124 SCHEDE/NADOTII Per Pizzetti, fino alla morte (1968), i tempi non sembrano mutare, poiché continua ad amministrare un patrimonio . personale che gli consente di non avvertire i grandi cambiamenti già avvenuti (ma la morte, ponendo fine a un privilegio ormai privo di basi effettive, ne determina la completa scomparsa dai palcoscenici, riscattata solo poche volte, in forza della fonte letteraria del testo, da apparizioni di Assassinio nella cattedrale, e non ravvivata neppure ricorrendo, nell'80, il centenario della nascita). Per la maggior parte degli "operisti del duce" i primi anni del dopofascismo sono quelli in cui riescono difficoltasamente a sopravvivere, per scomparire ben presto dalla scena. Le strutture del teatro musicale, venuto meno il pilastro del regime, se pure lentamente cambiano. Più decisiva è, per eliminarli, l'apertura culturale che si verifica col '45, e che ridistribuisce in termini del tutto diversi dai precedenti la scala dei valori riconosciuti. Anche le garanzie costituite dai premi alle rappresentazioni di autori italiani contemporanei tendono a perdere rilievo e il predominio della cultura ufficiale cattolica non riesce a riflettersi in autori accredibili in modo plausibile anche con la migliore buona volontà (le opere del sacerdote Licinio Refice, Cecilia, 1934, e Margherita da Cortona, 1938, ad esempio, non trovano in questo dopoguera che qualche esecuzione radiofonica). CINEMA SHEPARD/ALTMAN DALTEATROALFILM Maria Nadotti "Non si tratta di una sceneggiatura tradizionale - ha detto Shepard di Fool f or love - in realtà si tratta di un testo teatrale esploso". "Non è una storia e non è neppure un'idea - ha detto Altman del film che ne ha tratto, in Italia Follia d'amore. È un dipinto. Su un luogo fisico, una cultura, un momento nel tempo. Parla delle relazioni tra persone, della consapevolezza o inconsapevolezza che BibliotecaGino Bianco la gente ha rispetto alla propria storia". Follia d'amore, una violenta e fisicissima storia d'amore, impossibile e fatale insieme, a teatro si consumava nel rispetto più assoluto delle tre unità classiche di tempo, luogo e azione. Un'oppressiva e squallida stanza di motel, invasa da un letto più ingombrante e allusivo che funzionale; due porte sui lati della scena e una finestra sul fondo. Una sorta di gabbia/contenitore/perimetro simbolico e claustrofobico dell'amore tra May e Eddie, sullo sfondo di una terra di nessuno evocata per via di suoni e di riferimenti narrativi. Un punto perso in qualche zona remota ai margini del deserto del Mojave nel nuovo Messico. In scena per due ore filate i due amanti, in una recitazione vorace, aggressiva, gridata, accompagnata e scandita da una musica country-western a tutto volume e dallo sbattimento continuo delle porte, a segnare non solo le entrate e le uscite, ma anche gli abbandoni minacciati e temuti e i tentativi di fuga, l'incapacità di separarsi, ma ancor più l'incapacità di tenersi. In scena dall'inizio alla fine, voce e soprattutto occhio fuori campo, anche il personaggio del vecchio, sulla sinistra del palcoscenico, fisicamente decentrato e quasi spostato nella zona riservata agli spettatori. Come a dire che questo personaggio, centrale nella vicenda visto che si scoprirà strada facendo che è il padre sia di May che di Eddie, è in qualche modo esterno alla loro storia, forse alla Storia in genere. Che forse la storia esiste solo come prodotto o necessità della sua memoria o del suo delirio. Accanto a loro, almeno per parte Robert Altman (foto di Fulvia Farassino). dello spettacolo, Martin, l'antieroe, l'uomo che ha barattato il sogno con la realtà e si propone a May come l'amore possibile. Un personaggio comico suo malgrado, sfidato ad armi impari a competere con Eddie e May, che postulano l'uno per l'altro Io statuto di oggetti perfetti di desiderio, definiti come sono dalla reciproca imprendibilità. Vediamo cosa è successo nel film: in qualche modo le unità di tempo, luogo e azione sono state conservate, ma la stanza di motel si è espansa ed è divenuta un motel come se ne possono trovare tanti in America, quando ci si spinge verso ovest. Un territorio desertico che si estende a perdita d'occhio, il nastro di un'autostrada a tagliarlo e a definirlo e, incistato tra rotonde colline da film western, un piccolo accampamento che si rivelerà ben presto, dopo un lunghissimo piano sequenza iniziale ripreso dall'alto, l'insieme di casette, roulotte e indispensabile corredo di spazzatura e rottami che nell'iconografia americana definisce l'idea di motel. Il tutto, come si diceva, immerso in una specie di vuoto pneumatico, che dopo le poche scene iniziali girate al tramonto, diventerà ancora più totale, quando Altman farà sprofondare luoghi e personaggi nel buio di una notte senza luna. In un'oscurità da cui si può essere inghiottiti, strappati, evocati; da cui possono liberarsi presenze rassicuranti o fantasmi minacciosi, effimere, evanescenti, inquietanti figure della memoria e del sogno, della paura e della colpa, della confusione e dello sconfinamento. Rispetto al testo teatrale i personaggi del film sono molto più numerosi, undici contro quattro. Ma attenzione, niente è stato aggiunto e niente è stato tolto. È solo questione di forma narrativa e di passaggio dalla sintassi teatrale a quella filmica. "Nel film si vedono tutti i personaggi che a treatro venivano soltanto nominati - ha detto Shepard - personaggi in carne e ossa, ma anche le ossessioni dei protagonisti, quello che immaginano e quello che ricordano." Ecco che allora la struttura del film si complica e si articola in una serie di flashback che si incrociano, si alternano, interferiscono con il tempo reale dell'azione. Ogni personag-
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