DISCUSSIONE BORGE5, OMERO EKUBLAI KAN: LAREALTÀDEU. ,NVISIBILE Pierangela Borroni, Adriano Ogliari e Antonio Sparzani del Dipartimento di Fisica de/l'Università di Milano È stato nell'istante in cui ci si è resi conto che la luce, come noi la conosciamo, cui cioè il nostro occhio è sensibile, non è che una piccola porzione di una gamma assai vasta di possibilità, che i confini del concetto di visibile hanno cominciato a diventare sfumati. Noi vediamo il mare e la terra: vediamo forse il cielo nello stesso modo? Sembra che esso abbia una presenza materiale assai meno consistente dei primi due; quello che chiamiamo cielo è un insieme di radiazioni luminose variamente deformate e deviate dall'atmosfera; forse dovremmo dire che vediamo l'atmosfera? Forse, ma di fatto non diciamo così: l'atmosfera comincia a sfiorare i confini dell'invisibile. Sentiamo sul volto l'atmosfera quando si muove, possiamo avvertire l'aria fresca e profumata nei polmoni, ma la percezione che ne abbiamo è certamente diversa, meno precisa e delineata, di quella che abbiamo di un ciottolo o di un'onda. E la punta di un ago? Fin dove la vediamo? Fino alla punta estrema, all'ultimo atomo? Oppure fin dove l'ago è grande abbastanza per essere visto? E per sapere che c'è ago anche oltre quel punto come si fa? Domande banali, si dirà, cui si può facilmente rispondere con accorgimenti tecnologici, lastre fotografiche, rivelatori sempre più sensibili, eccetera. Forse però queste domande indicano una direzione lungo la quale la tecnologia diventa più sofisticata, indiretta ed essenziale, e le domande diventano sempre meno banali. In quale senso possiamo dire di vedere una molecola, un atomo, un elettrone, un neutrino? Proviamo a porci un problema simile da un punto di vista'completamente diverso, cercando di fare un salto di livello che permetta di cogliere un significato più riposto e profondo della visibilità. Il teorema di Pitagora, curiosamente, è spesso assunto, nello scrivere corrente, quale esempio di argomento di matematica, o forse di geometria, astruso e peregrino e contro il quale comunque deve scontrarsi la dura cervice di generazioni di scolari. Non dissimilmente da questa opinione comune, ricordo nettamente che le dimostrazioni "geometriche" del succitato teorema sono sempre sembrate a chi scrive bizzarre e non memorizzabili, tanta era la non perspicuità della costruzione implicata. E comunque chi scrive non ricorda nemmeno una di quelle costruzioni. Abbiamo invece avuto la fortuna di imbatterci in una pagina di Bachelard (1) che insegna a vedere di un sol colpo la verità del teorema di Pitagora non appena si guarda un triangolo rettangolo e se ne traccia l'altezza relativa all'ipotenusa. L'argomentazione, che Bachelard sostiene di aver appreso da Bouligand, può essere delineata nei seguenti f assi: i) l'enunciato usuale del teorema di Pitagora, a + b 2 = BibliotecaGino Bianco c2, concerne l'area dei quadrati costruiti sui cateti a e B ~ sull'ipotenusa cdi un qualunque triangolo rettangolo; per ogm k 1ale non nullo a2 + b2 = c2 è ovviamente equivalente a ka + kb 2= kc2 . ii) Due poligoni simili a e .B, costruiti su due segmenti di lunghezza rispettivamente a e b, hanno aree A e B proporzionali ad a2 e b2, ovvero Na2 = B/b2; detto k il valore comune del rapporto, si ottiene A = ka2, B = kb2. iii) il punto i) ci dice allora che l'enunciato usuale del teorema di Pitagora è logicamente equivalente all'analogo enunciato riguardante non più i quadrati ma una qualsiasi tema di poligoni simili costruiti sui cateti e sull'ipotenusa. iv) Una tale tema può essere costruita molto facilmente tracciando l'altezza AH relativa all'ipotenusa, che divide l'intero triangolo ABC nei triangoli ABH e AHC, simili tra loro e simili all'intero triangolo ABC; d'altra parte, per costruzione, ABC è la somma di ABH e AHC! Abbiamo così ottenuto un'asserzione (ABC = ABH + AHC) che da un lato è equivalente al teorema di Pitagora e dall'altro è evidente appena si guarda la figura. Nel contesto culturale offerto da i), ii), iii), il teorema di Pitagora è diventato visibile in un senso molto forte della parola. "Per vedere una cosa bisogna capirla - dice Borges (2) - la poltrona presuppone il corpo umano, con le sue parti e le sue articolazioni; le forbici, l'atto del tagliare. Che dice di una lampada o di un veicolo? Il selvaggio non può percepire la Bibbia del missionario; il passeggero non vede lo stesso cordame che vede l'equipaggio. Se vedessimo realmente l'universo forse lo capiremmo". Queste riflessioni, che provengono da una riflessione anche molto elementare sulla scienza e il suo modo di procedere dovrebbe suggerire la seguente tesi (3): un uomo, o diciamo pure uno scienziato, quando vede un oggetto della realtà che lo circonda, lo vede in maniera non oggettiva in almeno due sensi: da un lato egli vede con un occhio assai più dilatato e sensibile di quello che la natura gli ha fornito: vede con occhi arricchiti e prolungati in una serie sempre più complessa di strumenti; dall'altra, e più significativamente, vede sulla base di un contesto culturale che il suo ambiente gli ha ineliminabilmente - e abbondantemente - fornito. Tesi il cui nucleo centrale è dunque il fatto che ogni osservazione è carica di teorie, figlia di scelte, intuizioni, speranze e comunque di altre osservazioni a loro volta pesantemente interpretate: la visibilità presuppone la scientificità. Dovremo allora pensare che la scienza, non diversamente da un racconto di fatti e di azioni vere o inventate, non è che una narrazione, e quindi interpretazione parziale e soggettiva, di fatti che per qualche ragione sono stati particolarmente scelti come oggetto d'indagine? Dovremo sostenere che la scienza, lungi dall'essere, come in altri tempi si è creduto e sostenuto, una fedele e oggettiva descrizione della realtà, è invece inultima analisi un'invenzione di uno speciale narratore, certo con gusti e categorie affatto peculiari, ma con lo stesso grado di adesione al reale dell'invenzione di uno scrittore? Un tentativo di risposta a questa domanda richiede probabilmente di esaminare la "peculiarità" dei gusti e delle categorie cui si è fatto cenno. Potremmo iniziare a cercare indicazioni e segnali per percorrere questo cammino all'interno della scienza stessa e di ciò che essa ha detto e dice di sé. Molto è stato detto e scritto in
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