra l'esatto contrario, mostra cioè di combattere questo "invano", di cambiare, anzi di produrre coscienzaper combattere l'analfabetismo, almeno quello spirituale, morale. In terzo luogo, lei afferma a un certo punto che l'uomo è - per usare le sue parole - "contingente". Come intende collegare questi tre elementi così contraddittori? No, non direi che qui ci siano delle vere contraddizioni; piuttosto delle contraddizioni apparenti. Quando affermo - molto spesso esagerando - che non c'è niente da fare, lo dico per ragioni tattiche: contro i politici é i pubblicisti dello happy-end, che non si vergognano di fare gli ottimisti. Purtroppo la parola "speranza" è diventata, mediante Ernst Bloch, la parola da giorno di festa - per tutti, persino per i politici reazionari. Naturalmente questi, del corposo volume Il principio speranza, hanno letto solo il titolo. Inoltre speranza non è affatto un principio, ma un'emozione infondata. Se sono "pessimista" - per usare un'espressione banal~ - è per combattere quest'ottimismo raggiante manifestato anche da chi è al corrente della situazione nucleare. Quello che predico, in sostanza, - ma so di pretender molto dall'uomo comune, forse troppo - è che bisogna applicarsi nella prassi come se non si sapesse niente della povertà delle nostre chances. Vale a dire praticare una schizofrenia morale. In quanto moralmente attivi dobbiamo essere più stupidi di quanto siamo in realtà. Col termine "attivo" lei intende qualcuno che - come ha detto una volta citando un colloquio con Heidegger - ha "disertato nella prassi?" Mai nella mia vita ho concepito il "fare" come disertare. Anzi, ho "disertato" nella prassi poco prima che Hitler andasse al potere. Ma che significa in generale "disertare"? Al contrario, trovo che disertori sono proprio i presunti non-disertori, coloro che, quando ci sono i campi di concentramento, restano degli accademici e continuano a fare i ghirigori sui loro "Contributi a questo o a quest'altro in particolare riferimento a quello o a quell'altro". Costoro disertano, e disertano nel campo dell'irresponsabilità. Intende dunque dire che il suo lavoro è prassi? Non trova che vi sia una differenza tra una marcia di Pasqua e il suo lavoro teoretico-letterario? Come tra una ricetta di cucina e la degustazione di una cotoletta. Forse lei crede che sono volato a Hiroshima in veste di "teoreta"? O magari "qua teoreta"? Non mi faccia ridere! E che sia stato in relazione epistolare con Claude Eatherly o con Klaus Eichmann in quanto teoreta? E che abbia preso posizione a favore del "Krefelder Appell" perché "mi interesso della problematica pacifista?" Mi consenta di tornare al concetto di "contingente". Pochissimi riuscirebbero a capire esattamente cosa intende. E trovo anche che sia molto facile fraintenderlo se lo si accosta a ciò che lei ha appena affermato: la sua vita, il suo lavoro come unità di una grande prassi di pensiero e azione. Se contemporaneamente lei fa dell'uomo una monade senza finestre ... No, non ne faccio una monade senza finestre. Uso il concetto di "contingente" per la prima volta nella mia conferenza del 1929 Die Welftfremdheit des Menschen, pronunciata di fronte alla Kant-Gesellschaft: lì parlo della "contingenza dell'uomo". Con questo dico che l'uomo fa parte delle creature contingenti; e anche che è pensabile un mondo senza uomini. Che ci sia l'uomo è altrettanto casuale quanto che ci siano spinaci o passere di mare. Questa formulazione così univoca e insolente è in funzione polemica contro la tesi presuntuosa e compia-

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