72 INCONTRI VIAGGIO ALTERMINE DIUNMILLENNIO a cura di Filippo La Porta Puoi racconlarciquando e come hai cominciatoa scrivere? Ho cominciato a scrivere intorno ai 20 anni e quasi soltanto poesie. Durante gli anni Settanta è stato decisivo l'incontro con alcuni romani "laterali", insieme ai quali ho fatto uscire otto numeri di una rivista di poesia, "Braci". Poi, intorno al 77, un punto di riferimento prezioso è stato la galleria S. Agata dei Goti, un'esperienza abbastanza inedita, da cui sono usciti pittori e scrittori. Ne citerò qualcuno: Edoardo Albinati, Claudio Damiani, Beppe Salvia, recentemente scomparso. Da allora ci teniamo sempre in contatto, giochiamo insieme a pallone dalle parti di Pietralata, ecc. Direi che ciò che teneva unito il gruppo era un progetto di ricerca intorno a un "classicismo formale", inteso sia come ricupero dei classici, sia come ricerca di una parola che sappia esprimere qualcosa, che sappia raccontare; insomma un progetto che doveva tirarci fuori dallo scacco dell'avanguardia ma anche dalla creatività selvaggia del 77. Già da allora scrivevo prevalentemente racconti; in fondo mi considero soprattutto un affabulatore, un narratore. Li definivo racconti "poveri", almeno cosl avrebbe dovuto intitolarsi una loro raccolta che non fu più pubblicata. "Poveri" nel senso che erano orientati dalla "povertà" come dedizione a un unico aspetto di se stessi. In seguito ho partecipato a 3 festival di poesia e ho pubblicato racconti sulla rivista "Prato pagano", mentre Diario di un millennio che fugge, già terminato nel 1983, ha compiuto un certo giro prima della pubblicazione raccogliendo giudizi editoriali spesso lusinghieri ma privi di conseguenze pratiche: prima Einaudi, poi Mondadori e infine Theoria. Quali sono i tuoi maestri o modelli letterari? Come maestri direi che ne riconosco soprattutto uno, Dostoevskij, anche se naturalmente non nego influenze e ascendenze di vario tipo (per questo romanzo potrei citare Céline e Alain-Fournier). Dei "giovani" italiani posso solo dire che mi sembravano più convincenti, più teca Gino B11nco '""" , i~~m~1.1■ ... nl\._ /,... ,,. . ...,.. "lii,... ,.. • ,,, ...,,_ ,,• .... "urgenti" le loro opere prime. Comunque, tornando a Dostoevskij, mi sembra di aver sviluppato in particolare l'elemento sentimentale, di "sentimentalizzazione" delle idee, e meno quello umoristico-grottesco; e poi l'affollamento, l'addensamento di storie. A proposito del tuo romtmZovorrei chiederti:la costruzionenarrativaa tasselli, appunto "addensata",esprime l'impossibilità di racconlareuna storia in modo tradizionale? Si, credo che la possibilità di raccontare una storia "dritti per dritti" sia svanita. E poi il tempo che si approssima alla fine del millennio è un tempo che diventa metafisico, presente, passato e futuro tendono a coincidere o a mescolarsi. Con tutte le differenze immaginabili, mi viene in mente una costruzione ariostesca: tutti i miei personaggi sono in fondo dei cavalieri, cavalieri dell'anima; portano ciascuno le proprio pene e le proprie tensioni, sono tutti ossessiona- . ti da una "fedeltà", proprio come i personaggi dell'Orlando. A un certo punto il protagonistadel romanzo pensa: "non si può aggiungere un aggettivo sen:zaintenderne la vanità". Ti riconoscipersonalmente in questa scelta, di carattererrwraleprima ancora che stilistico? In un certo senso sl. Ma Il mi sembra importante osservare come il protago- "''· nista vada incontro a una realtà che è essa stessa senza aggettivi, disossata (quell'"osso di seppia" che è l'isola); cosl anche il linguaggio, progressivamente, si rastrema. Forse si potrà tornare all'aggettivo, ma prima viene la necessità di ridare alle cose il loro nome e la loro dignità. I 17 anni che trascorrono prima dell'ultima parte del Diario sono stati anni di prosciugamento. Spesso i capitoli sono aperti o conclusi da brani filosofeggianti, riflessione metafisica:perchè hai scelto di enunciare, di esplicitare la visione del mondo del protagonistae non di mostrarlaunicamente attraversoi fatti narrati? Bè, direi che è la tendenza di tutto il romanzo del novecento, almeno a partire da La montagna incantata. Comunque non si tratta di lunghissimi sproloqui, in fondo è un diario. Certo, quello a cui tendo è una forma di romanzo "totale", nel quale le azioni dei personaggi sono sl azioni assolute, ma devono essere accompagnate da una costante riflessione (sono nel tempo ma anche di fronte all'eternità). Pur calato in una scritturapiuttosto sorvegliata, "classica", l'intreccio del romanzo presenta un "pieno" di effetti: incesto, morte per malattia con agonia, una sordomuta, una bambina scema, una ca• gna che divora i cuccioli, un altro cane investito da una macchina, sangue e budella.Cosati premevacomunicare? Cè l'idea del male, del male che ho sentito nella vita, e dal quale ognuno cerca di difendersi, di ripararsi. Il protagonista attraverso una specie di narcosi, l'amico Fernando attraverso la scelta di "fare" il male (e qui il riferimento al Viaggioal terminedellanotte è trasparente). Nonostanteil romanzo sia una storia di fallimenli e nonostante il paesaggio fi· nale appaia desolato, assistiamo però a un ribaltamento del negativo nel positivo: il protagonista,passivo e inetto a vivere, sembra fare di questa debolezzaun punto di forza. Questa conclusivaaccetta-
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