Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

122 SCHEDE/ARMANI zione anzichédi progresso. L'atteggiamento del governo fascista rispetto alal musica è ottimamente chiarito dalla Nicolodi, che, per quanto riguarda l'opera, spiega come Mussolini la ponesse su un piano privilegiato, ritenendola più popolare di altre forme di spettacolo e più adatta a illustrare un primato italiano. Per questa ragione Mussolini onorava in funzione propagandistica, interna e internazionale, gli esponenti della tradizione operistica (la cosiddetta giovane scuola e i suoi epigoni) e non era neanche avaro di incoraggiamenti e di appoggi nei confronti dei compositori "nuovi", essendogli in sostanza indifferente che lo fossero o no veramente. Si spiega in tal modo una certa larghezza di vedute del regime in fatto di musica e di teatro musicale, e il mancato ostracismo verso innovatori e sperimentalisti (cui, anzi, viene offerma una sede specifica, il Teatro delle novità di Bergamo). Anche in campo musicale il fascismo ha una concezione populista e vede nell'opera il mezzo più idoneo per raggiungere le masse, il che non gli impedisce di organizzare manifestazioni elitarie e di ammettere compositori che altrove sono definiti "degenerati" (come Berg e Bartòk), considerandone marginale il ruolo e non comprendendone l'esatta portata. Nonostante aperture del genere, il fascismo assicura, fondamentalmente, la sopravvivenza di un sistema di valori che, in altri paesi, trova ormai riscontro solo nel passato.Accanto alla ripresa di opere di repertorio, si assite a una ininterrotta produzione di opere nuove cui si dedicano, accanto a compositori che si qualificano solo come operisti, anche compositori che si esprimono in forme diverse ma non vogliono rinunciare all'affermazione in campo operistico per il rilievo pubblico che ne deriva e il prestigio che il regime continua ad attribuire agli autori di opere (i primi compositori chiamati a far parte dell'Accademia d'Italia sono Mascagni e Giordano, cui fanno seguito, per meriti prevalentemente operistici, Respighie Pizzetti). Il fenomeno è frutto di fattori che interagiscono: vi sono compositori circonfusi da una fama generale (anche se in continuo, inarrestabile declino: Mascagni in primo luogo), che il fascismo non può rinunciare ad acquisire, e vi sono compositori che, proprio per non voler contraddire al sistema di valori che il regime gerarchizza, non sanno rinunciare a cimentarsi con l'opera e attraverso la produzione operistica cercano di consolidare le BibliotecaGino Bianco proprie pos1Z1oni, altrimenti insicure o per minore apparenza di adesione ai dettami della politica nazionale o per sospetto di suggestione da modelli stranieri altrimentigià fatta trapelare. L'aspetto più grottesco di questa situazione si evidenzia nei rapporti personali dei compositori d'opera con le strutture burocratico-politiche del regime, e direttamente col duce. Venuto a mancare l'assorbimento normale delle produzioni nuove da parte di teatri che in passato erano soprattutto centri di spettacolo, nel senso anche della curiosità, del divertimento, dell'evasione, e che ora dovrebbero essere più che altro - secondo il costume europeo - centri di educazionemusicale e di cultura, la gara degli operisti si scatena nell'acquistarsi benemerenze presso gli esponenti del potere, e, tramite questi •(per Pizzetti e Maliperti, D'Annunzio),presso il dittatore. La corsa degli operisti italiani verso il fascismo, la smaccata sollecitazione di protezioni e favori, le piaggerie più becere, le insistenti richieste di rappresentazioni, sussidi, incarichi, prebende, si spiegano in questo modo. E si comprendono ancor meglio se si tiene presente, sulla scorta dei dati ordinati dalla Nicolodi, che tra il 1935 e il 1943, epoca d'oro della gestione teatrale regolata dal MinCu!Pop (Ministero della Cultura Popolare), tutto il teatro d'opera subisce un riassetto funzionale che favorisce e può appagare gli appetiti dei compositori. Non soltanto essi hanno di fronte come unico committente lo stato fascista, ma trovano un committente che riordina le strutture, articola le programmazioni, crea nuo- .vi canali di diffusione dell'opera lirica, e perciò è sempre più in grado di offrire occasioni utili e premi. E il periodo in cui si ristrutturano gli enti lirici, in cui, accanto alla Scala, per ragioni di prestigio romano si potenzia il Teatro Reale dell'Opera, in cui si varano i carri di Tespi per le rappresentazioni estive nelle grandi arene popolari, si creano consorzi per la gestione dei teatri minori, si inaugurano i "sabti teatrali" riservati a lavoratori dipendenti a basso reddito, studenti, militari (un precedente dei cicli per "lavoratori e studenti" dei nostri giorni), si incoraggiano le produzioni nuove con premi nazionali del ministero dell'educazione e quote di riserva nei cartelloni. Se non si tenessero presenti questi dati di fatto, il tono delle manifestazioni di devozione a Mussolini, tanto più accentuato della media, già alta, di manifestazioni consimili di altri gruppi omogenei di esponenti della cultura italiana, potrebbe apparire inspiegabile.Nel caso degli operisti, le compromissioni col fascismo, le plateali ricerche di protezione da ostentare pubblicamente, le vere e proprie forme di prostituzione al capo, sono in sostanza, per molti, disperati tentativi di restare a galla e, per un gruppo più ristretto di compositori affermati e di vecchie glorie, mezzi di controricatto. Costoro sanno che il duce si avvantaggia, o crede di avvantaggiarsi, facendo scrivere sui giornali di aver ricevuto in udienza l'uno e l'altro di loro, di esserne protettore e amico, di aver detto la sua in fatto di partiture, di avere valutato, suggerito, plaudito. E, a propria volta chiedono in modo diretto contropartite sempre più impegnative, via libera nei cartelloni dei maggiori teatri, ostracismo verso i concorrenti, riescumazioni costose di opere irrecuperabili, invii all'estero in missione di italianità, celebrazioni trionfali (Mascagni, per esempio, pensa di far rappresentare la sua ultima fatica, Nerone, all'internodel Colosseo). È direttamente con Mussolini che gli operisti intrecciano rapporti, invocandone le udienze, indirizzandogli suppliche e delazioni, comunicandogli minacce di espatrio in caso di mancata protezione. E Mussolini, che in questo campo sembra sentirsi più a suo agio che in altri in cui pure non si astiene dalla svolgere un ruolo analogo, corrisponde senza remore alle richeiste, mobilita gli organi dello stato, presta orecchio a ogni messaggio, riceve, incoraggi, presenzia, premia, raccomanda, approva, finanche invita nella sua abitazione privata a Villa TorIonia per esecuzioni riservate e anteprime (anche se, in certi casi, l'insostenibilità delle proposte è tale che il duce trova la comoda scappatoia di dirottare le suppliche agli uffici competenti per valutazioni burocratiche che preludono al loro rigetto: come, per ricordare un operista particolarmente petulante, Montemezzi, a proposito di una ripresa dell'ingombrante La Nave, mentre La notte di Zoraima riesce a giungerealla Scala). Anche poche citazioni dalla seconda parte del libro della Nicolodi, che pubblica i carteggi intrattenuti con Mussolini da un bnuon numero di operisti, traendoli da fondi dell'Archivio centrale dello stato provenienti dal gabinetto del duce, bastano a dare una impressione diretta di quanto si è detto. Ma tutti i carteggi dovrebbero essere letti per avere un quadro preciso dellos tato dell'opera dumate il fascismo.

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