20 Una scena de I negri (1949; foto di E. Scheidegger). BibliotecaGino Bianco ze lascia a certi popoli un margine per liberarsi dalla loro rispettiva superpotenza. Quando lei dice che questa speranza è vana... mi viene di risponderle molto velocemente, perfino con una certa cattiveria: cosa c'è che non è vano, in questo mondo? Le chiedo: cosa c'è che non sia vano? Lei morirà, io morirò, loro moriranno... ecc... Non ho risposta. E vorrebbe che io ne avessi nei prossimi dieci minuti? No ... Quando lei è stato in Libano l'anno scorso, non si è sentito a volte come uno spettatore, anche se era li per conto di una rivista palestinese? Lo dico perché quella lotta non era la sua nel senso più stretto, lei, dopotutto, non è un Palestinese ... Per l'appunto. Voglio precisare. Quando il responsabile palestinese a Parigi mi ha chiesto di recarmi in Giordania - faccio un salto di 13 anni - il popolo palestinese mi era estraneo, ne sapevo qualcosa solo dai giornali. Mi chiedevo dov'è che stessi andando. Le racconterò un ricordo. Ero a Deraa, una cittadina di frontiera tra Siria e Giordania. C'erano ogni giorni scontri tra forze palestinesi e giordane. L'OLP aveva comprato (o affittato, non so) una piccola casa a Deraa e l'aveva trasformata in una specie di ospedale. È in questo ospedale che venivano accolti gli stranieri che venivano, come me, a mettersi a disposizione dei Palestinesi. Quando sono entrato nella stanza centrale mi hanno chiesto - come ha fatto lei poco fa - se volevo un caffè. Mi hanno preparato un caffè, e nella stanza c'erano due Palestinesi in uniforme di paracadutisti, col • berretto da paracadutisti. Parlavano arabo in modo gutturale, ridevano, appoggiati a delle casse su cui tamburellavano con dita lunghe e magre che mi hanno colpito, con una sorta di sicurezza. Quando sono uscito ho notato che le casse erano delle bare, e infatti stavano aspettando due Palestinesi morti, che sono stati deposti, chiusi in due teli, dentro quelle casse. Lo racconto perché è stata questa la prima impressione che ho avuto dei Palestinesi. Mi colpì il peso e la verità dei loro gesti. Quando avevo lasciato Parigi ero ancora sotto l'influenza di una convenzione letteraria dell'Oriente. Anche se dei Palestinesi si parlavamo sui giornali, se ne parlava ancora in senso letterario - non dico alle Mille e una notte, ma quasi. Avevo già conosciuto i paesi arabi - già a 18 anni mi aggiravo per il suk di Damasco - ma quello era l'Oriente tradizionale. E ora vedevo un popolo ogni membro del quale compiva gesti di uno spessore, di un peso reale. Da tutti i paesi arabi donavano pacchetti di sigarette ai Palestinesi, ma nessuna sigaretta era accesa o fumata con negligenza, ogni sigaretta aveva il suo senso. Erano in evidenza il secchio, la donna, la fontana. Insomma quello che sento ora e che sentii allora è che questo popolo era il primo, nel mondo arabo, ad avere un rapporto . con se stesso, un rapporto moderno, e che la sua rivolta era moderna. Mi colpisce quell'aspetto di irrealtà che avvertiamo quando sentiamo, per esempio alla radio, notizie di combattimenti in Palestina, nel Libano, tra Palestinesi e Arabi, tra Palestinesi e Israeliani .. Sentire delle vittime è diventato quasi un'abitudine. Sono solo avvenimenti molto spettacolari, come Sabra e Chatila, a farci rendere conto che si tratta di morti reali, di persone che muoiono, che vengono ammazzate. Cosa pensa di quest'aspetto di irrealtà che avvertiamo come spettatori lontani? Bene, non voglio mettere l'accento sui Palestinesi, dato il suo "senso di irrealtà", ma piuttosto su chi come lei trasforma tutto in qualcosa di irreale per poterlo accettare più facilmente. È più facile accettare un morto irreale, un massacro irreale, che una donna che porta lettere reali in un campo reale. Come vede, è lei stesso ad accettare i massacri trasformandoli in massacri irreali. Mi pare sia stato ieri che lei ha visto le foto mostrate dalla signora Chahid, che lei ha visto documenti reali, non fotografie di studio; perché tutti i documenti trasmessi dai vostri giornali, dai vostri rotocalchi, o le descrizioni dei giornalisti, sono come girati in studio. Le foto che ha potuto vedere ieri non venivano da Hollywood. Quando si trovava in Libano, ci sono stati momenti in cui i Palestinesi non l'hanno accettata? Che si trattasse delle Pantere nere o dei Palestinesi, non ho mai avvertito nulla del genere. Credo non sia mai successo. Sono sicuro che non hanno mai rifiutato la mia presenza. L'accoglienza che mi hanno fatto i Palestinesi - non nei campi, ma nelle basi, cioè al limite stesso del Giordano, di fronte a Israele - è stata talmente calda che non posso credere di essere stato rifiutato nemmeno un momento.
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