;o DISCUSSIONE/GRACQ della propria adesione (per lo meno le conseguenze negative), vive, e in realtà viviamo tutti, in uno stato di comoda dissociazione: leggendo nello stesso tempo Jouhandeau o Montherlatit, che scrivono come nel gran secolo, e Céline o Beckett, che ricordano l'era atomica. Facciamo un passo in più e confessiamolo con franchezza: leggiamo la letteratura contemporanea più o meno con lo stesso atteggiamento che abbiamo in un museo; rettificando cioè ad ogni istante la nostra visione grazie a coefficienti e a correzioni d'angolatura che abbiamo appreso, giudicando ogni opera in funzione di criteri la cui elaborazione è lontana a volte di parecchi secoli: i surrealisti in funzione di Lautréamont, Roger Vailland in funzione dell'estetica di Laclos e Claudel in funzione di quella di San Tommaso. Insomma, l'idea tipicamente spengleriana, che sta alla base della psicologia dell'arte di Malraux, l'idea per cui ogni grande stile è un assoluto, per la sua essenza non paragonabile a nessun altro, che sfugge a qualsiasi tentativo di gerarchizzazione, quest'idea noi la trasferiamo, più o meno esattamente, nelle nostre letture quotidiane. E la trasferiamo scandalosamente, se così posso dire, perché, se resta inteso che non si pone nemmeno più il problema di sapere se nella successione delle epoche Claudel valga più di Racine, la coesistenza di opere ispirate a due stili così opposti dovrebbe per lo meno denunciare automaticamente un'impostura. Ora, le norme estetiche cui si rifanno le opere più significative dei nostri giorni non sono due, ma cinque o sei. Questa ricettività senza limiti da parte del pubblico, questa specie d'indifferenza confessionale abitualmente non ci colpisce più, ma colpisce ancora e fortemente coloro che potremmo chiamare i fondatori di nuovi ordini, coloro per i quali l'avvento di un'estetica significa ancora necessariamente la morte di tutte le altre. Mi torna in mente una conversazione che ebbi su questo argomento con André Breton: vent'anni dopo aver pubblicato nei Champs Magnétiques i primi testi di scrittura automatica, si ricordava ancora del suo stupore nel constatare che gli scrittori continuavano come se nulla fosse a scrivere romanzi balzacchiani o gidiani che il pubblico continuava a leggere. Era questa la sana reazione che ci si poteva attendere da un lottatore come Breton, ma vent'anni prima dell'epoca di cui parliamo, uno scrittore più scettico metteva già in evidenza, nella letteratura del proprio tempo, tratti che non hanno cessato di accentuarsi. Voglio parlare di Valéry e di lui leggerò ora una pagina in cui tutte le parole dovrebbero ancora essere soppesate. "Le letterature di decadenza - scrive - sono sistematiche. Si devono ad uomini più dotti, più ingegnosi e perfino più profondi, talvolta, degli scrittori precedenti di cui essi hanno notato tutti gli effetti calcolabili, di cui hanno ritenuto, classificato, concentrato il meglio, nella misura in cui questo si può cogliere ed isolare. BibliotecaGino Bianco "Perciò, in periodi di tempo molto brevi, si vedono produrre ed anche coesistere opere dall'apparenza molto diversa, che, per i loro caratteri esteriori, si direbbero appartenere ad epoche molto lontane. Una è fatta di ingenuità senza confronto, è impossibile coglierla in fallo, è più infantile di qualunque reale essere infantile. L'altra è opera di un selvaggio o di un essere caduto da non so quale astro, privato o accresciuto di qualche senso. Un autore simile è così totalmente metaforico che risulta impossibile distinguere ciò che intende dire dall'espressione che ne dà. La sua idea è un'immagine cui giustappone un'immagine di quest'immagine, con tanta regolarità che la simmetria risulta assoluta, il senso non distinguibile dal segno. Non si sa da quale parte stia il senso e da quale il segno. "Un simile sviluppo dei mezzi dipende dall'esperienza acquisita, dallo smussamento delle sensazioni letterarie, dalla grande varietà dei libri già accumulati; e dalla conseguenza di questo grande numero che è di dare troppo valore alla novità e di far cercare prima di tutto di farsi ascoltare. "L'impressione generale è quella di una cacofonia, di un disordine che fa presentire la fine di ogni letteratura, un giudizio finale di ogni retorica. La cronologia, l'evoluzione sono in rotta. I processi divenuti coscienti e ridotti ad operazioni permettono di formare immediatamente e in un ordine.qualunque, un seme, una foglia, un fiore. "Questi autori così diversi sono infinitamente vicini. Hanno letto gli stessi libri, gli stessi giornali, frequentato gli stessi licei e generalmente avuto le stesse donne." · r:I hiudo qui la citazione. Un testo di questo genere si preli;I sta molto bene alla riflessione, perché è chiaro che Valéry pensa al nostro tempo. "La grande varietà dei libri già accumulati e la conseguenza di questo gran numero" cui fa allusione per spiegare le particolarità di questa letteratura di decadenza, meritano, fra l'altro, un po' di attenzione. Pongono un problema essenziale, sul quale la critica si sofferma troppo poco, e che è quello delfondo di cultura sul quale crescono e si nutrono le opere del nostro tempo. Ogni libro infatti si nutre, come tutti sanno, non soltanto dei materiali che gli fornisce la vita, ma anche e forse soprattutto del denso concime della letteratura che lo.ha preceduto. Ogni libro cresce su altri libri, e forse il genio altro non è che un apporto di particolari batteri, un delicato processo chimico individuale, attraverso il quale uno spirito originale assorbe, trasforma e alla fine restituisce in forma inedita non già il mondo grezzo, bensì l'enorme quantità di materia letteraria a lui preesistente. Soltanto, in quasi tutte le letterature - forse non ci riflettiamo abbastanza - questa materia letteraria già digerita cento volte è stabile e limitata, e, come il mondo grezzo, è comune a tutti gli scrittori. Per gli scrittori dell'epoca classica, questo fondo, lo conosciamo: è la letteratura latina, le
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