questo secolo a proposito del cosiddetto "criterio di demarcazione". Un tale criterio dovrebbe essere una specie di rasoio di Occam atto a distinguere la scienza dalla non scienza, ciò che ha dignità scientifica da ciò che non l'ha o, insomma, il grano dal loglio nel campo della conoscenza. Orbene, la formulazione più comune di tale criterio di demarcazione è stata cercata e delineata in termini di verificabilità (o falsificabilità) e comprensibilità delle affermazioni e dunque, in ultima analisi, in termini di visibilità. È scientifico ciò che in linea di principio è visibile, ovvero non ha diritto di cittadinanza nella scienza ogni affermazione che riguardi fatti in linea di principio non visibili. La scientificità presuppone la visibilità. E allora? Dovremo cercare qualche argomentazione per una più solida fondazione dell'operare scientifico, ma a questo punto più in generale dell'operare umano? Dovremo ritrarci inorriditi dal vizio del circolo vizioso? Crediamo proprio di no e crediamo anzi che i circoli viziosi di questo tipo abbiamo in realtà un grande contenuto, e ciò perché la circolarità logica è solo apparente e non rimane tale ad un esame più accurato che confronti la descrizione dell'operare dello scienziato con la sua pratica reale. Il circolo è tale solo se osservato in pianta; visto in prospettiva si rivela essere una spirale che non ripassa mai negli stessi punti. La coscienza della visibilità che viene acquisita dopo essere passati per una lunga e non lineare operazione teorica non è certo più la stessa; cose che prima erano invisibili diventano visibili e probabilmente anche viceversa, l'ottica e l'elettromagnetismo permettono di capire perché l'aria non si vede, ma dai mille indizi che ne abbiamo possiamo ben dire che è come se la vedessimo. Così come vediamo ia poltrona solo se la immaginiamo in relazione con il corpo umano. Il passeggero curioso che ogni giorno osserva i marinai maneggiare il cordame della nave lo vede ogni giorno un po' di più, e il matematico contemporaneo che pensa al teorema di Pitagora vede certamente un teorema assai diverso da quello che il suo inventore vide due millenni e mezzo fa. I messaggeri che Kublai Kan manda in giro per il mondo perché glielo descrivano, oltre a visitarne di nuove, ripassano spesso per le stesse città, ma ne dànno ogni volta una descrizione un po' diversa, che risente e si modella sulla descrizione di altre città, e il filo della conoscenza che il Kan ha in un primo tempo fermato attorno ad alcuni chiodi noti e sicuri, si strappa e si riavvolge continuamente su altri chiodi più labili e confusi. Un messaggero viene inviato a visitare terre inesplorate, nuovi terreni, vergini agli occhi dell'imperatore e quindi per definizione a lui invisibili, regioni costituite da atomi, elettroni, particelle elementari; l'esploratore è di tipo particolare, per esempio un fotone, e particolare è ·il linguaggio che egli parla, fatto di immagini, lastre fotografiche o impulsi elettronici, intelligibili al Kan, immodestamente impersonato dallo scienziato. E non di un solo fotone si tratta: essi sono innumerevoli, ognuno apparentemente uguale agli altri, così che le notizie di uno dovrebbero essere esattamente quelle che tutti gli altri riporterebbero. A poco a poco, dai mille viaggi fatti, si delinea una mappa del territorio; dapprima si intravedono solo le caratteristiche generali dei paesi visitati, la posizione dei mari, le catene montuose, i fiumi, poi la descrizione si fa più dettagliata, fino a comprendere le città con i loro contorni, le strade, infine i palazzi, i mercati entro le mura, le persone. L'imperatore è soddisfatto dei suoi cartografi, ma alcune BibliotecaGino Bianco I DISCUSSIONE zone delle nuove terre appaiono strane: non si tratta di zone difficili da descrivere, al contrario le descrizioni riportate sono precise e sicure, gli è che gli stessi informatori ne dànno di volta in volta descrizioni accurate ma tra loro opposte e contraddittorie, come se si potesse ridisegnare da un viaggio all'altro la mappa di una nuova città nella stessa posizione della vecchia ma da essa totalmente diversa, diverse le vie e i loro nomi, diversi i costumi, il linguaggio, le leggi. Di più, a volte, e sempre più frequentemente, i migliori viaggiatori, i più attendibili (anche se tutti i viaggiatori partecipano della stessa attendibilità) tornano del tutto cambiati, tanto che solo grazie a piccoli segni è possibile riconoscerli, un anello al dito, un tatuaggio, o lo stemma dell'imperatore sulla sella. Cambiati radicalmente, essi parlano un altro linguaggio, inintelligibile perfino al Kan se questi non ne avesse già avuto eco da altre più remote zone, senza più memoria di quello che erano, al pari dell'immortale di Borges, che, una volta Omero, dimentica la sua lingua e con essa di essere egli stesso l'autore dell'Odissea. L'impero comunque va avanti e allarga le proprie conoscenze e i propri confini perché i Kan cambiano e i nuovi apprendono dai nuovi esploratori i loro nuovi linguaggi, imparano a leggere le loro nuove mappe e vedono comunque, quindi - anche se in modo diverso dai loro predecessori - il mondo in cui abitano. Ogni imperatore ha gusti particolari e attenzioni diverse, ma ad alcune regole mai rinuncia. Egli sa che deve continuamente mandare nuovi esploratori nelle stesse regioni, perchè le regioni cambiano e cambiano anche in seguito alle visite dei suoi ingombranti esploratori. E soprattutto egli sa che ai suoi esploratori non può chiedere troppo: più la mappa che egli si propone di tracciare è ricca di dettagli e più assomiglia al mondo stesso; ma nello stesso tempo diventa sempre più inutile: la mappa rigorosamente precisa del mondo è il mondo e perde quindi la sua natura e utilità di mappa. La mappa ideale sta in mezzo a molti estremi da cui il Kan deve tenersi lontano; essa deve rendere il mondo visibile all'imperatore esattamente come egli vede la propria reggia, di cui nessun dettaglio è per lui cruciale, ma la cui struttura gli è straordinariamente familiare e congeniale. Lo stratagemma migliore che il Kan escogita per raggiungere questo fine è molto semplice: dà anche agli oggetti più remoti e inaccessibili del suo regno, quelli la cui notizia gli è pervenuta dopo esser passata di bocca a mille esploratori, i nomi degli oggetti che riempiono la sua reggia. Dopodiché Kublai Kan, come Omero e Borges, può anche diventare cieco: il suo vedere non si perderà. (1) G. Bachelard, Il razionalismo applicato, Dedalo libri, Bari, 1975, pp. 112-113. (2) J.L. Borges, Il libro di sabbia in Tutte le opere, (a cura di D. Porzio), voi. II, p. 601, Mondadori, Milano, 1985.
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