awiene, "a dispetto del mio concenso o del mio rifiuto", prelude a un amore o a una cura per qualcosa che forse crescerà (la bambina ritardata). Forse la parte più debole del libro sono certi intermezzi filosofeggianti, di tono declamatorio e profetico: "molti uomini e molte donne saranno ancora necessari, ma già noi stiamo preparando l'avvento dell'essere che abbia dimenticato tutto prima ancora di conoscerlo ...". Questa visione della "fiamma di un uomo nuovo", questo pathos del futuro, anche se attibuiti al protagonista, ci sembrano privi di qualsiasi ironia: non solo rappresentano una sovrapposizione superflua, ma sono estranei all'antiutopismo di un autore molto caro a Lodali, Dostoevskij. È vero che qui non si indulge a nessuna elegante retorica·del vuoto o della deriva, però questi frammenti di filosofia palingenetica, epocale, non si conciliano con il clima delle pagine conclusive, con i semplici e nudi gesti del presente con cui il protagonista insegna alla bambina a scrivere a stampatello il proprio nome. C'è un punto, soprattutto, in cui il romanzo pur non facendosi alcuna illusione, mostra la sua intenzione positiva, "umanistica". Quando il protagonista confessa la sua commozione per le camere degli alberghi più umili: "nulla mai mutava in queste camere (...) a tutte quelle cose anonime, già consumate da mille gesti prima dei miei, ero affezionato". Il legame con gli altri, con tutti gli altri, con le "infinite persone" passate prima su quei letti, non può infatti essere oggi un legame diretto, visibile. Troppo separa le persone tra loro, almeno in superficie: però quel legame esiste, anche se può ritrovarsi secondo Lodali soltanto come assenza, come nostalgia. DICAVALLETIE EDICROCI Goffredo Fofi Con Apologo del giudice bandito (pp. 141, L. 5.000) del trentaquattrenne cagliaritano Sergio Atzeni, Selleria ci regala l'esordio più originale degli ultimi tempi. Di conseguenza, pochi se ne accorXilografia di Giuseppe Biasi (193/). geranno. Si svolge a Cagliari, qui chiamata Cagliè, nel 1492, sotto gli spagnoli e l'inquisizione; narra un'invasione di cavallette nel Campidano; mette in campo, con lodevole secchezza e velocità, dozzine di personaggi che non sono marionette; comincia come, diciamo, Il Consiglio d'Egitto, e finisce come, mettiamo, Il pianeta irritabile; sembra scivolare di tanto in tanto verso il fantasy, ma se ne ritrae sempre. a tempo, e non perde mai di vista, con la storia, il senso della storia, la "morale" della Storia. Lo scrittore italiano che più sembra ricordare è forse Consolo, Il sorriso dell'ignoto marinaio: anche qui s'avverte il magistero di una stessa cultura "altra", quella ispanica, ma la differenza è tra Sicilia e Sardegna, come due strade del barocco ugualmente dure, ma l'una più sapiente e matura, e incantata di vocaboli, l'altra più austera, selvatica e "protestante". Nella ricerca di modelli che non siano i soliti, "continentali" e mid-cult ora in voga, si rivendica una provincia non sognata, non aulica, forte della sua marginalità e della sua storia (che pure, in parte, riguarda tutti, se è vero che è ben più la Spagna che non l'Austria il nostro passato e una nostra cultura). Ignoriamo quasi tutto della storia e della cultura sarde, spesso per qualche sfiducia verso autonomismi estetizzanti (anche quelli politici). Eppure, se la Sardegna ha dato ancora di recente uno dei rari veri romanzi della nostra letteratura (Il giorrw del giudizio di Salta) BibliotecaGino Bianco SCHEDE/FOFI e ci dà ora quest'esordio, dev'esserci un retroterra più vivace di quanto non si sappia e appaia dal "continente", non può trattarsi di cose nate dal nulla. Dietro l'Apologo di Atzeni si sente, per esempio, una riflessione storica determinata, e una conoscenza, una ricerca con radici intellettuali precise. Esso ci ha fatto pensare a una sorta di originale esperpento (il "genere" letterario inventato e teorizzato dal grande Valle-Inclàn, noto soprattutto da noi per la ristampa feltrinelliana di Il tiranrw Baruleras, romanzo spagnolo ambientato in America Latina, e riflessione politicastorica in una forma narrativa che influenzò molti). E comunque ha pochi riferimenti italiani e forse molti latino-americani. Tutto questo è bensl mediato, digerito, rivissuto a partire dalla Sardegna. È prevedibile che, non "affini" all'odierna nostra letteratura o non in sintonia con essa, si guardi, dalla Sardegna o dalla Sicilia, al magistero dei vecchi occupanti spagnoli, e si cerchino modelli altrove. L'importante è che essi si radichino in qualcosa che è proprio. L'Apologo lo fa egregiamente e concede al folklore solo ciò che gli è dovuto, ai modelli esterni solo il grado d'influenza che è legittimo. Vediamolo più da vicino. Nella Cagliè dell'anno di Colombo che apre una nuova era, domina il passato. Diviso, il potere (gli occupanti e le loro interne liti, i gesuiti, i legulei, i cavalieri di sfibrati formalismi) è però unito contro un popolo, che nettamente si divide in urbano e lontano: plebe che riesce a dare poeti e scugnizzi ma non altre ribellioni, e pastori di antica e regale barbarie che aggrediscono più duramente e in alterità maggiore, dall'intorno. Rivelatrice, la cavalletta si fa mostro unico e magmatico, pibitziri (Atzeni ricorre spesso al sardo, e lo esalta appunto nella sua altera alterità), sulle tracce forse documentabili di un vero processo inquisitoriale alle cavallette, forma dell'Anticristo. Potenti, oppressi, ribelli intrecciano le loro vicende dentro e fuori Cagliari ma pur sempre dentro la Storia, anche quando emblema di una natura ferina. Non c'è in Atzeni compiacimento "nazionalista", e le mancanze dei sardi vengono additati con il giudizio del viceré 111
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