nel dubbio non lo aspettassero. Non venne a cena, l'infermiera per una volta riuscì a far andare la signora Luisa a riposare presto, il signor Botto si era affacciato alla finestra della sala dopo il telequiz, si sentivano raffiche di mitragliatrice dalle parti della Plaza Irlanda, improvvisamente la calma, quasi eccessiva, neppure una pattuglia, era meglio andarsene a dormire, quella donna che aveva risposto a tutte le domande del telequiz delle dieci era un fenomeno, incredibile come sapeva la storia antica, sembrava fosse vissuta all'epoca di Giulio Cesare, dopotutto la cultura rendeva di più che fare il venditore all'asta pubblica. Nessuno si accorse che la porta non si sarebbe aperta tutta la notte, che Lauro non era in camera sua, al mattino credevano che dormisse ancora dopo qualche esame o che studiasse prima di andare a fare colazione, solo alle dieci si resero conto che non c'era. "Non fartene un problema", disse il signor Botto, "sarà certamente rimasto a festeggiare qualcosa con gli amici". Per la signora Luisa era l'ora di aiutare l'infermiera a lavare e cambiare Mecha, l'acqua tiepida e la colonia, ovatte e lenzuola, era già mezzogiorno e Lauro, che strano, Eduardo, come mai non ha neppure telefonato, non lo ha mai fatto, quella volta della festa di fine corso chiamò alle nove, ti ricordi, aveva paura che ci preoccupassimo ed era più piccolo. "Povero ragazzo, starà impazzendo con gli esami", disse il signor Botto, "vedrai che arriva da un momento all'altro, arriva sempre per il telegiornale dell'una". Ma Lauro non era a casa all'una e si era perso le notizie sportive e il flash su un altro attentato sovversivo sventato dal rapido intervento delle forze dell'ordine, niente di nuovo, temperature in leggera diminuzione, piogge lungo la Cordigliera. Erano passate le sette quando l'infermiera venne a cercare la signora Luisa che continuava a fare telefonate ai conoscenti, il signor Botto aspettava che un suo amico commissario lo chiamasse per dirgli se si era saputo qualcosa, ogni secondo chiedeva alla signora Luisa di lasciare libera la linea, ma lei continuava a cercare sull'agenda e a telefonare ai conoscenti, può darsi che Lauro sia rimasto a casa dello zio Fernando o che sia tornato all'Università per un altro esame. "Lascia libero il telefono, per favore", chiese ancora una volta il signor Botto, "non ti rendi conto che magari nostro figlio sta chiamando proprio in questo momento e trova sempre occupato, cosa vuoi che faccia da un telefono pubblico, quando non è un telefono guasto bisogna lasciare il turno agli altri". L'infermiera insisteva e la signora Luisa andò da Mecha, improvvisamente aveva cominciato a muovere la testa, ogni tanto la girava lentamente da una parte e dall'altra, bisognava ravviarle i capelli che le cadevano sulla fronte. Bisognava avvisare subito il dottor Raimondi, era difficile trovarlo nel tardo pomeriggio, ma alle nove chiamò sua moglie per dire che sarebbe arrivato presto. "Sarà difficile che passi", disse l'infermiera che tornava dalla farmacia con una scatola di iniezioni, "hanno bloccato tutBibliotecaGino Bianco STORIE/CORTAZAR to il quartiere non si sa perché, sentite le sirene". Allontanandosi un po' da Mecha che continuava a muovere la testa come in un lento, ostinato gesto di negazione, la signora Luisa chiamò il signor Botto, no, nessuno sapeva niente, sicuramente neppure il ragazzo poteva passare, ma Raimondi lo avrebbero lasciato passare per via della targa da medico. - Non è così, Eduardo, non è così, gli è sicuramente successo qualcosa, non è possibile che a quest'ora non se ne sappia ancora niente, Lauro sempre ... - Guarda Luisa - disse il signor Botto - guarda come muove la mano e anche il braccio, è la prima volta che muove il braccio, Luisa, chissà che ... - Ma è peggio di prima, Eduardo, non ti rendi conto che continua ad avere le allucinazioni, che è come se cercasse di difendersi da ... Le faccia qualcosa, Rosa, non la lasci così, io vado a chiamare i Romero che magari hanno qualche notizia, la ragazza studiava con Lauro, per favore le faccia una iniezione, Rosa, torno presto, anzi chiama tu, Eduardo, chiediglielo, va', presto. In sala il signor Botto cominciò a fare il numero e si fermò, abbassò il ricevitore. Può darsi che in quel momento Lauro, cosa potevano sapere i Romero di Lauro, meglio aspettare ancora un po'. Raimondi non arrivava, forse lo avevano fermato all'angolo, forse stava dando delle spiegazioni, Rosa non poteva fare un'altra iniezione a Mecha, era un calmante troppo forte, era meglio aspettare che arrivasse il dottore. Chinata su Mecha, scostandole i capelli che le coprivano gli occhi inutili, la signora Luisa cominciò a barcollare, Rosa ebbe appena il tempo di avvicinarle una sedia e di aiutarla a sedersi come un peso morto. Il suono della sirena che veniva dalla parte di Gaona cresceva quando Mecha aprì le palpebre, gli occhi velati dalla nube che si era depositata sulla cornea in quelle settimane si fissarono in un punto del soffitto, scesero lentamente verso il viso della signora Luisa che gridava, che si stringeva il petto con le mani e gridava. Rosa faticò per allontanarla, chiamando disperata il signor Botto che ora arrivava e restava immobile ai piedi del letto guardando Mecha, tutto concentrato negli occhi di Mecha che passavano a poco a poco dalla signora Luisa al signor Botto, dall'infermiera al soffitto, le mani di Mecha salivano lentamente lungo la vita, scivolando per riunirsi in alto, il corpo sussultava in uno spasmo perché ora forse ascoltava il montiplicarsi delle sirene, i colpi alla porta che facevano tremare la casa, le grida di comando e lo scricchiolio del legno che si scheggiava sotto la raffica della mitragliatrice, le urla della signora Luisa, le spinte dei corpi che entravano alla rinfusa, tutto come a tempo per il risvegliarsi di Mecha, tutto così a tempo perché l'incubo finisse e Mecha potesse tornare infine alla realtà, alla vita bella. (traduzione di Amina Di Munno) da Deshoras, edizioni Nueva Imagen, Città del Messico 1983. 13
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