Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

46 STORIE/KAHN riva. L'intera circonferenza del lago era presa nel ghiaccio e ricoperta da uno strato di neve immacolata, ma al centro restava una distesa liquida in cui nuotavano alla,deriva anitre e gabbiani. Erano le due e mezzo e Frank non aveva abbastanza caldo per poter aspettare nel parco. Si diresse verso est e giunse di nuovo sulla Quinta Avenue che risalì fino al museo Guggenheim. Entrò, pagò e prese direttamente l'ascensore. Si trovata ora al piano più alto dell'edificio, come in fondo a un'orecchia o a una conchiglia gigante. Il brusio dei visitatori saliva in ondate sorde. Giù in basso, campeggiava un grande rettangolo blu, liscio: Klein. Sostò là un momento, appoggiato alla balaustrata, tranquillo, poi cominciò a scendere lungo il largo corridoio elicoidale che scivola lungo i muri dell'esposizione. La pittura di Klein non interessava particolarmente Frank. Ciò che lo attirava, ciò che persino lo affascinava, era il suo blu. Non si trattava più del semplice effetto luminoso di un colore, ma di una materia che, a distanza, gli carezzava la pelle, gli metteva in bocca un gusto di ferro e di jodio, lo immergeva in calde tenebre sottomarine. Più scendeva e più il blu diveniva presente, intenso. All'ultima curva, non esisteva altro che il blu: il blu dei corpi femminili nudi, stampati direttamente sulla tela, con le loro sbavature, le loro sgualciture, lo sfarsi delle loro carni; il blu denso dei grandi quadri monocromi; il blu, infine delle spugne impevute di colore, profondo, oscuro, radiante. Quando Frank uscì, il cielo gli parve molto pallido. Erano le quattro meno dieci, corse verso l'appuntamento. L'imbarcadero era una specie di grande chalet svizzero sulla riva del lago, con un bar e un noleggio per le imbarcazioni. Quel giorno le barche erano sulla riva con la chiglia capovolta e il noleggio era chiuso. A parte un marciatore dal naso rosso per il freddo e un meccanico addetto alla manutenzione del parco, il bar era deserto. Frank ordinò una birra e andò a sedersi di fronte alle finestre in una poltrona di plastica rossa, con il boccale in mano. Faceva quasi freddo e tenne indosso il cappotto. Un silenzio placido regnava nella grande sala vuota. Il sole calava all'orizzonte e i suoi raggi obliqui, riflessi dall'acqua del lago, venivano a rifrangersi sul gelo dei vetri in grandi bagliori dorati e freddi. Frank aveva finito la birra da un bel pezzo, quando il corpo di Boby si stagliò in controluce davanti a lui. Il sole, a ovest, aveva raggiunto le punte verdi del tetto di rame del Dakota e la neve cominciava a illividire. Camminavano fianco a fianco. "Come ti chiami?" Baby aveva i pugni nelle tasche del cappotto. "Qui, Frank ... Sono francese". Baby taceva. Procedeva a grandi passi, facendo scricchiolare la neve sotto le suole. Seguirono un viale che saliva a tornanti verso il Belvedere, una terrazza di roccia fiancheggiata dalle rovine di un falso castello medievale. La strada si allungava sinuosa tra gli alberi e alcuni enormi blocchi di pietra, piantati là come montagne artificiali. Erano quasi sulla vetta quando Boby svoltò a sinistra, tra due rocce. Cominciò ad arrampicarsi su una di esse, seguenBibliotecaGino Bianco do una specie di scala naturale tagliata nella pietra. Frank lo seguì. Lungo il pendio la roccia era nuda, ma in cima c'era una piccola piattaforma coperta di neve. Baby vi si fermò e Frank si guardò intorno: dietro, un'altra roccia e, lassù in alto, il bordo della terrazza del Belvedere; davanti, i rami di un acero il cui tronco scompariva verso il basso. Baby fece un passo, appoggiò le mani ai lati del torso di Frank e, d'un sol colpo, lo sollevò verso di sé, verso la sua bocca. Tutto accade così improvvisamente che i loro denti si scontrarono e Frank si morse un labbro. Aveva chiuso gli occhi, non per paura, ma per sentire meglio il suo corpo sollevato, sospeso. Baby lo depose dolcemente a terra, si tolse il cappotto e lo distese sulla neve. Poi prese Frank per le spalle, lo fece coricare sul cappotto e si distese su di lui. Allora Frank scoprì con una strana emozione il peso di quel corpo contro il suo. E quel corpo ondeggiava lentamente, premeva con tutto il suo peso, il suo sesso sul ventre di Frank. Lui, gli occhi spalancati, il gusto del sangue in bocca, non vedeva altro che una spalla di questo corpo immenso che lo copriva e un angolo di cielo già buio trapunto da una stella. Poi sentì le mani scendergli verso la cintura e tentare invano di fame saltare la fibbia. Boby si era inginocchiato e Frank, con un colpo di reni, scivolò di lato nella neve e si sedette. "No! Non qui!" Erano tutti e due immobili, i volti indistinti nella luce grigia che li avvolgeva. Boby si rialzò, prese il suo cappotto e, senza una parola, si lasciò scivolare ai piedi della roccia. Frank aveva le mani nella neve, brucianti. Quando a sua volta discese, non c'era più nessuno. Tirò fuori la mela dalla tasca e la morse. Esattamente due settimane dopo, Frank telefonò a Baby che rispose subito: - Vieni a casa mia. Meglio, passo io a prenderti. Dove sei? - Al drugstore sulla Sesta Avenue all'altezza di Washington Square. :..Arrivo. Aspettami. Frank si accomodò su uno sgabello lungo il banco di zinco, di fronte alla macchina del caffè, e ordinò una birra. Dopo un quarto d'ora Baby entrò, gli strinse la mano e sedette accanto a lui. Boby fumava saggiamente una sigaretta bevendo il caffè e Frank poté finalmente guardargli le mani: mani molto lunghe e larghe, muscolose. Sul loro dorso di un bruno compatto e satinato correva il rilievo blu e sinuoso delle vene. Le unghie, tagliate corte, mettevano delle macchie chiare in fondo alle dita e il palmo, quasi rosa, era asciutto. Frank accostò loro la sua mano. Era impressionante. Risalì in lui il ricordo di quelle di suo padre quando, da bambino, gliene porgeva una per attraversare la strada: quella mano così grande e calda che egli non poteva mai stringere, ma che si richiudeva sulla sua e la faceva sparire. Presero il metrò fino a Pen Station, poi camminarono sulla Ventinovesima Strada verso 11Iudson. Dei gabbiani si libravano nelle folate di vento e gridavano. Come ogni volta che si

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