Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

rà un'evoluzione, cerchi di riposarsi, signora, prenda le pillole che le ho dato. Lauro rimase ad assistere Mecha fino a mezzanotte, a tratti leggeva gli appunti per gli esami. Quando si sentirono le sirene pensò che avrebbe dovuto telefonare al numero che gli aveva dato Lucero, ma non poteva farlo da casa e non era il caso di uscire proprio dopo le sirene. Vedeva le dita della mano sinistra di Mecha muoversi lentamente, un'altra ·volta gli occhi sembravano girare sotto le palpebre. L'infermiera gli consigliò di andarsene dalla stanza, non c'era niente da fare, solo da aspettare. "Ma sogna", disse Lauro, "sogna di nuovo, la guardi". Durava come le sirene lì fuori, le mani sembravano cercare qualcosa, le dita tentavano di trovare un appiglio sul lenzuolo. Ora la signora Luisa era di nuovo lì, non poteva dormire. Perché - l'infermiera era quasi irritata - non aveva preso le pillole del dottor Raimondi? "Non le trovo", disse la signora Luisa come smarrita, "erano sul comodino, ma non le trovo". L'infermiera andò a cercarle, Lauro e sua madre si guardarono, Mecha muoveva appena le dita e loro sentivano che l'incubo era ancora lì, che si prolungava interminabilmente come se si rifiutasse di raggiungere quel punto in cui una specie di pietà, di compassione estrema l'avrebbe svegliata, come tutti noi per riscattarla dalla paura. Ma continuava a sognare, da un momento all'altro le sue dita avrebbero ricominciato a muoversi. "Non le vedo da nessuna parte, signora", disse l'infermiera. "Siamo tutti sconcertati, non si da più dove vanno a finire le cose in questa casa". D a sera successiva Lauro rincasò tardi, e il signor Botto gli fece una domanda quasi evasiva senza smettere di guardare la televisione, nel bel mezzo della cronaca della Coppa. "Una riunione con gli amici", disse Lauro mentre cercava qualcosa con cui farsi un panino. "Quel gol è stato stupendo", disse il signor Botto, "meno male che ritrasmettono la partita, così vediamo meglio queste azioni da campioni". Lauro non sembrava molto interessato al gol, mentre mangiava guardava per terra. "Saprai quello che fai, giovanotto", disse il signor Botto senza distogliere lo sguardo dalla palla, "ma fai attenzione". Lauro alzò gli occhi e lo guardò quasi sorpreso, era la prima volta che suo padre si lasciava andare a un commento così personale. "Non farti problemi, vecchio mio", gli disse alzandosi per tagliare corto. L'infermiera aveva abbassato la luce della lampada e Mecha si vedeva appena. Sul divano la signora Luisa si tolse le mani dal viso e Lauro la baciò sulla fronte. - È sempre uguale - disse la signora Luisa - Sempre così, figlio mio. Guarda, guarda come le tremano le labbra, poverina, cosa vedrà, Dio mio, come è possibile che duri tanto, che... - Mamma. BibliotecaGino Bianco STORIE/CORTAZAR - Ma non è possibile, Lauro, nessuno se ne rende conto come me, nessuno capisce che è continuamente in preda a un incubo e che non si sveglia... - Lo so, mamma, anch'io me ne rendo conto. Se si potesse fare qualcosa Raimondi l'avrebbe fatto. Tu non puoi aiutarla rimanendo qui, devi andare a dormire, devi prendere un calmante e dormire. La aiutò ad alzarsi e l'accompagnò fino alla porta. "Che cosa è stato, Lauro? ", si fermò bruscamente. "Niente mamma, degli spari lontano, lo sai". Ma cosa sapeva in realtà la signora Luisa, perché parlare ancora? Ora sì, era già tardi, dopo averla lasciata nella sua stanza sarebbe andato fino al negozio e da lì avrebbe chiamato Lucero. Non trovò la giacca azzurra che gli piaceva indossare di sera, si mise a cercarla negli armadi del corridoio, tante volte sua madre l'avesse appesa lì, infine decise di mettersi una giacca qualsiasi perché faceva fresco. Prima di uscire entrò un attimo nella stanza di Mecha, quasi prima di vederla nella penombra senù l'incubo, il tremore delle mani, l'ospite occulto che scivolava sotto la pelle. Le sirene fuori suonavano di nuovo, avrebbe dovuto uscire solo più tardi, ma allora il negozio sarebbe stato chiuso e non avrebbe potuto telefonare. Gli occhi di Mecha si muovevano sotto le palpebre come se cercassero di farsi strada, di guardarlo, di voltarsi dalla sua parte. Le accarezzò la fronte con un dito, aveva paura di toccarla, di contribuire ad accentuare quell'incubo con uno stimolo esterno. Gli occhi continuavano a muoversi nelle orbite e Lauro si allontanò, non sapeva perché, ma aveva sempre più paura, l'idea che echa potesse alzare le palpebre e guardarlo lo fece indietreggiare. Se suo padre se ne fosse andato a dormire avrebbe potuto telefonare dalla sala a bassa voce, ma il signor Botto stava ancora ascoltando la cronaca della partita. "Sì, di questo parlano molto", pensò Lauro. Si sarebbe alzato presto per telefonare a Lucero prima di andare all'Università. Da lontano vide l'infermiera che usciva dalla stanza portando qualcosa che brillava, una siringa o un cucchiaio. .-:,ersino il tempo si mescolava o si perdeva in quest'atte- Msa continua, con notti di veglia o giorni di speranza per compensarle, i parenti o gli amici che arrivavano a qualunque momento e si alternavano per distrarre la signora Luisa o per giocare a domino con il signor Botto, un'infermiera che sostituiva l'altra che aveva dovuto andarsene per una settimana da Buenos Aires, le tazzine da caffè che nessuno trovava perché erano sparse per tutte le stanze, Lauro che appena poteva usciva e se ne andava a qualsiasi ora, Raimondi che non suonava neanche più il campanello prima di entrare per le cure di sempre, non si nota nessun peggioramento, signor Botto, è una malattia per la quale non si può fare altro che alimentarla, le sto rafforzando l'alimentazione per sonda, bisogna aspettare. 11

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