34 STORIE/SCHWARTZ Soffitti altissimi su un'immensa estensione di spazio, e una distesa di pianoforti rilucenti che galleggiavano su un mare di moquette verde. E qui, nell'immenso salone con gli innumerevoli pianoforti a coda, Mr. Simmons fu pienamente a suo agio. Si rilassò, e sorrise, mentre parlava da conoscitore con il deferente commesso, senza dubbio anche lui una persona sofisticata. "Avanti, su" Mr. Simmons m'incoraggiò, "provali". "Vuole dire che devo suonare?" Mi guardai attorno in quella vastità sconfinata. Fermi, momentaneamente in ozio, c'erano due commessi, e più lontano, all'altra estremità del salone, una famigliola, padre, madre e ragazzino, probabili acquirenti. "Certo" rise, "Come fai, altrimenti, a sapere quale preferisci?" Allora mi sedetti a un pianoforte e feci timidamente delle scale e degli arpeggi. Mi spostai da un pianoforte a un altro, eseguendo gli stessi esercizi e tentando di captare una qualche sottile differenza. "Suona!" ordinò Mr. Simmons. Il tono fermo della sua voce dissipò la mia timidezza. Suonai lo Studio Rivoluzionario di Chopin, che l'anno precedente avevo eseguito al recital organizzato da Mr. Simmons per i suoi studenti alla Cari Fischer Hall, ora Cami Hall, nella Cinquantasettesima, non lontano dalla Baldwin (in assenza del ragazzo genio, che se n'era andato al College o chissà dove, la stella della serata ero stata io e avevo persino eseguito una sonata di Mozart a qùattro mani con Mr. Simmons). Sostenuta dal suo incitamento, mi mossi più disinvolta da un Baldwin a un altro, suonando passaggi diversi dello Studio Rivoluzionario. Mr. Simmons mi regalò il suo grande sorriso e io lo ricambiai. "Ora suoni lei" gli dissi. Credevo di doverlo pregare, ma dimenticavo che Mr. Simmons non era il tipo da risparmiare o nascondere i suoi talenti. Oltretutto, era un professionista, per quanto io non sapessi ancora che cosa ciò significasse. Si guardò attorno come per scegliere il pianoforte più meritevole, poi sedette, aprì le grandi mani e attaccò il suo Brahms. Come sempre, le note egli le suonava. Le premeva giù e faceva contatto. Gli dava il loro pieno valore, gli dava sè stesso. I commessi gli si raccolsero attorno, la famigliola si avvicinò per ascoltare. E a me parve di sentire, trasfigurato nelle note musicali, tutto ciò che sapevo di lui, la sua carriera frustata, il suo insegnamento, le sue maniere impeccabili, il suo fervore e il suo spirito; l'orgoglio che sentiva per la sua famiglia e i suoi figli; il fratello lontano, la rabbia, la malinconia e l'accettazione; e me lo raffigurai a torso nudo, tutto sudato. Quando il pezzo finì Mr. Simmons rimase come in sospeso, le mani e il corpo intenti, nell'atteggiamento dei concertisti, quasi a prolungare l'eco e a trattenere l'impatto della magia, fino all'ultima lentissima attenuazione del momento. La piccola folla non applaudì. Rimase immobiBibliotecaGino Bianco le, a guardarlo con un'ammirazione quasi timorosa. Il mio Mr. Simmons! Credo che in quel momento mi sentivo come se fosse lui il mio pupillo, quasi una cosa mia. Domando ve,so casa non padammomolto.Avevo fatto la mia esperienza, grande come una fantasia, il che accade rara-· mente, e mi sentivo sublime nella mia contentezza. Una volta vicini a casa nessuno ci guardò con interesse. Qui tutti mi conoscevano e conoscevano ormai anche Mr. Simmons. Eravamo una coppia qualsiasi. A casa parlammo della scelta del piano e poi Mr. Simmons se ne andò, senza aver preso nemmeno una tazza di caffè. Era stanco, disse, desiderava tornare dai suoi. Più tardi, mia madre mi chiese nuovamente come era andata la nostra spedizione. "Bene. Te l'ho già detto. Abbiamo scelto veramente un bel pianoforte. Ah, Mr. Simmons ha suonato. Era fantastico, si sono fermati tutti per ascoltarlo." Mia madre non disse niente. Stava affettando i pomodori per l'insalata. "Scommetto che non avevano mai visto un cliente che si metteva ll a suonare in quel modo." Mia madre stette ancora in silenzio. Continuò semplicemente a preparare l'insalata, ma con un atteggiamento che conoscevo bene: la paziente concentrazione di chi aspetta che le si formino in mente le parole giuste con il tono giusto. Fui tutta contenta di sentirmi più furba di lei. "So che cosa stai pensando." "Davvero?" Mi guardò in faccia. "Mi sorprende." "Sì che lo so. Stai pensando che chi ci ha visti insieme avrà creduto che lui stesse per rapirmi, o qualcosa del genere." L'occhiata che mi rivolse esprimeva più dispiacere che diniego. Mise l'acqua a bollire e aprì un sacchetto di patate. "Be', ascolta. Voglio dirti una cosa. Il mondo non è più quello che era ai tuoi tempi." La mia agitazione cresceva mentre lei con calma sbucciava le patate. Il suo mutismo aveva l'esasperante potere di far apparire frivole le mie parole e lei, invece, pareva sapesse bene il fatto suo. "Il mondo è cambiato! La gente non è più così provinciale come qui a Brooklyn!" Le ultime parole le pronunciai con violenza, quasi gridando. "Da quando in qua due persone non possono camminare per la strada alla luce del sole? Siamo liberi, tutti e due ..." Mi fermai. Quello che stavo per dire era: "liberi, bianchi e maggiorenni", una frase che avevo trovato disgustosa quando l'avevo sentita dire a mio padre. "Calmati" mi disse gentilmente mia madre. "La sola cosa che stavo pensando era che speravo che Mr. Simmons non fosse imbarazzato. Era di lui che mi preocèupavo, non di te". Scappai fuori dalla stanza, la faccia in fiamme.
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