Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

le ambiguità, alle incomprensibilità, alle miserie della nostra realtà e delle sue fantasie, così come, anche qui più o meno incertamente, di quelli che sono o dovrebbero essere compiti e bisogni dei lettori oltre che i propri, mi par già quasi miracoloso. Semmai è la minoranza cui si rivolgono a essere più confusa di loro, ed essa ragiona troppo poco su ciò che c'è dietro e den~o ~e l?ro ?pere~frastornata ~ troppe proposte, da troppe mediaziom dei media, e da troppi "strilli" di moda. È più pigra, molto più pigra di loro. Negli anni scorsi abbiamo ancora avuto alcune grandi proposte, e le abbiamo affrontate con una superficialità preoccupante, noi tutti. Penso a certi libri di Calvino come Palomar alla terribile incandescenza di Aracoeli... Ma Calvino e la M; rante ci hanno lasciati - più radicale certo la seconda del primo, ma ugualmente attenti e consci del contesto, nel suo senso maggiore, e della necessità-difficoltà di interpretarlo. Ci incombe l'obbligo, più che mai, di una attenzione rispettosa, e allo stesso tempo di un dialogo franco e duro quando occorra con quei pochi che oggi dimostrano ancora una sensibilità non solo letteraria, e che nella letteratura non cercano e vedono solo la soddisfazione del superfluo, in concomitanza con quanto avviene nel resto. • D'altronde, neppure noi sappiamo - nessuno, anche chi "fa finta" - cosa ci vorrebbe, quali potrebbero essere le forme di una letteratura più viva in un mondo che apprezza solo il vitalismo di una instancabile eclettica voracità. Anche noi cerchiamo; e ci si impone - fatti fermi alcuni principi, riaffermati alcuni valori, affrontata una lettura non conciliata di ciò che ci attornia e corrompe - un'attenzione partecipe, una con-ricerca \ Antonio Tabucchi (foto di Fulvia Farassino). BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE esigente. Quest'attenzione deve guardare con la severità che meritano ai corruttori e ai condizionati, e con il rispetto che meritano ai pochi altri, vecchi o giovani che siano. Deve allargare e non restringere gli spazi della ricerca. Deve pensare e saggiare un nuovo che può anche essere vecchio, purché dia il senso di una verità e di una necessità, purché non sia anch'esso superfluo, conforme al magistero dei poteri. E non credo esistano "scuole", tendenze, ispirazioni migliori o peggiori di altre se non in questi bisogni, in questi "a monte" (il nostro vecchio discorso dei trenta fiori, e non dei cento, la nostra inveterata esigenza di aperture). A parte, il problema dei giovani o sedicenti giovani. Non è e non può (mai) essere questione anagrafica. Ma è tuttavia indispensabile un'attenzione rispettosa agli esordi - non fosse, magari, che per poi tacere degli autori se di nuovo non portano avanti nulla, com'è spesso il caso. Il dialogo dev'essere altrettanto serrato, ma forse meno esigente solo per le prime opere e non per le successive. Non possiamo ipotizzare in partenza cosa sarà di un autore dotato di qualche talento se non alla prova dei fatti (delle opere), ma è anzitutto un dovere quello di segui~econ partecipe esigenza chi "debutta" o è alle prime prove. Ci è successo spesso in passato di sbagliarci, in genere per eccesso, per generosità, per abuso di "proiezioni" (per es., De Carlo) ma era bene sbagliare, come è bene, magari, essere più intransigenti sul seguito, o ignorarlo. Capita spesso che i "nuovi" siano incerti - e come potrebbe essere altrimenti? Ma è su queste incertezze che dobbiamo intervenire, segnalandole, nello stesso tempo in cui sui risultati, e sulle prospettive possibili, aprire. Ci sono testi che, mettiamo, peccano di banalità di scrittura, quando invece hanno forza di struttura e magari di giuste ambizioni (per es. Piersanti), altri che hanno precisione e intensità di scrittura, ma una qualche "letterarietà" o eccesso di progetto (per es. Lodali), altri ancora che sembrano di una matura diversità ma proprio per questa diversità meno collocabili e più fraintendibili (per es. Atzeni); si tratta di cercare con loro, fermi e fraterni. E se a loro non interessa (o vorrebbero solo lodi), non è il rapporto personale e diretto a contare, ma i punti di confluenza e quelli di divergenza. Discutiamo col testo, se con gli autori diventa difficile per quelle ben note (e oggi in aumento) espressioni di narcisismo, insite, si direbbe come una malattia professionale, in chi crea. Il critico non è da meno del "creativo", in un quadro ampio di ricerca; e non è necessario, affatto, che critico e creativo si amino (e se la comunicazione da parte del creativo si interrompe, può avere ragione lui, possiamo aver ragione noi: è un rischio di sempre, che va corso senza paura, e soprattutto senza mai cedere alle dominanti logiche corporativo-mafiose che contraddistinguono da tempo il mondo della cultura). Queste sono tutte indicazioni a monte, e vogliamo ripeterlo. Personalmente, non mi ritengo, per esempio, un buon critico letterario; ma penso di saperne di più di molti scrittori e di avere a volte uno sguardo più circolare, che agli scrittori non è chiesto di avere, e neanche al buon critico letterario. Sulle indicazioni, o semplicemente sulle analisi più "dentro" la letteratura, dica chi meglio sa e chi meglio può, chi ha il giusto tipo di sensibilità, e chi vuole limarlo e precisarlo.

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