avvicinava perpenclicolannente al fiume, Frank si aspettava che lo spazio ritagliato tra gli edifici si aprisse sul mare. Poco oltre la Seconda Avenue, Boby si fermò di fianco alla rete metallica di un parcheggio, davanti a un palazzo di una dozzina di piani. Spinse la porta, entrò in un atrio dai muri nudi esporchi e aprì i due battenti delle porte di un minuscolo ascensore. Frank si addossò alla parete sul fondo. Boby entrò a sua volta e dovette contorcersi per premere il bottone dell'ottavo piano. Teneva la testa reclina perché il soffitto era basso e la massa del suo corpo occupava quasi tutto lo spazio. Mise le mani aperte ai lati della testa di Frank e, dolcemente, lo baciò. L'ascensore si fermò con un sussulto e Boby usci all'indietro. In fondo al corridoio tirò fuori di tasca le chiavi che portava appese alla cintura con una catenella d'acciaio e aprì una porta su cui era appuntato, al centro, un cartoncino ingiallito: ROBERT M. Frank entrò in una stanza piccola e surriscaldata. Contro il muro un grande divano di sky bianco. Sparsi sulla moquette grigia, un televisore, una bottiglia di gin e un bicchiere rovesciato contro un portacenere pieno di cicche, uno Walkman, delle riviste, di cui due o tre francamente pornografiche, e una fila di cassette. Sulla destra, in una rientranza, un cucinotto con un lavandino pieno di piatti sporchi e una piastra elettrica. Di fianco al divano, attraverso una porta socchiusa, si intravedeva uno stanzino da bagno esiguo. Sulla sinistra un'altra porta lasciava scorgere parte di una camera con degli scaffali e l'angolo di un letto. Boby accese la televisione e si spogliò completamente. Frank fece lo stesso. Poi si sedette a gambe incrociate e guardò Boby nudo, allungato sulla moquette con la testa appoggiata sul bordo del divano, il volto impassibile e gli occhi fissi sullo schermo colorato del televisore. Frank si alzò, si avvicinò e si mise in ginocchio accanto al corpo disteso. Cominciò a passare molto dolcemente la punta delle dita sul viso cli Boby. Poi la sua mano scese lungo il collo, attorno alle spalle, lungo il braccio fino all'estremità dalla mano, risalì dal polso verso l'ascella, indugiando alla piega del gomito, percorse il petto, il fianco, il ventre, sfiorò il sesso addormentato come un animale nell'incavo dell'inguine, scivolò lungo la coscia, il ginocchio, la gamba fino al piede. Tutto era inconsueto. La statura di Boby e la sua immobilità calda davano a Frank l'impressione di toccare una statua vivente. La pelle scura, l'ombra blu delle ascelle e del sesso, la dimensione smi- . surata delle mani, dei piedi, delle giunture, il modellato dei muscoli, tutto ciò ,evocava l'immagine lontana dei colossi di bronzo che egli aveva ammirato in segreto nei libri d'arte della biblioteca della scuola. Frank si lascò scivolare contro il petto di Boby e chiuse gli occhi. Senù le braccia richiudersi su di lui, il corpo piegarsi, i muscoli tesi. D'un solo slancio fu sollevato da terra. Le ginocchia ripiegate verso la testa, senza resistenza, il suo corpo si fece più pesante. Ci fu, nello spazio di un istante, una lieve oscillazione, poi il dondolio elastico dei passi, il soffio della porta aperta e il fine tremito dei muscoli quando Boby lo BibliotecaGino Bianco STORIE/KAHN depose sul letto. Udl o scatto di un interruttore, i gridi, i nitriti e gli spari di uno western che si mescolavano a fruscii di lenzuola. Tenne gli occhi chiusi, rabbrividendo. Poi ci fu di nuovo il peso cliquel corpo immenso contro il suo. Più tardi aperse gli occhi. La camera era buia, rischiarata soltanto dallo schermo azzurrognolo di un televisore portatile, con il rumore di fondo della musica del western che si sovrapponeva a quella del primo televisore rimasto acceso nell'altra stanza. Boby era accovacciato sul letto, una sigaretta tra le dita e gli occhi fissi sull'immagine danzante dello schermo. Il portacenere era appoggiato su uno dei ginocchi, il pacchetto di Carnei di fianco, sul lenzuolo. Frank si alzò, prese una sigaretta e l'accese. La camera era quasi totalmente occupata dal letto. Uno scaffale correva lungo il muro con sopra pile di indumenti in disordine e la televisione. A destra, al di sopra del termosifone e per tutta la larghezza della stanza, una vetrata senza tende dava sulla facciata di un edificio clicui non si scorgeva il tetto. Davanti, su un cavalletto, un telescopio di ottone riluceva nella semioscurità. Frank si avvicinò all'oggetto e domandò: - E questo, a cosa serve? - Quando mi annoio, guardo, rispose Boby senza distogliere lo sguardo. Frank si sedette sul bordo del letto e si chinò verso l'oculare chiudendo un occhio. Poiché l'immagine era opaca, girò la ghiera di regolazione e si sentl proiettato in una stanza da bagno violentemente illuminata, rosa, vuota. Le pieghe dell'asciugamano di spugna appeso a un gancio, gli anelli della tenda di plastica della doccia, il tubo del dentifricio schiacciato e il pettine abbandonato sulla mensola davanti alla specchio, tutto era così vicino e così nitido che avrebbe potuto credere cliessere dall'altra parte, seduto sul bordo della finestra. Improvvisamente la porta del bagno si aprì. Frank si rialzò. La vetrata era interamente invasa dalla facciata dell'altro edificio. Dentro questo quadro scuro erano ritagliati, con l'armonia dell'arbitrario, dei rettangoli colorati: camere bianche illuminate come vetrine, camere tappezzate di carte dai colori acidi, saloni dalla luce glauca da acquario, stanze da bagno scintillanti di ceramiche pallide, finestre zebrate di luce dalle veneziane semiaperte, finestre dalle pesanti cortine scostate su una penombra rossa, dai velari traslucidi, dalle tende tirate, dagli scuri chiusi, spente. Allora Frank sentì come un tremito, una specie di riso che gli torceva il ventre e gli saliva alla gola. Boby fissava sempre lo schermo del televisore, la bocca dritta e immobile, gli occhi senza espressione dalle iridi troppo chiare, una mano aperta sul petto, Quando Frank si ritrovò nella minuscola cabina dell'ascensore, sentiva ancora quel riso amaro che gli saliva alla gola, gli sporcava la bocca, e che si mischiava, nel rallentare meccanico della caduta, a una lieva vertigine nella cavità del petto, simile a quella che aveva provato quando, dopo aver contemplato il grande corpo, oscuro e nudo, disteso davanti a lui, aveva chiuso gli occhi e Boby l'aveva sollevato tra le braccia. (traduzione di Ughetta Usberti) 47
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