116 SCHEDE/TARPINO LEPAROLEDELTEMPO Antonella Tarpino In G. Duby, Il sogno della storia. Dialoghi con G. Lardreau (traduzione di M. Spinella, Garzanti 1986) sullo sfondo di una disincantata tarde-histoire un famoso medievista, Georges Duby, e un eclettico filosofo, G. Lardreau, discutono del sapere storico, misurano la distesa dei suoi oggetti fino a illuminare, nel corso di un lungo dialogo, le sinuosità e i tranelli del viaggio nel passato. Un itinerario tortuoso entro cui la storia oscilla - come avverte Lardreau - tra opposte tentazioni: porsi come discorso reclamato da un passato che non è più ma che insiste per tornare in vita, oppure ridursi a pura evocazione suscitata dall'immaginario del presente. Per Duby il lavoro storico attraversa entrambe queste sponde; è colorato di visioni ed è insieme prodotto di un severo bricolage documentario: è un'invenzione rigorosa, un "sogno vigilato" che si insinua all'interno delle discontinue tracce del tempo. Certo nell'affollato sovrapporsi dei campi d'indagine, che incrociano sempre più numerosi ambiti dell'esperienza umana, la ricerca storica pare sfiorare i limiti della vertigine moltiplicando all'infinito i poli di un'equazione labile, in bilico tra sogno e realtà; la storia allora come voragine o forse "doppio sogno" (attingendo involontariamente a Schnitzler) se le stesse tracce lasciate dal passato sono - come osserva Duby - insidiose e accidentali, minate da ricordi deformati, amplificate da passioni e interessi, se inoltre "la memoria e l'oblio sono ugualmente inventivi". E tuttavia proprio nella semioscurità del tempo trascorso, tra le sue pieghe, va indirizzato lo sguardo "straniero" dello storico; tralasciando quanto è più visibile per interessarsi a ciò che è nascosto, scavando negli interstizi per portare in luce il "negativo" di quel che si vuole mostrare. Anche al di sotto di ciò che è più manifesto, il "desueto" evento, si rintracciano spie impercettibili dell'ambiguo operare del tempo. Nei commenti sovrabbondanti che l'avvenimento provoca, nel pullulare delle parole, si possono rinvenire impronte sottiBibliotecaGino Bianco li di quel dire che appartiene alla banalità, alla vita quotidiana e che perciò viene generalmente taciuto. Le parole: oggetti del discorso storico e in pari tempo tramiti, segni del vocabolario del passato; qui, nella misura di un divario "linguistico" tra l'oggi e i molteplici ieri, si situa per Duby il raggio dell'indagine storiografica, insegue le parole di un tempo per reperire nel lessico attuale analogie consapevoli della propria parzialità, equivalenze dichiaratamente imperfette. Nozioni come popolo, ordine o classe (tale quest'ultima da suscitare al contatto con società lontane - confessa Duby - sempre un piccolo trasalimento) escono cosl dall'atemporalità per accedere a una storia di quelle formazioni verbali che sembrano fissare su di sé l'autoritratto di una società. Tra questi percorsi storico-filologici Duby si sofferma con particolare calore sull'idea di famiglia nell'età medievale: un concetto che, più di ogni altra astrazione propria dei parametri moderni pare costituire, secondo lo storico francese, il nucleo simbolico intorno al quale la società medievale si organizza, elevandosi a "codice genetico" di un intero assetto istituzionale ed economico. "Prigionieri del mondo in cui pensiamo la nostra società", afferma Duby, "tendiamo ad accordare troppa autonomia concettuale, nella società medievale, agli organismi economici o a quelli politici; mentre è evidente che la maggior parte degli organismi econormci, se non tutti, il rnanso contadino, la grande proprietà, la gilda mercantile, la compagnia bancaria, il laboratorio artigiano sono stati vissuti e sognati come famiglie". Ovunque - prosegue Duby - si ha la sottomissione a un padre, dalle comunità dei monaci al cosmo feudale fino al regno delle relazioni tra le potenze invisibili e l'uomo. O ancora, procedendo nella direzione indicata da Duby, si consideri il campo dell'economia dove l'ambito del materiale è invaso nelle società più antiche dall'immateriale, il religioso; la nozione, di proprietà per citare solo un esempio, che per l'epoca medievale si dissolve in quella della solidarietà. Il versante d'indagine che meglio si presta a rivelare l'intimo raccordo tra il piano della vita materiale e quello della sua rappresentazione, cosl da cogliere la società come essa stessa si pensava, è per Duby l'immaginario: il laboratorio delle mentalità in cui prendono forma le grandi metafore del vivere collettivo. Per questa via la ricerca storica diviene capillare semiologia sociale, opera all'interno dei profondi dislivelli segnati dal tempo, fino a porsi come osservatorio privilegiato di "progressivi spostamenti semantici": lenti slittamenti di significati conferiti alle idee e ai corpi sociali e via via raccordabili con gli altri mutamenti situati al livello dell'economia, dell'organizzazione politica, della cultura. Lungo la linea di inintenterrotti "scarti" l'indagine sul passato risale cosi alle radici di quell'anacronismo originario da cui - come nota Lardreau - ogni discorso storico muove e in cui risiede oggi lo stesso paradosso della storia: un sapere che affida i propri fondamenti alla coscienza della irriducibile distanza che separa il tempo in cui maturano le domande dello storico da quello dell'avvenimento interrogato. Alterità, iati, dissonanze: segmenti di una riflessione che confluiscono nel più ampio fronte dell'esperienza storiografica recente: dalla Neue Lehre di O. Brunner tesa a inseguire in senso smarrito degli ordinamenti medievali di ascendenza germanica, alla Socia! history anglosassone sulle orme dei codici propri delle comunità inglesi tra sei e settecento
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