Brad Davis in Querelle di R. W. Fassbinder di me è qualcosa che resta. Le ho già posto la domanda se una rivoluzione O anche una rivolta abbiano ancora un senso in un mondo cosi suddiviso. Dopo ciò che ha detto ora, torno sulla domanda: questa rivolta per lei cosi importante, non si accosta forse all'atto gratuito, alla rivolta esistenzialista? Penso, anzi, piuttosto a Camus che a Sartre. Conosco male Camus, perché l'uomo non mi piaceva. Lo conoscevo ... un gran moralizzatore, quello! No, penso che anche se il mondo è diviso tra due grandi potenze - lei allude certo agli Stati Uniti e all'Unione Sovietica - la rivolta di ciascun uomo è necessaria. La signora Chahid ha chiesto un caffè, e lei cosa ha fatto quando è entrato il cameriere? Ha interrotto la registrazione. Era un piccolo atto di rivolta. E anch'io ho tolto di mezzo un altro oggetto. Si fanno sempre delle piccole rivolte quotidiane: non appena si fa un piccolo ordine singolare, individuale, si compie una rivolta. Lei ha insistito sulle differenze tra Oriente e Occidente, differenze di cultura, di condizioni di vita. Questo non modifica, contemporaneamente, queste concezioni di rivolta, di rivoluzione? lo sono francese, almeno dal punto di vista giuridico visto che ho un passaporto francese. Quando andavo a scuola, dunque dai sei ai 12-13 anni, l'Oriente, l'Islam, mi è sempre stato presentato (era così in tutte le scuole francesi e credo anche in tutte le austriache, quantomeno a causa dei turchi) come l'ombra che minacciava la cristianità. lo, piccolo francese, vivevo nella luce; tutto ciò che era musulmano era nell'ombra, dal tempo delle crociate. Come vede, sono stato in qualche modo condizionato dalla mia educazione di cristiano francese. Le rivolte di cui lei ha parlato ora erano comunque gesti molto individuali. Se si parla delle Pantere nere, dei Palestinesi, dunque di rivoluzioni, mi pare che ci sia una grande differenza. È qualcosa che esige immediatamente la sottomissione dell'individuo a un ordine, l'ordine della rivoluzione, l'ordine richiesto da questo o da quel gruppo. Non lo mette a disagio, questo gesto apparentemente necessario di sottomissione? Leila Chahid è qui presente. Leila mi ha chiesto di scrivere per la "Revue d'études palestiniennes", e in principio ho risposto di no. Ho risposto di no perché tutto quel che sapevo dei Palestinesi risaliva ad almeno dieci anni addietro e mi era stato trasmesso da "Le Monde" - un giornale molto razzista, anche se lo nasconde bene - o da altri giornali, dalla televisione. Insomma non sapevo niente della realtà pàlestinese. Ma Leila ha insistito e alla fine mi sono messo - non molto, appena un po' - al servizio dei Palestinesi, e mi sono detto: la cosa più semplice è andare a Beirut, e sono andato a Beirut con Leila. Mi sono messo a sua disposizione. Quando Leila mi ha chiesto di venire a Vienna, tt:a l'altro per quest'incontro con lei, ebbene, sono venuto. Questo non mi crea nessun disagio, direi al contrario che sento una specie di libertà più grande. Adesso che so che in una certa misura - non enorme, perché sono molto vecchio - posso aiutare un movimento come i Palestinesi, mi sento più libero. In Europa e in questo secolo la rivolta intellettuale è stata spesso molto solitaria e per questo è stata spesso contestata dai movimenti organizzati, dai movimenti rivoluzionari. Penso alle dispute tra surrealisti e comunisti, alle dispute degli intellettuali francesi attorno al '68. Tutta una storia, una tradizione. La mia domanda nasceva da questo. Senta: il giorno in cui i Palestinesi si saranno istituzionalizzati, io non sarò più dalla loro parte. Il giorno in cui i Palestinesi diventeranno una nazione come le altre, io non sarò più con loro. L'intellettuale come franco tiratore? Esattamente. E i suoi amici palestinesi lo sanno e lo accettano? Lo chieda a loro, Io chieda alla signora Chahid. No, no, lo chiedo proprio a lei. Credo che allora li tradirò. Loro non lo sanno. ibliotecaGino Bianco 23
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