Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

32 'STORIE/SCHWARTZ che copriva il pianoforte. Con Mr. Simmons, invece, si comportava come se fosse un suo amico: anzi, per meglio dire, amico di mio marito o marito di una sua amica, dato che a quel tempo le donne come mia madre non avevano amicizie maschili proprie, perlomeno a Brooklyn. Quando Mr. Simmons arrivava, ogni mercoledì alle tre e quarantacinquecirca, gli offriva il caffè (egli veniva direttamentedalla scuolae il lavoro di un uomo andava rispettato)e lo invitava ad accomodarsi sul divano.Gli sedeva accanto,gli chiedevanotiziedellamoglie e dei figli, che lui forniva con parecchi dettagli. Questa era veramenteuna noia, non m'interessavanole storieche illustravano le doti e i vezzi di quei ragazzini, tutti e due più piccoli di me. Poi era lui, con un interesse che non sembrava affatto simulato, a chiedere a mia madre notizie della famiglia. Si scambiavanole loro insulsaggini nella mia ora di lezione, fino a che all'improvviso Mr. Simmons guardava l'orologio, si alzavae col suo rapido largo sorrisoesclamava: "Allora,vogliamo cominciare?".Finalmente. Mio padre, poi! Qualche volta, al mercoledì, tornava a casa, presto, proprio quando la lezione stava per finire. Salutava Mr. Simmons come un vecchio amico, si scambiavanopacche sulle spalle, si stringevanola mano calorosamentenel modo propriodegli uomini, che per me era ridicolo.Mio padreposava il New York Times, si toglieva il cappello e il cappotto e insisteva perché Mr. Simmons accettasse un bicchierino o perlomeno una tazza di caffè; poi si metteva a parlare vivacemente nientemenoche di affari e di politica. Un mattone.Proprio Mr. Simmons!Un padre sì, doveva interessarsi di queste noiose questioni, ma non il mio maestro di musica. Dopo un po', Mr. Simmons si metteva il cappello e cappotto, tutti e due quasi identici al cappello e cappotto che mio padre si era appena tolti, prendeva il suo New York Times e se ne andava verso le sue mura domestiche. E mio padre esclamava: "Che brav'uomo, quel Mr. Simmons! Proprio una persona perbene" (continuò a ripeterlo per sei anni, come se ogni volta fosse una scoperta, e ogni volta ne fosse stupito). Tutt'al più aggiungeva: "È strano", scuotendo la testa perplesso. "È un uomo di colore, eppure gli parlo proprio come a un amico. Vogliodire, non sento nessuna differenza. È una cosa veramentestrana".Quando cercavo,con le mie cognizioniavanzate, di alleviarele sue perplessità,replicava: "Le so queste cose, le so". E tuttavia persisteva a trovare strano il fenomeno. Qualche volta si compiaceva di Mr. Simmons coi suoi amici e col suo tono stupito dichiarava: "Discorro con lui proprio come se fosse un amico. Un uomomolto intelligente.Una persona veramente a posto." Fino all'ultimo giorno si stupì. E ogni volta che si accingeva a stupirsi io sbuffavo,o mi mettevo a ridere. In miapresenza Mr. Simmonsdiceva a miopadredelle cose anche serie, importanti, che sapevonon avrebbe detto a me BibliotecaGino Bianco sola, e questa sua preferenza, "da uomo a uomo", mi faceva soffrire. Confidò a mio padre di sentirsi profondamenteferito dai pregiudizi razziali del nostro paese; essi amareggiavanola sua vita e quella della sua famiglia e di ciò si risentiva fortemente. Faceva questi discorsi nel suo modo calmo,convenzionale, compostonella sua giacca e cravatta mentre sorseggiava il caffè.Mio padre accennavadi sì e riconoscevacheveramente era una cosa ingiusta. Mr. Simmons faceva capire che la sua carriera di concertista era stata compromessa dal colore della sua pelle e miopadre scuotevadi nuovo la testa, conpartecipazione. Mr. Simmons diceva a mio padre di suo fratello che non poteva sopportarei pregiudizirazziali e per questaragione se n'era andatoa vivereinFrancia."Davvero?"interloquiva,costernata, mia madre, in piedi lì vicino a tagliare la torta. Per lei, il fatto che qualcuno fosse costretto a lasciare l'America, questo paese dove i suoi genitori avevano trovato rifugio, era una notizia sgradita, pressoché incredibile.E invece sl, era così, confermava Mr. Simmons; e quando parlava di suo fratello la sua voce bassa e vibranteera triste, crucciata, e io, sedutada una parte, rivivevo come in un lampo le mie percezioni di quella caldasera d'estate, quando la vicina che venivapicchiata aveva strillato dalla finestra... ah, era questa infine la realtà. Sì, perchéio credevo che la realtàdovesse esserecrudelee dura e infinitamentecomplicata.Non avrei mai pensato che la realtà potesse anche essere mia madre che offriva a Mr. Simmons la torta fatta in casa, o mio padre che gli chiedeva se doveva proprio andarsene così presto, se non poteva rimanere a mangiare un boccone,e mia madreche aggiungeva:"Lasciache vada a casa dalla sua famiglia, abbi pazienza, ha lavoratotutto il santo giorno". lo ero anche spaventata dall'ira nella voce di Mr. Simmons; temevo che potesse essere arrabbiatocon me. E pensavoche se fossi stata nei suoi panni avrei almenosentito del risentimentoper i miei genitori e forse avrei rifiutato la torta e il caffè; invece Mr. Simmonsnon faceva niente di tutto questo. r:,uando fui vicina alla licenza media inferioremia madre ~ mi suggerì di iscrivermi alla Scuola Superioredi Musica e Belle Arti a Manhattan.Dissi di no, volevo restarecon i miei compagni e non volevo passare in metropolitanale tre ore di andata e ritorno. E c'era anche l'isolamento;m'immaginavo che la Scuola Superioredi Musica e Belle Arti, solo perché era a Manhattan, sarebbe stata troppo sofisticata, persino per me. Insomma, avevo paura. Mia madre non era il tipo da insistere,ma doveva aver incaricato Mr. Simmonsdi farloper lei. Anche a lui risposi di no, ripetendo che avrei perso troppe ore nei tragitti in metropolitana. Allora, molto gravemente, Mr. Simmonsmi chiese se avessi mai preso in considerazione la carriera di musicista. Risposi subito: "Oh no, io credo

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