Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

TREINCONTRAI MANHATTAN François Kahn Era il giorno del suo compleanno, e Frank aveva passato la serata a bere a casa di amici. Quando si ritrovò nella strada, alle quattro del mattino, era ubriaco. Non barcollava, ma le gambe non erano sicure. Mentre stava attraversando la strada, inciampò con il piede sinistro contro il bordo del marciapiede e dovette fare un brusco movimento con le braccia per mantenersi in equilibrio. Per di più il fondo era scivoloso perché aveva cominciato a nevicare. Un vento pungente, a raffiche, gli gelava le orecchie e il naso. Frank si fermò, sistemò il cappuccio del loden e si rimise rapidamente in cammino, le mani in tasca e gli occhi appannati dal freddo. Teneva lo sguardo diritto davanti a sé, lasciando scorrere le immagini: i riflessi delle insegne luminose nelle pozzanghere, le cartacce sollevate dal vento, le orme nella neve che si scioglieva, i segnali stradali, le grate delle fognature. Il freddo e il movimento lo aiutavano a smaltire la sbornia. Rallentò il passo e cominciò a guardarsi attorno. Adesso . vedeva bene la doppia fila dei lampioni che ritagliavano chiazze di luce gialla lungo tutta la via, i fari bianchi e rossi delle automobili che slittavano sibilando sull'asfalto, le volute di vapore che uscivano dagli sfiatatoi in mezzo alla strada. Si fermò all'angolo tra Houston Street e West Broadway. La neve ora cadeva a grossi fiocchi, grevi e fradici. Uno strato grigio e vischioso ricopriva già il marciapiede. Frank si sentiva stanco e aveva freddo ai piedi. Discese lungo West Broadway, poi svoltò a sinistra in Prince Street. La strada era buia e vuota, con i bidoni delle immondizie ammucchiati lungo i tombini e negli angoli. Quattro isolati più in là, si infilò nelle scale della stazione del metrò. Giù in basso, un controllore sonnecchiava nella sua cabina in plexiglas. Frank si frugò in tasca, tirò fuori un gettone che introdusse nella fessura del tornello e raggiunse il marciapiede deserto. Faceva molto caldo. Frank si diresse verso il fondo della stazione e il rumore dei suoi passi rimbalzò contro le pareti coperte di graffiti. Si sedette su una panchina di plastica gialla, lasciò cadere il cappuccio del loden sulle spalle e si asciugò la faccia col fazzoletto. Sentì correre giù per le scale, sentì il clic del tornello e dei .passi che si avvicinavano sul marciapiede. Con la testa tra le mani, guardava in terra ai suoi piedi, intontito dal caldo e dalla luce. Improvvisamente qualcuno gli afferrò con violenza il braccio. In un attimo Frank si ritrovò in piedi davanti a uno sconosciuto che lo tirava per la manica urlando "Ti ho incastrato!" Frank aveva paura, ma la sbornia era sparita. Vedeva con estrema precisione la faccia dell'uomo: i capelli grassi e umidi, la pelle grigia mal rasata, solcata da venuzze bluastre, gli oc- . chi dalle pupille troppo dilatate, dalle palpebre irritate, la bocca sottile che si storceva. Continuava a ripetere meccanicamente, con astio, "Dai, fatti sotto se sei un uomo". Frank gli afferrò i polsi e Io spinse via. L'altro vacillò, arretrò. Frank si mise a correre. Udiva l'eco dei suoi passi e di quelli dell'uomo che lo inseguiva. Giunto davanti all'ingresso, si buttò verso i tornelli gridando, ma l'uomo lo aveva raggiunto e gli si agBibliotecaGino Bianco grappava alle spalle. Frank vedeva a cinque metri da lui il controllore nella sua gabbia trasparente, con gli occhi bene aperti, perfettamente immobile, come addormentato con gli occhi aperti. Frank aveva la sbarra del tornello affondata nel ventre e sulla schiena il peso dell'uomo aggrappato al suo cappotto. Poi ci fu il rombo lontano del metrò in arrivo. Il rumore si gonfiava e diventava assordante. L'uomo gli urlava nelle orecchie ''Chiamo la polizia!", quando il treno si fermò. Il motore girava al minimo, ronzando. Frank si voltò di scatto e l'uomo venne proiettato all'indietro; poi scivolò a terra, con il cappuccio del loden stretto in mano. Frank balzò verso lo sportello della vettura più vicina. Fece scattare il gancio delle porte che si scostarono come spinte da una molla, entrò e corse verso il fondo del vagone. Le porte si richiusero sbattendo e il treno ripartì lentamente. Sul marciapiede l'uomo si era rialzato, il cappuccio sempre stretto in mano e la bocca distorta che urlava parole svuotate dal fracasso del metrò in accelerazione. Si lasciò cadere sul seggiolino. Sudava e gli tremavano le gambe. Di fianco a lui la porta di comunicazione tra i vagoni si aprì. Entrò un uomo, fece qualche passo e andò a piantarsi in mezzo allo scompartimento a gambe larghe, la schiena appoggiata alla sbarra verticale in mezzo al corridoio. Era un negro, alto più di due metri. Teneva le mani affondate nelle tasche di un vecchio cappotto militare di tela verde, foderato di pelliccia sintetica. Portava scarponi di cuoio giallo, jeans scoloriti, un maglione rosso di lana e un passamontagna nero, arrotolato a berretta sulla testa rapata. Frank poteva vedere la sua faccia di tre quarti: il mento quadrato, il naso largo, gli zigomi alti, la fronte bombata. In questo volto regolare e scuro, la bocca, dalle labbra carnose, ancora più scure, era diritta, immobile come gli occhi. Frank, tranquillizzato, lo squadrava sorridendo. In quel momento l'uomo girò verso di lui la sua faccia immobile, seria, con i grandi occhi fermi, dalle iridi chiare, quasi dorate. Lo fissò per qualche secondo, poi voltò il capo dall'altra parte. Frank si sentiva stanco, ma non aveva sonno. Guardava, affascinato, quell'uomo nero troppo grande con la berretta che sfiorava il tetto del vagone, il volto impassibile, le spalle larghe, il maglione rosso che si gonfiava a ogni respiro, la tela dei jeans logora e tesa sulle cosce, la massa delle mani affondate nelle tasche. Avrebbe voluto vedere quelle mani. Si avvicinavano a Union Square. L'uomo era sempre in piedi, indifferente. Frank, indeciso, si agitava sul seggiolino. Scendere e rientrare tranquillamente a dormire, o prolungare quel momento di torpore lucido. Il metrò rallentò dolcemente e si arrestò. L'uomo fece un passo e lanciò all'indietro un'occhiata interrogativa, con le sopracciglia alzate. Poi aprì lo sportello e scese. Frank si alzò e lo seguì. Sul marcapiede l'uomo si fermò di colpo, si girò tutto d'un pezzo come una porta che si apre e, senza batter ciglio, chinando il capo, con le mani inchiodate nelle tasche, disse con voce grave: "Cosa cerchi?" Tutti e due erano piantati al suolo. Il brontolio del metrò rimbombava lontano nei sotterranei. Frank aveva un nodo alla gola, le

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