PERCHÉLALETTERATURAESPIRAMALE Julien Gracq "1 on è mia intenzione schizzare questa sera per voi un a...lquadro della letteratura contemporanea. Prima di tutto perché esistono una dozzina di testi del genere in libreria, aggiornati quasi ogni anno. E poi perché questi quadri, compreso quello che potrei essere tentato di aggiungere io - come sapete e come sanno coloro che li scrivono - sono falsi, in modo irrimediabile e, si potrebbe dire, congenito. Infatti, da poco più di un secolo, una singolare disavventura ha colpito il nostro paese: a partire dal 1830 o dal 1840, esso sembra, in ogni periodo, incapace di dire quale letteratura abbia. Siamo addirittura così abituati a questa specie di malocchio della critica che non ci rendiamo sempre conto di quanto eccezionale sia questa incapacità. Per secoli, e all'incirca fino al 1840, i grandi scrittori di ogni epoca sono stati immediatamente riconosciuti. Al quadro della propria letteratura che ogni epoca ci ha lasciato, abbiamo portato qualche ritocco, ma non abbiamo introdotto sconvolgimenti. I punti di riferimento erano saldi e quando un'epoca, come è giusto, si ribellava alla letteratura che l'aveva preceduta, almeno non sbagliava l'avversario: è contro Ronsard che si accanisce Malherbe, è Rousseau ad essere preso di mira dagli Enciclopedisti ed è contro Voltaire che si ostina la religiosità romantica. Ma, a partire dal 1840, i manuali di letteratura, come i manuali di fisica, muoiono giovani, decimati, si direbbe, nella loro giovinezza dall'esplosione di una serie di bombe a scoppio ritardato, bombe che si chiamano, come ben sapete, Stendhal, Nerval, Baudelaire, Rimbaud, Lautréamont, Mallarmé, Claudel. Ier l'altro, in provincia, cercando qualche data di cui avevo bisogno per queste note, stavo sfogliando l'unico manuale di letteratura che avessi sotto mano, un manuale adottato nei licei e datato 1914: ho notato, consultandolo, che, nel capitolo sulla poesia postromantica, Leconte de Liste si vedeva consacrate due pagine, Sully Prudhomme una, Coppée mezza, Baudelaire sette righe, Verlaine e Mallarmé cinque; Rimbaud e Lautréamont, poi, non venivano nominati. Ci diciamo che è una cosa poco credibile. Pensiamo che la nostra epoca abbia gli occhi più attenti e che la critica sia talmente in agguato della novità che ci sono scarse possibilità per un'opera realmente originale di sfuggirle. Ma io non lo credo, e non lo credo per due ragioni. La prima è che un'opera realmente nuova ·10 è non soltanto in rapporto alle opere precedenti, ma anche in rapporto alla prospettiva di ricerca che le opere precedenti disegnavano, o meglio sembravano disegnare, agli occhi della critica. È questo il motivo per cui, in letteratura, un'opera nuova può essere reazionaria, nel senso più preciso del termine. L'opera di Stendhal, nel bel mezzo del romanticismo, rimane invisibile non a causa delle sue qualità allora senza possibilità d'impiego, come si ripete spesso, ma piuttosto perché rinvia, in modo aggressivo, all'ideologia del Direttorio. Gli occhi della critica, per quanto aperti siano, non esplorano mai tutto il campo del posBibliotecaGino Bianco sibile: sono necessariamente orientati; come quei politici che sanno in anticipo da quale parte tende la storia, i critici, pur non facendo la letteratura, sanno però da quale parte abbia il dovere di andare. La moderna critica intelligente, ad esempio, io la definirei una critica da castello di prua, con gli occhi fissi in anticipo sui nuovi mondi. Di questi mondi nuovi, ne ha già superati molti e, alla lunga, si è fatta un'idea dei loro segni distintivi; sa che per ognuno tutto risulta nuovo e spaesante: i fiori, gli odori, gli animali, e questi mondi nuovi si possono chiamare Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud, Jarry, i poeti del surrealismo; e si chiamano anche, in un altro ordine, Proust, Joyce, Kafka. Questa critica si è, bene o male, fatta un'idea del momento in cui è opportuno gridare: "Terra!". Sa che ogni volta l'apparizione è stata segnata da una specie di scossa d'ordine metafisico: una modificazione violenta, molto evidente, dei rapporti della coscienza col mondo, col tempo, con la libertà. Nulla di sorprendente nel fatto che ora scopra, con il nome di "nouveau roman", quei curiosi romanzi in zinco, che paiono votati ad una sorta di ascensione del lampione, del fornellino a spirito e del bottone di ghetta, e che d'altra parte fanno ridiscendere per un certo lato alla letteratura tutto il cammino che la pittura ha dovuto risalire da Meissonnier e da Detaille a Picasso. Una letteratura da cui l'uomo viene alla fine espulso a vantaggio dell'oggetto, e che questo strombazza, è, proprio una scoperta che la critica moderna era preparata a fare adesso, è se così posso esprimermi, una scoperta in linea, una scoperta prevedibile, il che ce la rende per ciò stesso vagamente sospetta. Allo stesso modo, qualche anno prima, la critica dimostrò che nessuna novità era tale da farle paura dando spazio, per un po', al lettrismo, ma si trattava soltanto di lettere in libertà dopo le parole in libertà e l'eccesso, un po' troppo meccanico, stancò presto. E poi, anche supponendo che al critico moderno non sfugga nulla di ciò che spunta nel campo del suo cannocchiale, a che servirà una vedetta se, per esempio, è il clima ora che si mette a poco a poco a cambiare? La letteratura non è sempre e non è obbligatoriamente una crociera di conquistadores o per lo meno non ne ha sempre l'ostentata arroganza. Per lunghi periodi, durante i quali in apparenza nulla si muove, la si direbbe occupata soltanto a sottoporre delle forme stabili a trasfusione di un sangue diverso e più sottile. Per scoprire ciò che separa Corneille e Racine, è necessario un affinamento dell'orecchio al timbro della voce che può essere sviluppato soltanto, si direbbe, da lunghi periodi uniformi e che non si concilia con gli ottoni della rivoluzione. Voglio dire con questo che la nostra critica, per quanto curiosa sia dei valori della novità, non è in grado nella stessa misura di informarci su ciò che sussiste soltanto come criterio di scelta, quando la forza d'impatto è venuta meno, e che si chiama semplicemente la qualità. Quarant'anni di tempo non hanno fatto altro che rafforzare, su questo punto, le osservazioni di Valéry. Ci piace, è
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