Alfano invia regolarmente i suoi nuovi spartiti in segno di "omaggio reverente", e coglie l'occasione del recupero di Don Juan de Manara per chiedere riconoscimenti allegando benemerenze, disgrazie, la morte in guerra dell"'unico giovanissimo digliuolo", fino ad ottenere, dopo i bombardamenti di Torino del '43, un sussidio di 50.000 lire. Bruno Barilli, senza fare tanti complimenti, riesce a ottenere una segnalazione circolare a tutti gli enti lirici "perché qualcuna delle sue opere venga rappresentata" (e ne aveva scritto solo due, come si sa: Emiral e Medusa). Casella professa "umile e totale devozione" (forse anche per conciliarsi il potente interlocutore in vista di benemeriti piani di rinnovamento della vita musicale italiana). Cilea, nel '34, quando non compone più da trentuno anni, "invoca ardentemente" di essere ricevuto dal duce per averne "una parola alta e buona ai dirigenti del Teatro Reale di Roma" perché non glis ia ostacolato "percorrere quella via che è pure una necessità di vita per un artista". Giordano chiede udienza per "prendere ordini", aspire a ottenere da Mussolini un suggenrimento per il soggetto di una nuova opera, avanza la propria candidatura a presidente dell'Eiar "come un fervido contributo all'opera instancabile" del capo, di cui mette in musica le "storiche parole: Salutate l'Impero che riappare sui colli fatali di Roma". Felice Lattuada, il più impunito, individua un concorrente in Mozart, e ricorre al duce per sopravanzarlo: "Forse V.E. non ignorerà il mio modesto nome di musico, che ha già rappresentato parecchie opere, e vinto l'ultimo concorso nazionale per la lirica con la tragedia fantastica in quattro atti, Don Giovanni. Il responso di una commissione di celebri musicisti come Mascagni e Franchetti, e l'aver vinto una gara di notevole importanza, non hanno valso perché la mia opera fosse accettata al Teatro alla Scala. Nel cartellone del nostro massimo teatro figura invece il Don Giovanni di Mozart. Invocoda V.E. un gesto di protezione...". Vittorio Gnecchi, podestà di Verderio, denuncia Nello Segurini per una presunta truffa ai suoi danni a proposito di un concerto da eseguire in presenza di Mussolini. Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato asseriscono di aver voluto dedicare al duce la loro operetta Cin-Ci-La fin da quando iniziarono a comporla, assicurando di essersi tenuti lontani "il più possibile da banali scurrilità" e che non vi è "nessuna nota neppur lontamente politica", "nessuna scena che possa offendere moralità e buon costume". Adriano Lualdi, una delle figure più potenti del mondo musicale fascista, invia al capo un resoconto di viaggio in Russia ("Lo ho scritto e lo completerò - dopo aver veduto da vicino che cosa sia 'comunismo' - come l'ex voto offerto da un italiano al Duce 'per lo scampato pericolo'), si professa in una dedica "milite fedele dell'arte e del fascismo", ma compie l'imprudenza, nel 1936!, di intitolare un balletto La saetta negra (per intervento di Mussoli, il titolo sarà cambiato in Lumawing e la saetta). Il maggior esponente della generazione dell'Ottanta, Malipiero, ha frequenti scambi di corrispondenza col duce. Si dice entusiasta di "collaborare alla rinascita musicale fascista", ne offre "un piano completo" con "spirito francescano", lamenta innumerevoli ingiustizie, per vincere le quali, quanod non basta l'intervento di D'Annunzio, vi è anche quello della Bàccara. Visto l'insuccesso dei suoi tentativi di entrare all'Accademia, si dà da fare per amministrare le proprie entrate all'Accademia, si dà da fare per amministrare le proprie collocazioni in conservatorio e all'università. Le sue speranze di affermazione sono legate al Giulio Cesare, dedicato a Mussolini, al quale offre di eseguire al pianoforte, in sua presenza, i primi due atti. Anche la riforma dell'inseguimento musicale in senso autarchico, con esclusione dai programmi dei maggiori compositori stranieri, lo trova concorde e "plaudente" in un messaggio a Bottai. Un grande direttore e irrilevante compositore, Marinuzzi, accredita la sua Palla de' Mozzi con la consueta dedica a Mussolini. Montemezzi si rivolge a lui senza timore di vantare a chiare lettere le proprie qualità, giacché le rende note "al più grande uomo che Iddio abbia potuto plasmare per la nostra fortuna e la nostra grandezza, e perciò senza tema di parere presuntuoso perché lui mi intende!". Pedrollo si fa avanti col poema sinfonico La marcia di Roma, ma poi vuol collocare l'opera Regina di Cirta. Respighi dichiara che "premio più grande" per la composizione de La fiamma è stata la presenza di Mussolini alla prima rappresentazione. Due casi da considerare a parte sono quelli di Mascagni e di Pizzetti. Mascagni, certo il più popolare dei compositori viventi in epoca fascista, anche se sempre più sopravvissuto alla sua produzione più nota (Malipiero, in una lettera pubblicata dalla Nicolodi, ne parla come di "un accademico molto popolare per aver scritto cinquant'anni fa un'opera in un atBibliotecaGino Bianco SCHEDE/ARMANI to che fece furore"), è umanamente di restare al centro della situazione musicale italiana. Egli offre la propria collaborazione al duce da pari a pari, come contributo che solo da lui può venire alle riforme in cantiere, e finisce con l'accontentarsi, dopo il '40, dei cospicui assegni che periodicamente Mussolini gli fa recapitare. Più sinistra la figura di Pizzetti, che elabora metodicamente un suo piano tendente ad assicurargli il primato fra gli operisti italiani: riesce a entrare in dimestichezza col duce, accreditato anche dalla nobiltà dei modi e dall'ascettismo coltivato della figura, dalla apparente riluttanza alle compromissioni come ministro di un'arte assoluta; ne incoraggia l'amicizia con omaggi di prime esecuzioni a domicilio; ne ricava appoggi incondizionati con la raccomandazione "ai più importanti quotidiani di occuparsi largamente" di lui. Il risultato di tali manovre è che Pizzetti, fra il '35 e il '43, è il più rappresentato fra i viventi dopo Mascagni, Giordano e Respighi, e supera per numero di rappresentazioni Bellini, Cimarosa, Monteverdi. Per ottenere ciò, egli si studia di coinvolgere personalmente il duce nelle sue produzioni, sottoponendogli le partiture e chiedendogliene la preventiva valutazione. È cosl che, leggendo un verso dell'Orseolo, Mussolini sottolinea a matita, nell'originale, le parole giustizia e libertà ("per i cittadini di San Marco I giustizia e libertà son presso a morte"), e Pizzetti provvede prontamente a sostituirle. Nei giornali è frequente la notizia di colloqui di Pizzetti col duce, al quale riferisce sulla sua attività di compositore. L'Inno a Roma, dalla colonna sonora del film Scipione l'Africano, eseguito sotto la direzione dell'autore alla presenza di Mussolini per l'inaugurazione di Cinecittà, è un altro episodio di questa vicenda. Destinata a proseguire, nel mutato clima politico del secondo dopoguerra, quando Pizzetti, autore "austero" e quindi necessariamente "religioso", continua a essere l'italiano più rappresentato, cogliendo i maggiori frutti dell'attività iniziata sotto il fascismo. Non passa stagione senza una sua novità, sempre accolta dai maggiori teatri e segnalata da critiche compiacenti. Una sua opera di cui il MinCulPop sottolineava il carattere "antiplutocratico", L'oro, non rappresentata al Maggio che si sarebbe dovuto tenere nel '43, appare senza trasformazioni, nel '47, alla Scala.
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