22 Una scena de Il balcone BibliotecaGino Bianco terario il peso delle tele di Cézanne. Si impongono. Ogni palestinese è vero. Come la Montagna Sainte-Victoire di Cézanne, che è vera, che è. Perché dice di aver paura si essere troppo letterario? Perché ho paura che questa conversazione mi rimandi a trent'anni addietro. La signora Chahid ha chiesto quale era per lei la differenza tra i libri di trent'anni fa e quelli di adesso... Gliel'ho detto, ma ci ritorno. Nei libri, e quando ero in prigione, ero padrone della mia immaginazione. Ero padrone dell'elemento su cui lavoravo, perché si trattava unicamente della mia fantasticheria. Ma adesso non sono più padrone di quel che ho visto, sono costretto a dire che ho visto gente legata, imbavagliata, che ho visto una donna con le dita troncate. Sono costretto a sottomettermi a un mondo reale. Ma sempre con parole antiche, con le parole che sono mie. Si ha l'impressine, soprattutto nei suoi drammi, che ogni personaggio perda tutta la sua dignità, la sua fierezza. Nel testo su Chatila ciò che colpisce è indubbiamente questa ricerca della dignità nei personaggi che lei descrive. Non si tratta di una differenza profonda? Quando parla dei mei drammi, potrebbe dirmene il titolo? Penso soprattutto al Balcone. Sì. Il balcone aveva per scopo... - aveva per scopo anche il divertimento, anche l'obbligo di adempiere a un contratto. Lei sa che mi era stato commissionato: mi avevano dato molto denaro e bisognava che lo scrivessi. Ma contemporaneamente vi ho ritratto non un mondo qualsiasi, ma il mondo occidentale. Se lei ricorda, tra i temi trattati nel Balcone, c'è il tema del bordello, e ogni dignitario, ogni cliente, nel Balcone, .viene a cercare nel bordello la propria dignità, una dignità apparente, la dignità di vescovo, di generale, di giudice. Ma era anche una dignità che risiedeva nel costume ... Certamente. Ciò che lei ha scritto sui Palestinesi indica una dignità del tutto diversa. Assolutamente diversa. Non mi verrebbe mai in mente di parlarle del kefir di Yasser Arafat. Ho notato molte cose di Arafat, e anche il suo kefir: Arafat è calvo e il kefir ha le frange, così se lo accomoda in testa e si comporta con le frange come se fossero capelli. Ma di questo patio ora a lei, non mi verrebbe mai in mente di scrivere un lavoro teatrale sull'uso delle frange di kefir da parte di Arafat. Un vescovo, o anche il papa di adesso, risiedono tutti nel loro costume. Arafat non è nel suo kefir, è ancora altrove. Ma potrebbe immaginarsi il papa vestito come lei, come me? C'è quasi un Genet moralista che viene fuori da queste osservazioni . .Non mi dà nessun fastidio, questa qualifica, purché lei non confonda moralista con moralizzatore. La sua opera letteraria è per lei unpassato personale che lepesa addosso, viaggiando, lavorando, scrivendo oggi? Lei mi ha già chiesto, mi pare, se attualmente negassi l'opera d'arte o la scrittura. Certo che no. È stato grazie non ai libri che ho scritto ma alla situazione che era mia propria, in cui mi sono messo, in cui la vita mi ha messo che ho scritto dei libri 30 anni fa, che ho potuto scriverli. Un anno fa, il libretto di cui lei parlava ... se non avessi fatto quel lavoro su me stesso ... Lei mi ha detto - e ha ragione - che molto probabilmente ero venuto come spettatore. Mi ha chiesto "se non ero uno spettatore". E già da ragazzo ho invero compreso rapidissimamente che per me, nella vita, tutto era bloccato, ogni possibilità era bloccata. Sono andato a una scuola comunale fino ai 13 anni. Al massimo avrei potuto diventare un contabile o un piccolo funzionario. Dunque, mi mettevo già in posizione non di essere un contabile, e neanche uno scrittore - allora non lo sapevo - ma di osservare il mondo. Dato che non potevo utilizzarlo, dato che non potevo cambiarlo, lo osservavo. Creavo già in me, a 12 o a 15 anni, l'osservatore che sarei stato, dunque lo scrittore che sarei diventato. Ma il lavoro che feci allora su
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