Linea d'ombra - anno IV - n. 15/16 - ottobre 1986

romanzo di semplice intrattenimento e di nessun impegno (di un romanzo, dunque, privo di "idee"), ben lungi dall'essere assente dalla compagine narrativa, risulta semplicemente taciuto in quanto implificitamente condiviso. Penso a questo proposito ai tanti "best-seller di qualità" (per usare la fortunata formula di Ferretti - non priva di ambiguità - ma che ha almeno il merito di richiamare l'insieme di testi ai quali mi sto riferendo) che invadono gli scaffali delle nostre librerie. A controprova si può aggiungere che, nei casi più fortunati, la ragione del grande successo di alcune di queste opere si può rinvenire nella loro -struttura formale molto più che in ragioni "contenutistiche" e dunque "ideali". Un ulteriore passo, ma ci porterebbe piuttosto lontano, riguarda il rapporto tutt'altro che consequenziale intrattenuto tra l'ideologia dell'autore da un lato e la "ideologia del testo" dall'altro: basti accennare alla famosa querelle relativa al conservatorismo balzachiano rispetto all'intelligenza sociologica che scaturisce potentemente dalle pagine dei suoi capolavori o, in terra italiana, all'ideologia conservatrice dell'Ingeniere di contro al lucidissimo livore espressionistico e alla sagacia corrosiva delle sue pagine lombarde anti-borghesi e anti-aristocratiche. Ma torniamo alla McCarthy. Sorge il sospetto che l'autrice abbia volutamente semplificato le cose che lei ben sa essere più sfumate e complicate di quanto non appaia ne II romanzo e le idee. A che scopo? L'autrice auspica, in definitiva, il ritorno ad un romanzo che parli di idee, con personaggi che rappresentino idee, e la raccomandazione ci pare valga di più e sia più urgente in area anglo-americana piuttosto che europea: "Io credo che questo bandire le idee, che tuttora prevale nei paesi anglosassoni, sia un'eredità del modernismo nella sua sussiegosa fase antivittoriana" (p. 21). Il sospetto si fa più corposo nello scoprire la diversa strategia editoriale adottata negli Stati Uniti e in Italia per il medesimo testo: "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsing è una storia americana che descrive un viaggio attraverso il paese ed è inframmezzata da interludi filosofici - uno dei personaggi si chiama infatti Phaedrus. La trovata di Pirsing è stata semplice: ha evitato, probabilmente con un sacrificio finanziario, di chiamare romanzo il suo libro, ed esso era stato appunto incluso nella saggistica" (p. 96-97). In Italia l'opera di Pirsing è apparsa nella collana "Narrativa contemporanea" di Adelphi, ed è giunta alla settima edizione con un notevole successo di vendite. In definitiva il saggio pubblicato da Sellerio si raccomanda alla lettura piuttosto per l'atmosfera di intelligente conversazione nella quale l'autrice sa intrattenere amabilmente il lettore, con una lunga chiaccherata che, seguendo il filo rosso della presenza multiforme delle idee nel tessuto romanzesco, in realtà discorre sovente con acume di quasi tutti i grandi libri che l'ottocento e il primo novecento europeo e americano ci hanno lasciato in eredità, con osservazioni argute, spunti e commenti a volte illuminanti e un'affabilità che oggi è ormai difficile ritrovare tra le, pagine di molti saggi specialistici volti, non come questo, ad un pubblico intellettuale e specializzato. Con un piglio tipicamente anglosassone, infatti, la McCarthy conduce il suo discorso partendo dalla consapevolezza che uno degli scopi di chi ama sinceramente la letteratura è quello di "disarmare e disorientare i critici e gli insegnanti di letteratura i quali, come sempre, sono i · principali nemici del lettore" (p. 97). GLIOPERISTIDELDUCE Giuseppe Armani Due libri recenti, segnalati anche fuori dall'ambito specialistico, hanno fatto conoscere aspetti importanti della storia del teatro d'opera: La bottega della musica di Marcello Conati (Il Saggiatore, Milano, 1983), che segue i rapporti di Verdi, impresario di se stesso, con la Fenice, per le cinque opere rappresentate a Venezia in prima assoluta fra il 1844 e il 1857, e L'impresario d'opera di fohn Rosselli (EdUMusica, Torino, 1985), che riBibliotecaGino Bianco SCHEDE/ARMANI costruisce il funzionamento della macchina dello spettacolo operistico nell'Italia dell'Ottocento attraverso la figura tradizionale dell'impresario privato. Un terzo libro, meno recensito ma non meno utile, si colloca nella stessa linea e consente di vedere quale è stata l'organizzazione della vita del teatro musicale durante il fascismo. Si tratta di Musica e musicisti nel ventennio fascista di Fiamma Nicolodi (Discanto, Fiesole 1984, lire 48.000), dedicato nella prima parte alle correnti e agli autori operanti durnate il ventennio, nella seconda ai rapporti di questi musicisti col potere politico. L'impressione immediata che si ricava dalla lettura del volume è che esso offre un contributo alla storia della cultura italiana del nostro secolo particolarmente meritorio, perché rivolto ad aspetti rimasti fino ad ora un po' in ombra. Di musica e musicisti, e ancor più di istituzioni musicali, si è infatti parlato poco nelle ricerche sul periodo fascista, e basta dire che il libro della Nicolodi affronta di prima mano l'argomento per giustificarne l'interesse. Vi è tuttavia un altro aspetto che lo rende prezioso, ponendolo in primo piano nella prospettiva cui si è accennato all'inizio: il fatto che in esso viene scritto un capitolo della storia dell'opera, e probabilmente l'ultimo, come storia di un genere praticato autonomamente rispetto agli altri generi musicali da parte di compositori che sono prima di tutto operisti, e dei problemi che incontrano e tentano di risolvere per farsi rappresentare. Negli anni fra la prima e la seconda guerra mondiale vivono ancora e sono attivi numerosi compositori che si considerano depositari del genere tradizionalmente inteso, in Italia, come il più nobile e impegnativo, l'opera lirica, i quali continuano a praticarlo scrivendo nuove partiture e cercando di non far dimenticare il resto della loro produzione meno recente. È l'ultima stagione, anche fra noi, dell'opera in musica come genre di elaborazione corrente, destinato a un consumo regolare accanto a quello delle opere del passato. Una stagione in cui, con un prolungamento ormai solo artificioso delle consuetudini del Sette e Ottocento, ogni autore si sforza di conquistare uno spazio personale e di imporsi ai concorrenti, come se ancora esistesse un vero mercato dell'opera alimentato dalle richieste del pubblico e non si trattasse, invece, di pratiche rappresentative imposte dal potere politico in base a scelte generali di conserva121

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