Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

70 BORGESE BORGESIANI Goffredo Fofi Nella biografia di ogni lettore, ci sono autori amatissimi fin quando si è in pochi e magari disparati, di opposte visioni, sconosciuti gli uni agli altri a frequentarne l'opera e che poi, quando si affermano e dilagano presso i più, finiscono per deludere, vuoi perché l'abbondanza delle lodi da parte degli ultimi venuti finisce per irritare, vuoi perché rileggendoli, non dovendo più difenderli come propria personale scoperta, ci appaiono in luce più chiara i loro limiti assieme ai loro pregi. La lettura a fine anni Cinquanta di La BibliotecaGino Bianco biblioteca di Babele, come si chiamava allora l'edizione italiana di Finzioni apparsa nei Gettoni vittoriani, fu entusiastica come lo fu, dopo, la caccia nei primi Sessanta ai suoi libri inediti in Italia- quasi tutti, eccetto L'Aleph e un libretto delle Silerchie. Era di quegli anni, per me, anche la scoperta dell'America latina. Scoprii cosl un altro Borges, quello tutto argentino di Evaristo Carriego, della Storia poetica del tango, di Palermo, e quando mi imbattei in una biblioteca francese in una collezione incompleta di "Sur" mi colpl, più che il poeta, l'autore di brevi, sintetiche, spesso folgoranti recensioni di film. Ne tradussi alcune per "Positif', accompagnandole con un articolo tanto fanatico quanto superficiale che mi valse critiche violente di una testata rivale e assai destrorsa (non i "Cahiers") preoccupata di essere stata scavalcata da una rivista allora di sinistra. Se c'è qualcuno che mi ha influenzato non nel mio modo di vedere il cinema ma in quello di scriverne, quello è stato Borges. Una lettura univoca e rapida del singolo film, con la giovanile ambizione di dire di più e di meglio in due-tre cartelle di quanto i critici non facessero nelle loro articolesse impressionistiche o nei loro dotti saggi. Ho dunque nei suoi confronti anche un debito molto personale. Poi è venuta la moda, e non si contano le alatissime sciocchezze che, in mezzo a non molte cose serie, sono state scritte sul grande porteno. È venuta anche una migliore conoscenza della letteratura latino-americana e argentina (per esempio Cortazar, e insieme la scoperta di un Arlt che allora i giovani scrittori e critici argentini di sinistra contrapponevano a Borges accanitamente, con qualche esagerazione) e naturalmente anche una migliore conoscenza dell'opera stessa di Borges. Oggi non condivido l'adorazione che tanti le portano, ma non condivido neanche l'odio-amore di molti argentini o la tardiva conversione di alcuni tra loro. Certi autori o certi libri (Rulfo, / jiwni profondi, Vargas Uosa, i primi Onetti, alcune cose del tardo Revueltas, / sette pazzi, Tre tristi tigri, I passi perduti e i racconti di Carpentier, i racconti di Cortazar, i brasiliani Guimaràes Rosa e Drummond de Andrade...) mi sono alcuni più cari e altri altrettanto cari di Finzioni e l'Aleph. Col tempo Borges - e non parlo delle sue idee politiche, peraltro più complesse meno ingenue di quanto a destra e a sinistra non si sia voluto vederle - è rimasto prigioniero dei borgesiani e del borgesismo, e quando, in Transatlantico di Gombrowicz (ecco uno scrittore che le mode di oggi ignorano) ci si imbatte nelle invettive e nei sarcasmi che a Borges e al suo circolo dedica quell'argentino provvisorio e acutissimo, si è tentati di aderirvitoto corde. Borges è meno profondo di quanto i suoi ammiratori non credano, e la sua novità si è rapidamente esaurita nell'arco di pochi libri. Manierista più che barocco, la sua paura della vita e il suo amore delle citazioni ne hanno fatto l'esempio perfetto di una letteratura che nasce e muore dentro la letteratura, evasiva in Europa e ancor più in America: lo scrittore ideale per gli accademici e per gli intellettuali "finissimi" - due specie non tra le più

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