Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

ILCETOMEDIO Lynne Sharon Schwartz r-:, icono che la memoria aggiungedimensione ai luoghi, .... ma la fila di case di mattonidella mia infanziadiventa ogni anno più piccola, finché c'è a malapenalo spazioperché nef miei ricordiio possa starciritta in piedi. L'ampiastrada all'angolo,aperturasul resto del mondo(una strada così larga che per molto tempomi fu proibitoattraversarla da sola), si è ristretta a viottoloe la fila di negozietti, tintorie,confetterie,drogheriee parrucchieri,si è ridotta a una linea di piccole celle. Si sono rimpiccioliteanche le siepi del mio isolato, una volta fidi muri a protezione dell'accessoalle case, e le scure foglie puntute si sono rattrappite. Il cespuglio di ortensiebiancheche chiamavamopalla di neve, davantialla casa allatoallanostra, è diventatominuscolo,tutta la sua neve si è sciolta.E le architravidei passi carrabili,controle cui mura di pietra noi ragazzi giocavamoa palla e dalle cui sommità saltavamogiù con deliziose agoniedi paura, quelle architravi sono sprofondate,quei salti sonoappenaunpiccolobalzo.Tutto, tutto è così piccolo. È chiaroche nella realtà il mio quartieredi Brooklynnon si è rimpicciolito,però è cambiato:il che, fra la gente con cui io sono cresciuta,è un eufemismoper dire che sono andati ad abitarvidei neri. Sono arrivatiuna famigliaalla voltae, una alla volta, le vecchie famiglie bianchesi sono spostateall'esterno, in direzionecioè di Long Island,Rockaway,Queens,verso l'acqua (forse senza rendersi conto che presto non vi sarebbe stato nessunposto dove andare,salvotornare indietro,nella risacca,dovetuttiavevamocominciato),adeccezionedi duevecchie famiglie bianche che coraggiosamentesono rimaste, inviando poi notizie all'esterno:con i neri si viveva bene, erano gente a posto, bravi vicini; talchéquelledue famigliesonostate consideratealla fine degli eroi sacrificali,che i loroex-vicini ammiravano,ma senzanessundesideriodi imitarli. I cambiamentiapportatidalle famiglienere all'uniformità dell'isolatoconsistevanoprincipalmentein una certa vistosità decorativa:pittoreschi battenti apposti alle finestre,piastrelle coloratenel viottolodavanti al portico,fiori nelle chiazzeerbose allatoallecase, e ferro battutoin gran quantità,persinoa sostituzione dei muri di pietra di qualche portico (quei portici confinanti,con i bassi muri divisori, avevano legato le nostre esistenze: noi ragazze ci scambiavamovisite, saltandoda un portico all'altro ed all'altro, sbirciandonell'internodelle case nel rapido tocco alle finestre).Ma malgrado i cambiamentidi proprietà quel mio isolato non è in sostanza tanto diverso. È ancoracetomedio. Si vedevadellagente neranel mio isolato anchequandovi abitavoio, ma si trattava di donnedi servizio,ed eranopoche. Venivanouna volta la ~ettimana,salvo nelle tre famigliedove le madri facevanole maestre:qui venivanotutti i giornied erano come di casa, o così le famigliesostenevano,senzamai rilevare che ciascuna di quelle domesticheaveva una famiglia BibliotecaGino Bianco sua propria.Un'altra eccezione.era la famiglia accantoa noi, quella del cespugliopalla di neve, la cui domesticaabitavain casa e all'apparenzavivevacome i familiari.In effetti,sbrigate le faccende,mangiavacon loroe doposedevaanchelei sulportico e contribuivacon le sue opinionialle chiacchieratefra i vicini:per questoera faciledimenticareche era lei a far le pulizie e a cucinarementre tutti in famigliase la prendevanocomoda. I genitoriraccontavanocon orgoglioche l'avevanofatta venire dal sud a diciassetteanni,e unavolta che sua nonnavennea trovarlaanche lei dormì,mangiòe chiacchieròcon tutta la famiglia,ma non so se anche a lei toccassepulire e cucinare. Più che un isolatoera dunqueun villaggio,dovenellecalde sere d'estategli uomini si sedevanosui portici in manicadi camiciaa fumare il sigaroo a leggereil giornaleallalucegialla dei lampioni,mentre le mogliportavanofuori scodelledi ciliegee vassoidi fettedi melone,semprechiacchierandodaportico a portico,e noi ragazzeascoltavamoraccolte sugliscalini, augurandociche i genitorici dimenticasseroe nonci mandassero a letto; e dove, in una sera di stellata luminosità,gli Hochman,la coppia litigiosadell'isolato,ebberounadellelorofamose risse in camera da letto, con urla e botte e mobilifracassati; fino a che la signoraHochman,in una scena entratanella leggendalocalecome la scenadel balcone,si sporsedal secondo piano, svolazzantecome un uccellomitologiconella lieve camiciada notte bianca, e gridò all'assembramentosottola finestra: "Vi prego, miei cari vicini, aiutatemi, sono intrappolata quassù con un mentecatto" (era un'insegnantedi elocuzione), e mia madre si alzò per andare a soccorrerla,ma mio padre, che era un ragioniere,la trattennedicendo:"Lascialistare, sono matti tutti e due. Vedrai che domani uscirannoa passeggio cuorea cuore come sempre".In effetti, il litigiocessòquasi subito, ma io rimasi lì a chiedermi che cos'era l'amoree che cos'era il matrimonio,e che cos'era la realtà nel resto del mondo... Le ragazze del nostro ceto studiavano il pianofortee io prendevomolto sul serio le mie lezioni. Oltre i libri, la musica era la sola esperienza che mi trasportava via da Brooklyn senza il rischiodei ponti da percorrereo dei tunnelda attraversare nella metropolitana.Verso gli undici anni dissi che volevo cambiareinsegnantedi piano, e ne volevo uno bravo,perchè la signoradellaEastern Parkway,da cui andavoa prendere lezione,era alquantopicchiata.Veniva ad aprirmila portacon i riccioli grigi infiocchettatiin nastrini di satin color pastello, mi salutavacon un gorgheggioe poi m'introducevanell'appartamentodove tutto era ammantatoda foderami,mi offriva il tè con ottimi biscotti,ma di lezioneme ne faceva benpoca. Così mia madretrovòMr. Simmons. rr.l r. Simmonsera un negro tra i trentacinquee i qu_ar~- ~ t'anni; ci era stato raccomandatoda un collegadi nuo

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