12 STORIE/CORTAZAR Ma lei sogna continuamente, dottore, la guardi, non riposa quasi più. Non è così, signora Luisa, lei pensa che siano sogni, ma sono reazioni fisiche, è difficile spiegarle, perché in questi casi ci sono altri fattori, insomma, non creda che sia cosciente di ciò che sembra un sogno, può darsi che tanta vitalità e questi riflessi che manifesta siano un buon segno, mi creda, la sto seguendo da vicino, lei, piuttosto, signora Luisa, deve riposarsi, venga a farsi misurare la pressione. A Lauro riusciva sempre più difficile ritornare a casa per il viaggio dal centro e per tutto quello che succedeva alla facoltà, ma più per sua madre che per Mecha appariva a qualunque ora e si fermava un po', si informava sulle cose di sempre, chiacchierava con i vecchi, inventava argomenti di conversazione per sottrarli in parte dai loro crucci. Ogni volta che si avvicinava al letto di Mecha si ripeteva la stessa sensazione di impossibile contatto, Mecha così vicina e come se lo chiamasse, i vaghi segni delle dita e quello sguardo che dall'iQterno cercava di uscire, qualcosa che perdurava, un messaggio di prigioniero attraverso le pareti della pelle, la sua chiamata insopportabilmente inutile. A tratti lo vinceva l'isteria, la certezza che Mecha riconoscesse più lui che sua madre o l'infermiera, che l'incubo raggiungesse il suo momento peggiore quando lui era lì a guardarla, che era meglio andarsene subito visto che non poteva faJulio Cortazar (foto di Giuliano Spagnul). re niente, che era inutile parlare, stupidina, cara, smettila di tormentarti, su, apri una buona volta gli occhi e smettila con questo scherzo da quattro soldi, stupida d'una Mecha, sorellina, sorellina, fino a quando ci prenderai in giro, mattacchiona, furbacchiona, smettila di fare la commedia e vieni che ho tante cose da dirti, sorellina, non sai niente di quello che succede, ma te lo racconterò lo stesso, Mecha, dato che non ti rendi conto di niente te lo racconterò. Era tutto pensato come tra folate di paura, un volersi aggrappare a Mecha, neppure una parola avoce alta perché l'infermiera o la signora Luisa non lasciavano mai Mecha sola, e lui lì che aveva bisogno di parlarle di tante cose, così come Mecha forse gli parlava dal canto suo, dagli occhi chiusi e dalle dita che disegnavano lettere inutili sul lenzuolo. Dra giovedì, non perché sapessero che giorno era né perché a loro importasse, ma l'infermiera lo aveva detto mentre prendevano il caffè in cucina, il signor Botto si ricordò che c'era un telegiornale speciale, e la signora Luisa che sua sorella aveva telefonato da Rosario per dire che sarebbe venuta il giovedì o il venerdì. Gli esami di Lauro erano certamente già iniziati, era uscito alle otto senza salutare, aveva lasciato un bigliettino in sala, non era sicuro ·di rientrare per la cena,
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